Costruttori della “civiltà dell'amore”

 

 

L'amore reciproco: nucleo

fondamentale della spiritualità

dell'unità

 

di Chiara Lubich, fondatrice e presidente del Movimento dei focolari

 

 

C'è un'arte di amare tipicamente cristiana. Impararla e praticarla è fondamentale per ogni cristiano e tanto più per chi si avvia al ministero sacerdotale. E' da questo primo “studio”, infatti, che nasce e rinasce la Vita che tutto illumina ed è capace di incidere nel mondo. Partendo dall'esperienza del Movimento dei focolari, Chiara Lubich con questa sua conversazione offre una spiegazione vitale e stimolante del comandamento-sintesi di Gesù.

 

Reverendi  sacerdoti e  cari  seminaristi, anzitutto un saluto ed un augurio pieno della gioia natalizia, per il loro convegno in questo Centro Mariapoli di Castel Gandolfo. Che Dio conceda loro di trarne tanti tanti frutti per il bene loro e della Chiesa.

A me tocca ora esporre un tema intitolato: “L'amore reciproco: nucleo fondamentale della spiritualità dell'unità del Movimento dei focolari”.

L'amore, l'amore cristiano nella sua radicalità e reciprocità è fondamentale per il Movimento dei focolari; è stato infatti “la prima scintilla ispiratrice” - così l'ha definita il Papa - della sua spiritualità dell'unità.

Infatti, quando, all'inizio del nostro Movimento, Dio si manifestò con tanta chiarezza a noi per quello che è in realtà, e cioè Amore, e ci chiamò a fare di lui l'ideale del nostro futuro, comprendemmo immediatamente che dovevamo impostare la nostra vita sull'amore, e capimmo, con quella comprensione che solo lo Spirito può dare, l'importanza, per il cristiano, dell'amore reciproco.

Dio infatti è Amore e perché Amore è Trinità. In Dio le Divine Persone si amano reciprocamente.

Cosa poteva essere allora la nostra vita, chiamata a seguire Dio Amore, se non carità e carità vicendevole?

Il Figlio di Dio, venuto dal Cielo in terra, trasmigrato per così dire - pur rimanendo sempre in Cielo - dalla vita trinitaria a quella terrena, aveva sottolineato in modo tutto speciale questo comandamento, l'aveva chiamato “suo” e “nuovo”, e l'aveva raccomandato nel suo testamento.

I primi cristiani lo consideravano sintesi degli insegnamenti di Gesù e lo praticavano in modo esemplare.

Era, dunque, un comandamento particolare. E sempre così abbiamo avuto la grazia di vederlo anche noi.

Il comandamento nuovo!

Ma come si interpreta, come si pratica, cosa significa e quale conseguenza ha per il Movimento dei Focolari l'attuazione del comandamento nuovo di Gesù?

Per spiegare bene ciò sarà necessario vedere dapprima cos'è per noi l'amore, l'amare.

 

 

 

Amare il prossimo come sé stessi

 

Sin dall'inizio si è subito compreso che l'amare il prossimo come sé stessi (cf. Mt 22, 38), così come chiedeva il Vangelo, andava preso sul serio, alla lettera. Che quel “come” significava proprio “come”. Che, se prima l'amore verso noi stessi eccedeva di gran lunga l'amore verso gli altri, quando non si esauriva quasi in noi, ora occorreva cambiare atteggiamento e cuore: bisognava curarsi degli altri come di sé stessi.

Si fece così e sempre si fa così dove comincia a vivere il Movimento. E nasce, dovunque, una rivoluzione.

Questo amore radicale, infatti, colpisce e attrae i fratelli che, vedendosi amati in questa maniera, chiedono spesso il perché del nostro atteggiamento e spesso lo vogliono condividere. Cosicché persone che, pur cristiane, vivevano pressoché nell'indifferenza le une verso le altre, si ravvivano, si mettono in comunione reciproca, si compaginano in comunità e danno l'idea di quello che può essere la Chiesa viva. E ciò vivendo questa sola parola del Vangelo perché, dice Paolo, “tutta la legge trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso” (Gal 5, 14).

