Una spiritualità che, rispettando e valorizzando ogni singola persona, ci fa uno, popolo di Dio a immagine della Trinità

 

La spiritualità collettiva:
suoi punti cardine

di Chiara Lubich

 

 

Incentrata nella reciprocità dell’amore e nell’unità, la spiritualità dei Focolari si contraddistingue per il suo profilo comunitario  o collettivo, tanto consono con i tempi di oggi. In una sua conversazione che abbiamo pubblicato l’anno scorso (cf Gen’s 1995/2), Chiara Lubich ne aveva messo a fuoco la caratteristica dinamica rispetto alle spiritualità classiche di taglio prevalentemente individuale. Nella conversazione qui riportata, l’autrice approfondisce l’argomento, rivisitando i primi sei punti cardine della spiritualità dell’unità con l’intento di evidenziare di ciascuno l’imprescindibile valenza comunitaria. Rivolgendosi in prima persona ai membri del Movimento dei focolari, traccia allo stesso tempo una incisiva linea-guida per la nostra epoca tanto avida di spiritualità e di comunione interpersonale.

C

ontinuiamo, anche quest’anno, ad approfondire la nostra spiritualità. Vorremmo cominciare col passare in rassegna, per viverli con approfondita coscienza e accresciuta responsabilità, i vari punti della nostra spiritualità collettiva, oggi fissati nei nostri statuti ed espressione perciò, per noi, della volontà di Dio. Lo facciamo per uno scopo preciso: nel rendere lode a Dio per averceli donati in tempi in cui il mondo che ci circondava lo richiedeva, vorremmo dimostrare come ognuno è proprio manifestazione di una spiritualità collettiva, un pilastro di essa. Cercheremo di vedere come esiga perciò, da chi lo attua, quel «di più» che la spiritualità collettiva reclama, e cioè la reciprocità dell’amore e l’unità.

Analizzeremo questi punti così come ci sembra lo Spirito Santo li abbia suggeriti, ancora quando siamo stati, le prime volte, illuminati su di essi.

Ci serviremo perciò di nostri scritti, lettere, ecc., soprattutto dei primi tempi del Movimento.

Dio Amore: sorgente dell’unità

Dio Amore: è il primo punto della nostra spiritualità. Oggi, a decenni di distanza dal primo manifestarsi di Dio Amore, viene in pieno rilievo quale grande dono esso sia stato non solo allora per noi prime focolarine, ma per i milioni di persone che poi hanno incontrato il Movimento, e quanto lo sia per l’umanità della nostra epoca.

Rileggendo quell’evento nel suo contesto storico, si comprende quanto esso fosse pure necessario.

Non solo si era raggiunti dalla drammaticità del secondo conflitto mondiale, che seminava distruzione e morte, ma più interiormente anche da una visione ateistica e secolarizzata della vita e del mondo, che si era andata via via formando e sfociava o nella negazione assoluta di Dio e, conseguentemente, dell’uomo, o nella sofferta ricerca del senso della propria esistenza e, comunque, nella critica di un’immagine di Dio immobile, impassibile, lontano.

Nella coscienza dei cristiani, quindi, nel loro modo di pensare e di agire, non era più così viva la realtà di Dio Amore che l’apostolo Giovanni aveva annunciato. Tanto meno poi era presente – particolarmente in occidente – la ricca dottrina che i Padri della chiesa come Agostino, Basilio, Gregorio di Nissa, Massimo il Confessore, ecc, e i grandi teologi come, nel medioevo, Bernardo di Chiaravalle, Tommaso d’Aquino, Bonaventura, Duns Scoto, ecc., avevano sviluppato su questo mistero centrale della nostra fede.

È vero: vi erano le stupende pagine, in cui innumerevoli santi, mistici e mistiche della chiesa d’oriente e d’occidente (da Francesco d’Assisi a Caterina da Siena, da Brigida di Svezia a Gertrude la Grande a Teresa d’Avila e Giovanni della Croce, da Ignazio di Loyola a Maria Maddalena de’ Pazzi), ci hanno trasmesso la loro unione con Dio e l’esperienza del suo infinito amore. Ma, se confermavano e illustravano l’approfondimento progressivo che la chiesa, guidata dallo Spirito Santo, era andata facendo della realtà di Dio Amore e rimanevano un prezioso nutrimento spirituale per ogni epoca, riflettevano però – come abbiamo notato l’anno scorso – una spiritualità piuttosto individuale, non adeguata perciò alle nuove esigenze spirituali del nostro tempo, caratterizzato dall’intensificarsi dei rapporti interpersonali e dall’interdipendenza fra i popoli.

