Aiutare i cristiani a rievangelizzarsi ripercorrendo le tappe del catecumenato della Chiesa primitiva

 

Il Cammino neocatecumenale

 

di Stefano Gennarini

 

Kiko Argüello, non potendo venire personalmente al Convegno per gravi impegni sopravvenuti, ha inviato uno dei suoi più vicini collaboratori, autore della presente relazione. Dottore in fisica teorica, ha sessant’anni, è celibe e da trent’anni è nel Cammino, dove ha svolto e continua a svolgere un’ampia attività in ambito internazionale.

Vorrei presentarmi brevemente per far capire che cosa ha significato per me il Cammino neocatecumenale. Sono nato a Milano in una famiglia cattolica, mio padre era un giornalista che per molti anni ha diretto i programmi della televisione italiana. Dopo gli studi classici mi sono laureato in fisica teorica sulle particelle elementari. Poco dopo la pubblicazione della tesi, mentre lavoravo come ricercatore all’Università, sono entrato in una profonda crisi esistenziale: mi rendevo conto che la fede che i genitori mi avevano trasmesso aveva lasciato nel mio interiore un’impronta profonda della persona di Gesù Cristo, ma di fatto non mi bastava per vivere da cristiano.

Avevo cioè l’intuizione profonda che essere cristiano significava amare Dio con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le forze e amare il prossimo come se stessi; mi ritrovavo invece borghese, egoista, con tutte le gelosie che ci sono all’interno degli ambienti accademici. Aiutato da don Giuseppe Dossetti, amico di famiglia e mio direttore spirituale, ho lasciato la carriera universitaria e sono andato in Germania a studiare teologia.

La teologia non mi bastava

A Tubinga ho vissuto gli anni della contestazione del ‘68, il periodo in cui il prof. Küng esprimeva il suo dissenso dalla Chiesa cattolica. Il prof. Ratzinger divenne il punto di riferimento di un gruppo di cui facevo parte. Subito dopo la licenza in Nuovo Testamento con il prof. Schnackenburg, mentre preparavo il dottorato, mi attendeva una crisi ancora più profonda di quella in cui mi ero trovato dopo lo studio della fisica. Per grazia di Dio ero rimasto ortodosso da un punto di vista intellettuale, ma la mia vita non era appoggiata in Gesù Cristo. Avevo cercato con la teologia una fede più adulta, avevo trovato un’altra carriera universitaria. Quindi stava entrando in me come una frustrazione profonda e una sorta di risentimento nei confronti della Chiesa, come se non fosse riuscita a trasmettere la fede alla mia vita. In questa situazione ho incontrato la catechesi del Cammino neocatecumenale.

Quando tornai a Roma per il Natale del ‘69, tutta la mia famiglia stava seguendo le catechesi condotte da Kiko Argüello e Carmen Hernandez – iniziatori del Cammino – con don Francesco Cuppini, nella parrocchia di S. Luigi Gonzaga.

L’incontro con una vita nuova

Ero molto scettico, diffidente, ma sono andato anch’io. E lì è stata la sorpresa, perché mi sono trovato di fronte a una predicazione che profetizzava sulla mia vita, la svelava; mi mostrava perché ero incapace di donarmi veramente a Dio e di fare la sua volontà: ero accerchiato dalla paura di perdere la mia vita, dalla paura della morte. Dice la lettera agli Ebrei che, «poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, Cristo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita» (Eb. 2, 14-15). C’è un nemico che tiene la nostra vita nella schiavitù, e questa schiavitù è la schiavitù del peccato, cioè il trovarsi chiusi nell’egoismo, l’incapacità di amare, di obbedire a Dio, di fare la sua volontà, di perdere la vita.

Ma nello stesso tempo la predicazione mi annunciava che Cristo era venuto a rompere questo cerchio con la sua morte e resurrezione. In questa predicazione si ricomponeva il volto di Cristo che avevo conosciuto nella mia infanzia e adolescenza. Forse perché avevo sofferto molto in Germania con la teologia, ho detto “amen”, ho detto sì a che si realizzasse in me questa Parola.

Così Dio ha cominciato ad agire nella mia vita: mi sono ritrovato in una comunità che non avevo scelto, fatta di persone diversissime per cultura, età, ceto, modo di pensare,  ma che avevano tutte aderito a questa predicazione. Dopo circa due anni il Signore mi chiamò a mettermi al servizio del Vangelo come catechista itinerante del Cammino. Visti i frutti di conversione nella vita dei fratelli della mia comunità e la comunione che Dio creava tra persone così diverse, ho lasciato tutto e sono partito per evangelizzare lì dove i vescovi lo richiedevano: in Austria, in Germania, in Francia, in Cecoslovacchia; da 25 anni sono in Polonia, coordinando anche le équipes che lavorano nei paesi dell’ex Unione Sovietica.