 

 

 

Vedere nell'altro Gesù

 

Ma come vedere il prossimo per poterlo amare in modo veramente cristiano e chi vedere nei prossimi?

I membri del Movimento si pongono sempre dinanzi la stupenda pagina del Vangelo che riguarda il giudizio finale: “Ho avuto fame e mi hai dato da mangiare. Ho avuto sete e mi hai dato da bere. Ho avuto fame e non mi hai dato da mangiare...” (Mt 25, 35. 42) dice Gesù, affermando con ciò che ritiene fatto a sé quanto si fa o non si fa ad ogni uomo.

E' lui il destinatario di ogni atto buono e di ogni azione cattiva fatta al prossimo. Egli, dunque, quasi si nasconde dietro ogni essere umano cosicché, seguendolo, non sono consentite accettazioni di persone. Non vale dire: quello è meritevole, quello non lo è; quello è bello, quello è brutto; quello è simpatico, quello è antipatico; quello è cattolico, quello è ortodosso o protestante; quello è uomo, quella è donna... Vale dire: tutti i miei prossimi sono Gesù, rappresentano Gesù.

 

 

 

Amare tutti

 

L'amore che Dio vuole, dunque, è un amore universale, rivolto a tutti. A differenza dell'amore semplicemente umano, che ama certi fratelli e non altri: quelli del proprio sangue, ad es., di bell'aspetto, i ricchi, gli onorati, gli appartenenti a certe razze e non ad altre..., l'amore soprannaturale non fa distinzioni. Dice il Vangelo: “Siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti” (Mt 5, 45; cf. Lc 6, 35).

 

 

 

Amare per primo

 

Ma l'amore cristiano ha un'altra caratteristica, che lo distingue dall'amore semplicemente umano. Dovendosi conformare su quello che Gesù ha avuto per noi (più manifesto che mai nella sua morte in croce, offerta al Padre per noi ingrati e peccatori) l'amore verso il prossimo si muove per primo.

Noi, discepoli di Gesù, dobbiamo amare per primi. Non come si fa nel mondo, dove si ama spesso perché si è amati, o per interesse, o per pura amicizia, o altro...

Ecco quindi ciò che caratterizza l'amore autentico, ecco i quattro aspetti dell'arte di amare cristiana: amare come sé, vedere Gesù nei fratelli, amare tutti, amare per primi.

Amare. Ma da dove cominciare?

Da chi ci sta più vicino. Prossimo, infatti, vuol dire: vicino.

La nostra spiritualità perciò insegna a tradurre in carità i vari contatti che abbiamo con i prossimi durante la giornata. Dal mattino, quando ci alziamo, alla sera, quando ci corichiamo, ogni rapporto con gli altri va sublimato con la carità. In chiesa, in casa, a scuola, per strada dobbiamo trovare le varie occasioni per vivere la carità. E' nostro compito insegnare, istruire, studiare, obbedire, governare, accudire i familiari, aiutare i bisognosi, sbrigare pratiche? Dobbiamo fare ogni cosa per Gesù nei fratelli, non trascurando nessuno, anzi amando tutti per primi. E, se lo facciamo bene, ciò è sufficiente per cominciare a fermentare con il Vangelo la società.                            

 

 

 

Farsi uno con ogni prossimo

 

C'è poi un modo tipico (sempre comunque emerso dalla Scrittura) che il Movimento conosce per sapere come amare. E' il “farsi uno” con ogni prossimo.

Per amare cristianamente occorre “farsi uno” con ogni fratello, come dice Paolo: farsi debole con i deboli... farsi tutto a tutti (cf. 1 Cor 9, 22).

Farsi uno: entrare il più profondamente possibile nell'animo dell'altro; capire veramente i suoi problemi, le sue esigenze; condividere le sue sofferenze. Chinarsi sul fratello. Farsi in certo modo lui, farsi l'altro. In tale maniera il prossimo si sente compreso, sollevato, perché c'è chi porta con lui i suoi pesi, le sue pene e anche le sue gioie.