La prima scintilla

Fu proprio in questo contesto che il Signore ci rivelò nuovamente, col carisma dell’unità, Dio come Amore, accendendo così quella che il Santo Padre Giovanni Paolo II ha definito: «La prima scintilla ispiratrice».

Bisogna dire che nella mia fede, per la particolare formazione cristiana che avevo avuto in precedenza, ero predisposta ad accettare la realtà di Dio come Amore. Ma, fra altre circostanze, che la richiamavano fortemente in quei giorni, l’espressione «Dio la ama immensamente», che mi fu rivolta – come si sa –, ha fatto come esplodere quella realtà, che – mi sembra importante rilevarlo – non si è fermata a me soltanto. Anzi! È divenuta subito patrimonio comune.

«Lo dico – così ho scritto allora – lo ripeto alle mie compagne: “Dio ci ama immensamente’’, “Dio ti ama immensamente’’».

E da quel momento noi, prime focolarine, abbiamo scorto Dio presente dappertutto col suo amore: nelle nostre giornate, nei nostri slanci, nei nostri propositi, negli avvenimenti gioiosi e confortanti, nelle situazioni tristi, scabrose, difficili.

Egli c’era sempre, c’era in ogni luogo e ci spiegava che tutto è amore: ciò che eravamo e ciò che ci riguardava; che eravamo figlie sue ed egli ci era Padre; che nulla sfuggiva al suo amore, nemmeno gli sbagli che commettevamo, perché egli li permetteva; che il suo amore avvolgeva i cristiani come noi, la chiesa, il mondo, l’universo.

Una novità era quindi balenata alla nostra mente: Dio è Amore.

E questa novità assoluta ci rendeva coscienti che Dio non era più lontano, inaccessibile, estraneo alla nostra vita, ma anzi che egli cercava e raggiungeva me, noi, con l’immensità del suo amore.

Dio Amore andava emergendo così nelle nostre anime come la realtà più reale e vera di ogni altra realtà. E, mentre la guerra sottolineava la transitorietà e la precarietà di ogni cosa, noi sceglievamo lui come ideale della nostra vita.

Altrettanto immediata e significativa è stata la risposta che Dio ha suscitato in quelle prime focolarine.

In una lettera del 1944, che ci trasmette il clima di quei primi mesi, è descritta l’irruzione di luce e di fuoco con cui Dio Amore si è fatto allora presente nella nostra vita e – questo è interessante – vi si intuisce già il legame profondissimo che ciò provocherà in noi:

«Tu sei stata con me abbagliata dalla luminosità infuocata di un ideale che tutto supera e tutto riassume: dall’infinito amore di Dio!

«È lui il mio e il tuo Dio che ha stabilito fra noi un legame forte più della morte (...)».

In Dio Amore era dunque la viva sorgente di quell’unità che l’Opera di Maria è chiamata a vivere e irradiare fra gli uomini, per contribuire all’attuazione del testamento di Gesù. Nel credere all’amore di Dio – che egli stesso ci ha fatto «conoscere» («E noi abbiamo conosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi»: 1Gv 4, 16) – inizia la nostra spiritualità, che è già caratterizzata dall’unità e si preannuncia, quindi, come una spiritualità collettiva.

Più ci avviciniamo a Dio,
più ci avviciniamo fra noi

Poi la volontà di Dio, altro punto. A Dio che ci ama immensamente rispondiamo cercando di amarlo immensamente. Noi non avremmo avuto senso nel mondo se non fossimo state una piccola fiamma di questo infinito braciere: amore che risponde all’Amore.

Ma come?

«AmateLo! – è scritto in una lettera del 1943. Ascoltate quello che vuole da voi in ogni attimo della vostra vita.

«Fate ciò con tutto lo slancio del vostro cuore (...)».