Come è nato il Cammino?

È nato tra i poveri delle baracche di Madrid ai tempi del Vaticano II. Dio, attraverso due persone – un artista, Kiko Argüello, convertito dall’esistenzialismo ateo, e una missionaria, Carmen Hernandez, licenziata in chimica e teologia – che per vie diverse aveva portato a vivere tra i poveri, ha voluto donare alla Chiesa uno strumento di evangelizzazione per contribuire a quel rinnovamento che il Concilio auspicava.

In questo ambiente poverissimo, in molti casi degradato, in cui qualunque linguaggio astratto cadeva nel vuoto, Kiko e Carmen si sono trovati a dover dare ragione della propria fede perché la gente lo chiedeva. Il Signore li ha aiutati a riscoprire una parola viva, un Kerygma che va direttamente alla vita. L’accoglienza dell’annuncio dell’amore gratuito di Dio da parte di queste persone piene di peccati, provocava un cambiamento di vita, creava la comunione; nasceva una comunità in cui si toccava con mano la potenza dello Spirito Santo. Nasceva un primo seme: l’annuncio del Kerygma, una liturgia viva in cui la Parola celebrata si attualizzava in modo diretto e sorprendente nella vita delle persone, e nella comunità.

L’allora arcivescovo di Madrid, mons. Casimiro Morcillo, di ritorno dal Concilio, venne in contatto con quella piccola comunità delle baracche (composta da zingari, ladri, ex carcerati…) e ne rimase profondamente colpito. Fu lui che volle che questo seme fosse portato nelle parrocchie, raccomandando di farlo mettendo al centro il parroco. L’esperienza si diffuse in Madrid e in altre diocesi di Spagna. Nel 1968 furono invitati a Roma e, con una lettera dell’arcivescovo di Madrid per l’allora cardinal vicario Dell’Acqua, iniziarono il Cammino in alcune parrocchie. Da lì esso si diffuse poi in tutta la diocesi attraverso catechisti eletti dalle prime comunità, e in tante altre diocesi e Paesi, in tutti i continenti, mediante équipes di catechisti itineranti.

Le parrocchie si rinnovano

È nelle parrocchie che questo Cammino ha preso la forma di un itinerario «di formazione cattolica valida per la nostra società e per l’uomo di oggi»1. Qualcosa cambiava: l’annuncio veniva accolto, destava una grandissima risposta di gioia, nasceva la comunità.

Ma tanti nostri parrocchiani non si conoscono. Siamo abituati a portare delle maschere per essere accettati, a crederci più buoni di quello che siamo, a ricoprirci delle nostre buone opere, ma non conosciamo veramente quello che c’è dentro di noi, la nostra realtà profonda. Quindi Kiko e Carmen si resero conto che non bastava l’annuncio del Kerygma, non bastava il tripode sperimentato nelle baracche – cioè Parola, liturgia e comunità – ma c’era bisogno di un itinerario per arrivare a una fede adulta, un cammino di kenosi, di discesa nella propria realtà per conoscersi e provare la potenza dell’amore gratuito di Dio. Toccare con mano che Cristo è veramente sceso con noi fino al fondo della nostra miseria e ci permette di riconoscere l’uomo vecchio che è in noi per dargli morte, con l’aiuto dello Spirito Santo, nelle acque del nostro Battesimo; e questo ogni giorno, come la Chiesa ci invita a fare nella Vigilia Pasquale.

Era cioè necessario un cammino di riscoperta del Battesimo, che assomigliasse al catecumenato della Chiesa primitiva; che fosse cioè graduale, per tappe. Inoltre bisognava tener conto del fatto che la gente era già battezzata, quindi era necessario nutrire questa creatura nuova che si era come svegliata attraverso l’annuncio del Kerygma. Ora bisognava far crescere la grazia del Battesimo con l’alimento della Parola e dell’Eucarestia, e preparare un utero in cui il seme del Battesimo potesse svilupparsi fino ad arrivare a quella fede adulta che si richiede per adempiere la missione della Chiesa oggi.

Ripristinare il catecumenato

Il Cammino veniva così a configurarsi come un catecumenato post-battesimale vissuto in regime di piccole comunità.

È stato decisivo il rapporto sia con le Congregazioni romane, sia con i Papi che ci hanno sostenuto e aiutato. Nel 1971-72, quando Kiko e Carmen ebbero il primo incontro con la Congregazione del Culto, ci fu una sorpresa da entrambe le parti. Kiko e Carmen vennero a sapere che la Chiesa, in conformità agli auspici del Vaticano II, stava per pubblicare l’Ordo Initiationis Christianae Adultorum che nel IV capitolo prevedeva la possibilità di adattare tale Ordo anche a persone già battezzate. E la sorpresa degli esperti della Congregazione fu di vedere che Dio aveva suscitato nella Chiesa una realtà che stava già mettendo in pratica tutto questo.