“Vivere l'altro” - come diciamo noi - e non condurre più una vita ripiegata su sé stessi, piena delle proprie preoccupazioni, delle proprie cose, delle proprie idee, di tutto ciò che è nostro. Partecipare totalmente alla vita dell'altro e sentirla in sé a tal punto da dimenticare sé stessi.

Farsi uno in tutto con tutti, tranne che nel peccato - si capisce -, come Gesù ha fatto con noi.

E farsi uno non solo sentimentalmente, a parole o con la sola compassione, ma concretamente, a fatti. Perché c'è una Parola che spiega con tutta chiarezza cos'è l'amare per Gesù: è servire.

L'amore dunque esige che si passi all'azione, alle opere, come ha fatto Gesù, che ci ha detto cos'è l'amore sanando, risuscitando, lavando i piedi ai discepoli. E amare, infine, offrendo il dolore, che è sempre presente in ogni vita, per i fratelli: per il loro bene, per la loro salvezza e santità.

Nel Movimento si cerca di amare come ha fatto Gesù che ha amato certamente tutti, che ha amato per primo, che s'è fatto uno con noi - Dio s'è fatto uomo -, ma che ha anche offerto la sua Passione per la nostra salvezza.

 

 

 

Il grande criterio di discernimento

 

Amare dunque.

A questo Dio ha chiamato noi e chiama molti. Perché l'amore è tutto nel cristianesimo. Sant'Agostino, maestro di carità, ammonisce in maniera forte: “Se tutti si sapessero segnare con la croce, se rispondessero amen e cantassero l'alleluia; se tutti ricevessero il battesimo ed entrassero nelle chiese, se facessero costruire i muri delle basiliche, resta il fatto che soltanto la carità fa distinguere i figli di Dio... Quelli che hanno la carità sono nati da Dio, quelli che non l'hanno non sono nati da Dio. E' questo il grande criterio di discernimento. Se tu avessi tutto, ma ti mancasse quest'unica cosa, a nulla gioverebbe ciò che hai; se non hai le altre cose, ma possiedi la carità, tu hai adempiuto la legge...”.

Ma i santi sono tutti d'accordo su ciò.

 

 

 

Amore al prossimo
via sicura alla santità

 

Amare. Vivere l'amore. E quali conseguenze la sua pratica porta con sé?

Come si sa, tutte le spiritualità nella Chiesa, dovendo far proprio il mistero della croce, hanno sempre un aspetto penitenziale, espiatorio a favore della propria persona e degli altri. Per questo si praticano digiuni, veglie; si sono usati e si usano ancora cilizi, cordicelle per battersi; si vive dietro a grate; si ama il silenzio e la solitudine per facilitare l'unione con Dio; si portano veli per nascondersi e separarsi dal mondo ed in pratica anche dagli uomini che sono in esso.

Anche nel Movimento si ha certamente stima di queste pratiche benedette spesso dalla Chiesa, ma si avverte un'irrevocabile chiamata a puntare, anche in ordine alle penitenze, su quelle che comporta la carità verso il fratello. Essa infatti, se a volte può portare gioia, più spesso conosce la fatica, il peso, la sofferenza, perché è impossibile amare i fratelli senza farsi carico dei loro gravami. Cosicché le persone del Movimento sin dall'inizio hanno trovato proprio nella pratica della carità, il loro tipico modo di portare la croce, di rinnegare se stesse, elementi essenziali per seguire Gesù. Tutte le spiritualità poi portano all'unione con Dio. Come s'approfondisce questa nel nostro Movimento? Se amare il fratello è penitenza, se egli è la nostra grata, la nostra cella, il nostro velo, le nostre mura..., è proprio nell'amore verso di lui che incontriamo anche Dio.