Per amare Dio, dunque, fare la sua volontà.

Fin dai primi anni della nostra nuova vita, ci raffiguriamo il nostro vivere la volontà di Dio con l’immagine del sole e dei raggi, come si trova descritta in un’altra lettera:

«Guarda al sole e ai suoi raggi.

«Il sole è simbolo della volontà divina, che è lo stesso Dio.

«I raggi sono questa divina volontà su ciascuno.

«Cammina verso il sole nella luce del tuo raggio, diverso e distinto da tutti gli altri, e compi il meraviglioso, particolare disegno che Dio vuole da te.

«Infinito numero di raggi, tutti provenienti dallo stesso sole: unica volontà, particolare su ciascuno.

«I raggi, quanto più si avvicinano al sole, tanto più si avvicinano fra loro.

«Anche noi (...), quanto più ci avviciniamo a Dio con l’adempimento sempre più perfetto della divina volontà, tanto più ci avviciniamo fra noi... finché saremo tutti uno»1.

Tutti uno. Il fare ciascuno la volontà di Dio ci fa tutti uno.

Per questo, per esser tutti uno, si esorta subito a dire il proprio «Sì» fortissimo, totalitario, attivissimo alla volontà di Dio.

«Diciamo con tutto l’ardore del nostro cuore “Sì’’ sempre alla volontà di Dio. (...)

«Se tutte faremo la volontà di Dio, saremo prestissimo quella perfetta unità che Gesù vuole in terra come in cielo! (...)

«Questo vi invito a fare, tutte. Perché su tutte Iddio ha posto una magnifica stella, la sua particolare volontà su ciascuno di noi, seguendo la quale arriveremo unite in Paradiso e vedremo dietro la nostra luce camminare molte stelle!»2.

«Quando (...) la volontà di Dio sarà fatta in terra come in Cielo, il Testamento di Gesù avrà il suo compimento»3.

Anche questo secondo caposaldo della nostra spiritualità – fare la volontà di Dio – che, a primo avviso, sembrerebbe espressione d’una spiritualità individuale – ci viene rivelato dal carisma con una spiccata dimensione collettiva, un «di più» di fronte alle altre spiritualità, nelle quali l’aspetto individuale sembra prevalere su quello comunitario.

In queste, infatti è in genere il singolo cristiano che, compiendo sempre più perfettamente la volontà divina, può raggiungere l’unione con Dio, fino al vertice della sua trasformazione in Cristo4.

Nella nostra spiritualità, scaturita dal carisma dell’unità, si è coscienti che, vivendo la volontà di Dio, si diventa sempre più uno non solo con Dio, ma anche fra noi: ci si trasforma quindi sia personalmente che collettivamente in Cristo.

Questo legame fra volontà di Dio e l’unità è affermato in un bel brano da Pietro Crisologo:

«“Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra’’(Mt 6, 10)! Come in cielo così anche sulla terra. Allora tutto sarà cielo; allora l’unica mente di Dio guiderà tutti; allora tutti (saranno) in Cristo e Cristo (sarà) in tutti, quando tutti gusteranno e compiranno la volontà di Dio solo. Allora tutti saranno una cosa sola, anzi uno solo (Cristo) tutti (...)»5.

Amare ed essere amati

Terzo punto: l’amore del prossimo. La volontà di Dio è Dio e Dio è Amore. La sua volontà, quindi è amore. E vuole che anche noi amiamo: Lui con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e ogni prossimo come noi stessi (cf Mt 22, 37-39).

Anche noi, dovevamo nella vita essere amore: piccoli soli accanto al Sole.

Se la parola «amore», in quell’epoca indicava comunemente il sentimento naturale che lega tra loro un uomo e una donna, o l’erotismo; e non era usata in genere nel linguaggio religioso, dove si preferiva il termine carità, col significato però restrittivo di elemosina, la particolare manifestazione di Dio Amore, che avevamo avuto, e il contatto diretto con la Parola di Dio, ci avevano rimesso in luce il suo significato cristiano.

Anzi abbiamo subito intuito che l’amore era il cuore del messaggio cristiano, ed era quindi dovere assoluto metterlo in pratica.