Così nel 1974 questa Congregazione, dopo essersi adeguatamente documentata, pubblicò una nota in cui si dice che come dopo il concilio di Trento Dio ha dovuto suscitare dei carismi per portarlo a compimento, così succede oggi dopo il concilio Vaticano II.

«Un modello eccellente di questo rinnovamento – dice la nota – si trova nelle “comunità neocatecumenali”... Le comunità hanno lo scopo di rendere visibile nella parrocchia il segno della Chiesa Missionaria, e si sforzano di aprire la strada all’evangelizzazione di coloro che hanno quasi abbandonato la vita cristiana. A questo fine i membri delle comunità cercano di vivere più intensamente la vita liturgica cristiana cominciando dalla nuova catechesi e dalla preparazione catecumenale, percorrendo cioè con un cammino spirituale tutte quelle fasi che nella Chiesa primitiva i catecumeni percorrevano prima di ricevere il sacramento del Battesimo. Poiché si tratta non di battezzandi ma di battezzati, la catechesi è la medesima ma i riti liturgici si adattano allo stato di cristiani battezzati, secondo le direttive già date dalla Congregazione per il Culto divino»2.

Evangelizzare i lontani

L’esperienza di più di 30 anni ha mostrato poi che il Cammino, come catecumenato post-battesimale, apre nelle parrocchie una pastorale missionaria per chiamare alla fede i lontani. Per far questo è necessario che nella parrocchia si dia la testimonianza di una fede adulta in una comunità che costituisca un sicuro punto di riferimento, come dice il Direttorio Generale della Catechesi.

Oggi tanti cristiani tradizionali vivono la loro fede in una dimensione infantile, come dimostra il divorzio fra religione e vita. Per questo è necessario un processo di vera conversione, un cammino di crescita nella fede per arrivare a dare quei segni di cui parla Gesù Cristo nel Vangelo: l’amore nella dimensione della croce («Amatevi come io vi ho amato, in questo amore conosceranno che siete miei discepoli» cf Gv 13, 34-35), e il segno dell’unità («Siate uno, affiché il mondo creda che Dio mi ha inviato» cf Gv 17, 21).

Per arrivare a dare questi segni c’è bisogno di una vita che ha vinto la morte. Per amare il nemico, per amare la moglie malata, per amare nella dimensione della croce c’è bisogno che questo dono fattoci nel Battesimo, questa creatura nuova, divenuti adulta. Per “essere uno” è necessario che siano abbattute tutte le barriere che ci dividono (età, cultura, ceto sociale), perché nella comunità appaia la Chiesa come Corpo del Risorto. E perché quest’amore e quest’unità sono un segno che può chiamare anche i lontani? Perché rendono presente la vittoria sulla morte, la resurrezione di Cristo. Perché io possa donare la mia vita per una persona che non mi piace, per una persona che non mi dà vita, è necessario che abbia in me la vita eterna, quella che ha vinto la morte. Possiamo dare testimonianza che grazie a questi segni  è possibile trasmettere la fede ai figli (oggi così difficile!), e le comunità, man mano che i fratelli crescono nella fede, attirano tante altre persone e la rete si riempie.

Un itinerario formativo

Il Cammino neocatecumenale è offerto alla diocesi e alla parrocchia come un itinerario di formazione alla fede, un catecumenato post battesimale. Dove c’è una richiesta da parte del vescovo o di un parroco, un’équipe di catechisti composta da un presbitero e alcuni laici inizia le catechesi che aprono l’itinerario di formazione. Tutto il Cammino è basato su quel tripode già menzionato: Parola, Liturgia, Comunità, e si sviluppa in 4 fasi:

Nella catechesi iniziale, che porta alla costituzione della comunità, è essenziale l’annuncio del Kerygma proclamato in varie forme. In questa fase si danno anche le chiavi ermeneutiche, cristologiche ed esistenziali perché la Parola celebrata possa farsi carne nella vita delle persone; si aiuta a scoprire il Mistero pasquale come centro dei sacramenti (Penitenza, Eucaristia). Dopo la costituzione della comunità, i catechisti se ne vanno e l’affidano alla cura pastorale del parroco. La comunità si riunirà due volte alla settimana, per celebrare la liturgia della Parola e l’Eucarestia della domenica il sabato sera, e una volta al mese, una domenica, per una convivenza (ritiro). I catechisti ritorneranno circa una volta l’anno, per incontrare la comunità e portare avanti le tappe del catecumenato post battesimale.

Il pre-catecumenato è un tempo di kenosi per arrivare all’umiltà che è verità, per aiutare i fratelli a rinunciare agli idoli del mondo (soldi, sesso, potere…), per cominciare a capire il senso della croce nella loro storia, e porre Dio al centro della propria vita.