Penetrare, infatti, nella vita del fratello (che è, alle volte, un'oscura galleria piena di dubbi, di angoscia, di sofferenza...) è come attraversare un luogo di pena per sfociare più sicuramente in un piccolo paradiso: in un'esperienza di divino. E' una comune testimonianza dei membri del Movimento che, amando il fratello come si è detto, perseverando, si sperimenta al momento della preghiera, ad es., una nuova unione con Dio. E' noto il paragone che sempre si fa al proposito: come in una pianticella più la radichetta va profonda nella terra, più il fusticino svetta verso il cielo, così, più un'anima entra per amore nel cuore del fratello, più avverte nel suo cuore l'unione con il Signore. Così il fratello anziché essere ostacolo all'amore di Dio - come si può spesso pensare - ne diviene l'occasione. Ed è proprio per l'amore verso il prossimo, che si può concorrere ad attuare quanto domanda Gesù: rimanere nel mondo senza essere del mondo (cf. Gv 17, 14-15).

Infatti, mettendosi ad amare così, non si è del mondo: finché pensiamo ai fratelli il mondo si dimentica, cade nell'oblio. E nello stesso tempo l'esperienza dell'unione con Dio, che si fa, è così gradita, che toglie ogni attrattiva alle cose del mondo.

 

 

 

La carità regina delle virtù

 

Quest'amore porta ancora con sé, come conseguenza, tutte le virtù. Nel Movimento si coltivano e si approfondiscono anche le virtù ad una ad una. Ma c'è la coscienza e l'esperienza che la carità è la madre e la sorgente di tutte, come ne è la regina. Infatti perché si ama si è, anche senza pensarlo, umili perché annientati (noi non esistiamo, esiste l'altro), poveri perché, per amare, doniamo le nostre cose e noi stessi, puri perché non attaccati a nulla, prudenti, benevoli, forti... Non solo, ma, per la carità, si progredisce di continuo nelle virtù. Sta scritto: “Corro nella via dei tuoi comandamenti, perché hai dilatato (con l'amore) il mio cuore” (Sal 119, 32).

La carità è perciò la nostra via di santità. Ci si fa santi, in questa spiritualità, non impegnandoci tanto a togliere un difetto dopo l'altro (anche se non si trascura neppure questo), ma soprattutto amando. La carità veramente è una grande cosa: rende ricca, santa l'anima. Diceva ancora Agostino: “Nell'amore del prossimo il povero è ricco; senza l'amore del prossimo il ricco è povero”. E, per amare veramente bene, è sempre presente al nostro cuore la pagina di Paolo sulla carità. E' l'Apostolo che ha messo nel nostro cuore la certezza che senza la carità anche le azioni più sublimi ed eroiche sono un nulla.

 

 

 

L'amore reciproco
il comandamento per eccellenza

 

Ma, se si ama, si è spesso riamati. Nel Movimento poi, dove tutti cercano di amare, l'amore è vicendevole. Ed è proprio sulla carità reciproca che ora vorrei soffermarmi.

L'amore reciproco è anche il comandamento per eccellenza di Gesù. Nel discorso d'addio egli ha detto: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri” (Gv 13, 34). E più oltre ha affermato: “Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore (...). Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati” (Gv 15, 10. 12). Ed ha proposto in tal modo il modello di questo amore: lui stesso: “come io vi ho amato”. Poi, aggiungendo: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15, 13), ha precisato anche la misura che deve avere il nostro amore: la sua: “dare la vita”. Nel Movimento si cerca di essere sempre pronti a morire l'uno per l'altro. Non è di ogni momento, ovviamente, che questo ci venga richiesto. Ma tale prontezza deve sottostare ad ogni nostro atto d'amore verso i fratelli. Anzi occorre sempre, in certo modo, “dare la vita” per gli altri.

Un vero morire è, infatti, questo vivere l'amore (di cui ho parlato) che è “vivere per gli altri”, “vivere gli altri”, il quale implica l'abdicazione a sé stessi, la morte totale a sé.