Si è iniziato con l’amare i poveri, ma ben presto, per questa pratica – giacché l’amore porta luce – si è capito che esso doveva esser rivolto a tutti.

Ma come? Servendo, si diceva. «Servendo» che lo Spirito ci ha spiegato ben presto con due parole: «Farsi uno».

«Farsi uno – si legge in uno scritto – con ogni persona che incontriamo: condividere i suoi sentimenti; portare i suoi pesi; sentire in noi i suoi problemi e risolverli come cosa nostra, fatta nostra dall’amore:

«Farsi uno con gli altri in tutto, fuorché nel peccato.

«È il “farsi tutto a tutti’’ di san Paolo (cf 1Cor 9, 22).

«Questo “farsi uno’’ esige la continua morte di noi stessi. Ma è proprio per questo che il prossimo, amato così, prima o poi, viene conquistato da Cristo che vive in noi sulla morte del nostro io»6.

Ma quand’è così, il fratello risponde al nostro amore con il suo amore. Ed ecco l’amore al prossimo che sfocia nella reciprocità.

«Quanti prossimi incontri nella giornata tua, dall’alba alla sera – troviamo scritto – in altrettanti vedi Gesù.

«Se il tuo occhio è semplice, chi guarda in esso è Dio. E Dio è Amore e l’Amore vuole unire, conquistando. (...)

«Guarda fuori di te: non in te, non nelle cose, non nelle creature: guarda al Dio fuori di te per unirti a lui.

«Egli è in fondo ad ogni anima che vive e, se morta, è il tabernacolo di Dio che attende a gioia ed espressione della propria esistenza.

«Guarda dunque ogni fratello amando e l’amare è donare. Ma il dono chiama dono e sarai riamato.

«Così l’amore è amare ed essere amato: come nella Trinità.

«E Dio in te rapirà i cuori, accendendovi la Trinità che in essi riposa magari per la grazia, ma vi è spenta. (...)

«Guarda dunque ad ogni fratello, donandoti a lui per donarti a Gesù e Gesù si donerà a te. È legge d’amore: “Date e vi sarà dato’’.

«Lasciati possedere da lui (dal fratello) per amore di Gesù; lasciati “mangiare’’ da lui, come altra Eucaristia; mettiti tutto al servizio di lui, che è servizio di Dio, ed il fratello verrà a te e t’amerà. (...)

«L’amore è un fuoco che compenetra i cuori in fusione perfetta.

«Allora ritroverai in te non più te, non più il fratello; ritroverai l’Amore che è Dio vivente in te.

«E l’Amore uscirà ad amare altri fratelli perché, semplificato l’occhio, ritroverà Sé in essi e tutti saranno uno. (...)»7.

E «tutti saranno uno». Non quindi un amore qualunque, ma l’amore che porta l’unità.

Reciprocità, perciò, e unità: il «di più» della nostra spiritualità collettiva in un altro punto di essa.

Parole vive per essere uno

La Parola di vita: quarto punto. Scoperta l’unicità e l’universalità delle Parole di Dio – sin dai tempi dei rifugi – venne in noi il desiderio di tradurle in vita ad una ad una. E così cominciò una pratica che dura tuttora, cinquant’anni dopo, e che non si esaurirà mai.

Scrivevo nel ’48:

«Abbiamo capito che il mondo ha bisogno di una cura di (...) Evangelo perché solo la Buona Novella può ridargli quella vita che gli manca.

«Ecco perché noi viviamo la Parola di vita. (...)

«L’incarniamo in noi fino al punto di essere quella Parola vivente. Ogni Parola nel Vangelo è uguale all’altra perché contiene la Verità, come un pezzettino di Ostia Santa contiene Gesù.

«Basterebbe una parola per santificarci, per essere un altro Gesù.

«E tutti la possiamo vivere, di qualunque vocazione, di qualunque età, sesso, condizione noi siamo, perché Gesù è Luce per ogni uomo che viene in questo mondo. (...)

«Così e solo così: facendo la verità, amiamo! Altrimenti l’amore è un sentimentalismo vuoto. (...)

«Siamo Vangeli viventi, Parole di vita, altrettanti Gesù! (...) e imiteremo Maria S.S. la Madre della Luce, del Verbo; il Verbo vivente.