Il catecumenato è un tempo di semplificazione interiore per arrivare ad abbandonarsi alla volontà di Dio. I fratelli sono aiutati in questo tempo dalle consegne: Preghiera dell’Ufficio, Credo, Padre nostro.

Il tempo dell’elezione è la preparazione al solenne rinnovamento delle promesse battesimali durante la Veglia Pasquale, tempo di illuminazione e di gratitudine per l’opera di salvezza operata da Dio nella vita.

Durante tutto il processo, che dura circa dieci anni, c’è un approfondimento graduale della conoscenza della Scrittura, della Tradizione, del Magistero della Chiesa, della vita morale e della vita di preghiera.

I frutti dello Spirito

Concludo con due citazioni del Papa che mettono in luce i frutti del Cammino: «Dopo oltre vent’anni di vita delle comunità, diffuse nei cinque continenti

– tenendo conto della nuova vitalità che anima le parrocchie, dell’impulso missionario e dei frutti di conversione che sbocciano dall’impegno degli itineranti e, ultimamente, dall’opera delle famiglie che evangelizzano in zone scristianizzate d’Europa e del mondo intero;

– in considerazione delle vocazioni, sorte da codesto Cammino, alla vita religiosa e al presbiterato, e della nascita di collegi diocesani di formazione al presbiterato per la nuova evangelizzazione, qual è il Redemptoris Mater di Roma;

– avendo preso visione della documentazione da Lei presentata e accogliendo la richiesta rivoltami:

riconosco il Cammino neocatecumenale come un itinerario di formazione cattolica, valida per la società e per i tempi odierni»3.

«Il vostro “Cammino”… viene attuato in piccole comunità nelle quali la “riflessione sulla parola di Dio e la partecipazione all’Eucaristia… formano cellule vive della Chiesa, rinnovano la vitalità della Parrocchia mediante cristiani maturi capaci di testimoniare la verità con una fede radicalmente vissuta”4. Tali comunità aiutano a sperimentare la Chiesa come Corpo di Cristo nel quale mediante i segni sacramentali, Dio estende la sua azione salvifica agli uomini di ogni generazione. Non è difficile pertanto constatare i frutti del Cammino Neocatecumenale: le famiglie riconciliate, aperte alla vita e grate alla Chiesa, si offrono per portare l’annuncio del Vangelo fino ai confini della terra. Io stesso ho avuto modo in altre occasioni di consegnare il Crocefisso a famiglie in partenza per le zone più povere e scristianizzate. Da queste stanno ora sorgendo moltissime vocazioni. Ragazze che abbracciano la vita religiosa e contemplativa; ragazzi incamminati verso il sacerdozio nei seminari locali ed in quelli diocesani missionari Redemptoris Mater sorti per venire in aiuto alle Chiese che, data la scarsità di clero, si trovano in grave difficoltà. Viene così ad attuarsi l’auspicio del Vaticano II: “Ricordiamo ai presbiteri che ad essi incombe la sollecitudine di tutte le chiese. A questo scopo potrà essere utile la creazione di seminari internazionali…” (PO 10). Vi esorto a restare sempre fedeli al carisma che Dio vi ha affidato per il bene dell’intera comunità ecclesiale, contribuendo con la vostra opera alla più profonda riscoperta dell’iniziazione cristiana degli adulti»5.

Fino ad oggi il Cammino neocatecumenale si è diffuso in 900 diocesi di 104 nazioni, con 16.000 comunità. Il Papa ha inviato oltre 300 famiglie in 50 nazioni. 1500 seminaristi si stanno preparando in 43 seminari diocesani missionari Redemptoris Mater in diverse parti del mondo. Numerosissime anche le vocazioni alla vita religiosa maschile e femminile.

 

Stefano Gennarini

 

 

1)   Lettera di Giovanni Paolo II a mons. Cordes, in AAS 82, 1990, 1513-1515.

2)   In “Notitiae”, n. 95-96 (1974).

3)   Lettera di Giovanni Paolo II a mons. Cordes, cit.

4)   Messaggio del Papa ai vescovi d’Europa, 12/04/1993.

5)   Giovanni Paolo II agli itineranti del Cammino neocatecumenale, in “L’Osservatore Romano” 17-18/01/1994).

N.B. Per ulteriori informazioni sul Cammino neocatecumenale: Pasotti, Il Cammino neocatecumenale secondo Paolo VI e Giovanni Paolo II, Alba 1994.

      R. Blazquez, Le comunità neocatecumenali. Discernimento teologico, Alba 1987.

      G. Zevini, voce “Neocatecumenato”, in: S. De Flores - T. Goffi, Nuovo Dizionario di Spiritualità, Roma 1982.

      “Kiko Argüello” in: M.M. Bru Alonso, Testimoni dello Spirito. Movimenti e comunità, Napoli 1999.