 

 

 

Pronti anche a dare la vita

 

L'amore reciproco fra i membri del Movimento è il distintivo che li caratterizza come lo era per i primi cristiani. Questi non erano diversi dagli altri uomini per grandi imprese, opere immani, profondi studi, eloquenza forbita, nè per i miracoli, o le estasi (che pure non mancavano). Si distinguevano per l'amore reciproco. “Guarda come si amano - si diceva di loro - e l'uno per l'altro sono pronti a morire”.Così, per grazia di Dio, è nel Movimento. Sin dall'inizio lo Spirito ha impresso nel nostro cuore una tale considerazione e necessità della reciproca carità, per potersi dire cristiani, che fra le prime focolarine si è stipulato un patto al riguardo.

L'una, guardando l'altra, disse: “Io sono pronta a morire per te; io per te...”, ognuna per ciascuna. E fu questa una pietra miliare per l'edificio della nostra opera. Una delle Parole poi della Scrittura che ci ha insegnato, e ci insegna, quale posto debba occupare nella vita cristiana il comandamento nuovo di Gesù, è questa: “Ma prima di tutto abbiate un amore costante tra voi...” (1 Pt 4, 8). “Prima di tutto”: la carità vicendevole va messa a base di tutto. Non si può far nulla senza che essa sia assicurata: nè lavorare, nè studiare, nè dormire, nè mangiare, o giocare..., nemmeno pregare personalmente, o partecipare a qualche azione liturgica. Il Vangelo ammonisce: “Se dunque presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono” (Mt 5, 23-24).

 

 

 

Luce nuova e irradiazione

 

Il comandamento nuovo vissuto produce effetti straordinari. Chi comincia a metterlo in pratica nel modo suddetto, avverte anzitutto un balzo di qualità nella sua vita spirituale. Sperimenta, ad es., in maniera nuova, i doni dello Spirito: conosce una gioia nuova, una pace, una benevolenza, una magnanimità nuova... Acquista una luce, che aiuta a vedere ogni avvenimento in Dio ed a penetrare più profondamente le verità della fede. Nello stesso tempo questo reciproco amore testimonia Cristo al mondo: “Da questo - egli ha detto - tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 35). E conquista il mondo a Cristo: “Siano... una cosa sola (con l'amore), perché il mondo creda...” (Gv 17, 21). Ed è stato ed è per questa testimonianza che il Movimento si è diffuso così ampiamente e si allarga sempre di più.

 

 

 

Comunione dei beni

 

L'amore reciproco, che ha come misura il dono della vita, fa pronti a mettere in comune le cose materiali. Così è successo a noi dall'inizio. Un giorno nel primo focolare, abbiamo prelevato le nostre poche e povere cose dall'armadio, e le abbiamo ammucchiate nel centro della stanza, per poi dare a ciascuna quel poco che le era necessario ed il superfluo ai poveri. Anche lo stipendio si è messo in comune, e così si è deciso per tutti i piccoli e grandi beni che avevamo o che avremmo avuto. Più tardi la comunità, fiorita attorno al focolare, ha preso l'abitudine di mettere in comune, mese per mese, il superfluo, che serviva a quelli che ne avevano bisogno. Oggi i membri di ogni diramazione del Movimento, laici e sacerdoti, hanno acquistato, riguardo alla comunione dei beni, una mentalità che fa ricordare i primi cristiani e vivono questa comunione con grande generosità (anche se in modi diversi). Per la nuova generazione dell'Opera poi, la comunione dei beni è una delle esigenze più vive e più forti.

I religiosi e le religiose del Movimento, che già attuano la povertà secondo le proprie regole, si sforzano di viverla con rinnovato impegno.

 

 

 

Comunione delle esperienze
e ammonimento reciproco

 

In modo analogo, per attuare il comandamento nuovo, si mettono in comune i beni spirituali. Le belle esperienze, che la nuova vita comporta (Dio illumina chi ama: “A chi mi ama... - dice Gesù - mi manifesterò” - cf. Gv 14, 21), vengono comunicate per amore, sempre nei limiti della prudenza e dell'opportunità. In particolare si comunicano le esperienze sulla Parola di vita, frase della Scrittura che ogni mese viene proposta all'attenzione e alla pratica di tutti. E così, mettendo in comune anche i beni spirituali, ad edificazione dei fratelli, si persegue e si lavora alla santità degli altri come alla propria: l'amore porta a santificarsi insieme.

