«Nessuno ha un amore più grande…»

László Orbán era un  giovane sacerdote della Transilvania, in Romania, di poche parole, ma di profonda vita evangelica. L’ha mostrato sino alla fine, morto per salvare la vita di un ragazzo che stava annegando.

László Orbán, della nostra diocesi di Alba Julia, in Romania, era una persona timidissima, ma che mi ha sempre impressionato per la sua ricerca di autenticità. Il 9 agosto scorso ci ha raggiunti una notizia che ci ha colpito come un fulmine a ciel sereno: László è morto, salvando un giovane studente che rischiava di annegare nel fiume Danubio.

Vocazione all’unità e al sacerdozio

László – ovvero Laci, come noi lo chiamavamo – è nato l’11 maggio 1969 a Cluj. Cresciuto senza alcuna educazione religiosa, da giovane rimase attirato dalla testimonianza di un sacerdote diocesano che vive la spiritualità del Movimento dei focolari, György Balázs. Toccato dal suo amore, nell’autunno del 1986 scopre Dio. Conosce il carisma dell’unità e lo fa suo. Poco tempo dopo scopre la sua vocazione al sacerdozio. In quel periodo i suoi genitori si trasferiscono in Ungheria, ma László sente di dover rimanere in Transilvania per servire il suo popolo.

Dopo quattro anni di seminario, il vescovo acconsente che Laci trascorra un anno nella cittadella del Movimento dei focolari a Loppiano nei pressi di Firenze, per approfondire la spiritualità dell’unità. È il primo seminarista della Romania che fa questa esperienza. È convinto che, vivendo questo Ideale, potrà fare tanto per la sua gente. Più tardi, altri seminaristi, incoraggiati da lui, seguono la stessa strada.

Frutti nel ministero

Il 21 giugno 1998 viene ordinato sacerdote. È viceparroco in due posti dove lavora con molto frutto. In tutte e due le parrocchie si formano attorno a lui gruppi di giovani che cercano di vivere coscientemente il cristianesimo.

Nella prima parrocchia è anche cappellano di un liceo cattolico. Nasce un gruppo di giovani con i quali egli si incontra ogni sera per raccontarsi come  hanno cercato di mettere in pratica il Vangelo. Più tardi uno di quei giovani entrerà in seminario.

Nel 2002 Laci viene mandato a Roma dal suo vescovo per specializzarsi in pastorale della famiglia.

Tra i giovani universitari

Di ritorno in Romania nel 2005 gli viene affidata la pastorale universitaria a Cluj. È subito molto amato e stimato dagli studenti. Lo ricordano come uno che aveva sempre tempo per loro e li seguiva con un’attenzione personale. La sua vita, infatti, è caratterizzata dal servizio silenzioso, da un continuo donarsi al prossimo. L’ho sperimentato anch’io tante volte. Non parlava molto, ma, quando diceva qualcosa, riusciva a trovare sempre la parola giusta.

Non era un leader che predominava. Anche se ne soffriva, sapeva accettare le imperfezioni degli studenti suoi collaboratori. Suggeriva con umiltà soluzioni che poi gli altri mettevano in pratica con entusiasmo. Non cadeva nell’attivismo, ma irradiava la pace che regnava dentro il suo cuore. Con questo suo modo d’essere riusciva a unire le persone, a infondere alla comunità degli studenti lo spirito di Cristo.

Quando è morto, pare che fosse arrivato proprio al culmine del suo servizio sacerdotale. Poche settimane prima aveva confidato a un suo amico sacerdote che non riusciva a spiegarsi perché gli studenti lo salutavano con tanto affetto, quando li incontrava per strada. Alla fine dell’anno accademico, in un colloquio con l’arcivescovo, i cappellani per la pastorale universitaria nelle altre città hanno espresso grande apprezzamento per il suo metodo pastorale. Erano ammirati di come egli riusciva a intravedere negli studenti i valori del Vangelo e a metterli in luce.

All’inizio di agosto, con un gruppo di studenti si è recato per una settimana di vacanze nel delta del Danubio. Lì, vedendo uno dei suoi giovani in difficoltà, si è buttato nell’acqua per tirarlo a riva. Lo studente si è salvato, ma egli è morto. Ci siamo ricordati delle parole di Gesù: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15, 13).

Un presagio del Paradiso

Il 13 agosto ci siamo ritrovati con centinaia di giovani nella chiesa dei piaristi di Cluj per il funerale. Fra lacrime e commozione, abbiamo vissuto un momento di Paradiso. L’arcivescovo di Alba Julia, mons. Jakubinyi, ha cominciato la messa con queste parole: «Nessuno ha un amore più grande di colui che dà la vita per i propri amici». Hanno concelebrato il vescovo ausiliare cattolico romano Tamás József e il vescovo greco-cattolico Florentin Crihãlmeanu, assieme a ca. 130 sacerdoti cattolici di rito latino e di rito bizantino.

Nella sua omelia – tenuta sotto forma di un dialogo con Laci – il suo compagno sacerdote Balázs ha sottolineato il suo stile comunitario, la sua vita con una comunità di sacerdoti focolarini che era “la sua famiglia” ed è stato il segreto della sua fecondità. Di fatto, Laci aveva tanti amici anche tra tutti gli altri sacerdoti.

Nel funerale hanno parlato pure due ragazzi a nome dei giovani, sottolineando la fiducia e l’amore che hanno avuto per László, perché – hanno detto – «in lui vedevamo vivere Gesù».

In quel giorno, nessuno parlava di una tragedia, ma tutti avevano sulle labbra una sola parola: amore. Anche adesso, dopo la sua partenza per il Cielo, Laci continua a servire e ad amare. Pensando a lui e parlando di lui, tanti sentono che devono amare e promuovere nel mondo l’amore. Sentiamo che la sua vita e la sua morte ci aiutano a vivere sempre meglio il “come in Cielo, così in terra”.

József Nagy