Come fra i primi cristiani poi era in voga l'ammonimento reciproco - dice Paolo: “Ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza” (Col 3, 16) - così, sempre per l'amore vicendevole, specie fra i membri più impegnati del Movimento, si usa aiutarsi a eliminare i difetti che si possono costatare gli uni negli altri, e a evidenziare i pregi e le virtù per incoraggiarsi a camminare. Si è visto che questi atti d'amore nella verità provocano in tutti una gioia unica.

 

 

 

La norma delle norme

 

Ma tutto nella nostra Opera è animato dal comandamento nuovo di Gesù: le sue stesse strutture, le sezioni, le branche, i Movimenti a largo raggio, e ogni altra forma di aggregazione, hanno per statuto una norma che deve precedere tutte le altre: la presenza di Gesù in mezzo alla comunità per il mutuo amore. Anche ogni atteggiamento, come l'obbedienza e il comando, dove sono richiesti, vanno vissuti in questa carità

Ogni manifestazione del Movimento poi, come le Mariapoli, e le giornate e i Genfest, e ogni realizzazione, come le cittadelle permanenti e tutte le opere, poggia su questo pilastro. Ogni cosa deve essere fatta nella carità reciproca per la quale tutto acquista valore. Per cui alla nostra Opera si potrebbe dare il nome che Agostino dava spesso alla Chiesa: carità. Essa infatti deve portare dappertutto, e prima di tutto col suo esempio, l'amore reciproco in modo da realizzare l'unità, giacché il suo primo scopo specifico è: “che tutti siano uno.” (Gv 17, 21) Ed è questo modo di vivere che rende la nostra Opera perfettamente intonata con il nostro tempo.

 

 

 

“La Chiesa è carità”

 

Noi sappiamo che lo Spirito Santo nel Concilio Vaticano II, per ridare il vero volto alla Chiesa cattolica, esige oggi che essa si rimodelli sullo spirito dei primi cristiani.

E per il cristianesimo dei primi tempi la realtà originaria della Chiesa era proprio essere comunione, carità. Tutti gli altri valori della sua strutturazione erano considerati e avevano senso all'interno di questa realtà essenziale. C'è un'affermazione importante che Paolo VI ha fatto a Sydney quando ha parlato ai vescovi dell'Oceania: “La Chiesa è carità, la Chiesa è unità (...) Questa è, a noi sembra, la virtù principale, che è domandata alla Chiesa cattolica in quest'ora del mondo”. Ma, se ciò vale all'interno della Chiesa cattolica, vale - e tanto più, data la storia che ci sta alle spalle - per tutto il mondo cristiano: per le varie Chiese e comunità ecclesiali in loro stesse e nei loro reciproci rapporti. Perché: “dove è la carità è Dio”. E solo Dio può illuminare pienamente il cammino per il recupero dell'unità fra tutti anche nella verità. Cosicché quando vi sarà una sola Chiesa, si possa, in certo modo, ripetere per il mondo cristiano, prima diviso, le famose parole di Agostino: “Ciò che Babele disperse la Chiesa raccoglie; da una lingua ne vennero tante; non ti meravigliare: questo l'ha fatto la superbia. Molte lingue diventano una; non ti meravigliare: questo lo fa l'amore”. Il Movimento sogna questa Chiesa una nell'amore e nella verità, pur nella varietà. Ed ha un solo desiderio: portare il proprio contributo per la sua realizzazione. Solo così Gesù potrà svelare pienamente il suo volto agli sterminati popoli che ancora non lo conoscono e praticano altre religioni e conquistare quanti, per mille motivi, gli sono lontani.

 

Chiara Lubich