«Noi non abbiamo altro libro all’infuori del Vangelo, non abbiamo altra scienza, altra arte.

«Lì è la Vita!

«Chi la trova, non muore»8.

Ma ben presto s’intravede che la vita della Parola ci fa uno fra noi.

«E pur lontani, chi al monte e chi al mare, una Luce ci legherà, impercettibile ai sensi ed ignota al mondo, ma cara a Dio (...) più che ogni altra cosa: la Parola di vita.

«Possiamo esser uno solo al patto di essere ognuno un altro Gesù: un’altra Parola di Dio vivente»9.

E, alludendo all’esempio dell’innesto delle piante dove le due parti scorzate, perché «vive», diventano una sola cosa, si affermava:

«Quando due anime potranno consumarsi in uno? Quando saranno “vive’’, cioè quando saranno “scorzate’’ dell’umano, (...) e mediante la Parola di vita vissuta, incarnata, saranno Parole Vive. Due Parole Vive possono consumarsi in uno. Se una non è Viva, l’altra non può unirsi»10.

Ma il «di più» in questo punto della nostra spiritualità collettiva e cioè la reciprocità e l’unità, emergono in tutta la loro evidenza considerando il modo che avevamo di vivere le Parole e che tutt’ora pratichiamo.

A noi non basta viverle ciascuno per conto proprio.

No: è necessario poi comunicarci reciprocamente tra fratelli le nostre esperienze su di esse. In questa maniera il membro del Movimento si evangelizza e cioè si trasforma in altro Gesù, sia per lo sforzo che lui pone in questo vivere, sia in quello che fa per accogliere in sé la luce, l’esperienza dell’altro. Ci si evangelizza quindi come singoli e come comunità: siamo sempre più Gesù singolarmente e collettivamente.

La legge del cielo

L’amore reciproco: quinto punto. Come si è visto, dall’amore al fratello, dal farsi uno con lui, è scaturito tra le prime focolarine l’amore reciproco, il cuore del Vangelo: «Come io vi ho amati, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13, 34).

Quel «come io ho amato voi», preso alla lettera, con la disposizione, dichiarata a esser pronte a dare la vita l’una per l’altra, a cedere ogni cosa per i fratelli come lui fece nell’abbandono, ove per noi perse persino la sensazione della sua unione con Dio – e di ciò parleremo subito – fece, di questo, il tipico comandamento della spiritualità collettiva perché aveva in sé il «di più» che essa esige: la reciprocità, e come vedremo, anche l’unità.

Altre volte nella storia della chiesa nelle Regole era stato richiesto questo comandamento dai santi fondatori ai loro discepoli.

Dice la Regola di sant’Agostino ad esempio: «Il motivo essenziale per cui vi siete insieme riuniti è che viviate unanimi nella casa e abbiate unità di mente e di cuore protesi verso Dio»11.

Quella di san Benedetto:

«(...) si prevengano l’un l’altro nel rendersi onore, (...) si prestino a gara obbedienza reciproca, nessuno cerchi il proprio utile, ma piuttosto quello degli altri, (si) tributino carità di fraternità con puro amore, (...)»12.

E quella di san Francesco:

«E si amino scambievolmente, come dice il Signore: “Questo è il comandamento mio: che vi amiate scambievolmente come io ho amato voi’’. Mostrino con le opere l’amore, che hanno fra di loro, come dice l’apostolo: “Non amiamo a parole né con la lingua, ma con le opere e in verità’’. (...) Non guardino ai piccoli difetti degli altri, anzi pensino più ai loro nell’amarezza della loro anima»13.

Ma quello che si nota in queste splendide regole è che – a quanto sembra – non sempre si è proseguito il discorso per rendere esplicito quel «come».

Nel Movimento, fin dai primi tempi, si è capito che la fedeltà all’amore reciproco, vissuto sul modello di Gesù crocifisso e abbandonato, (ecco il come!) sarebbe sfociato nell’unità secondo la vita della Santissima Trinità.

«Sai fino a che punto dobbiamo amarci?», ci siamo dette un giorno senza aver conosciuto fino allora il Testamento di Gesù: «Fino a consumarci in uno»14. Come Dio che, essendo Amore, è Trino e Uno.

È proprio «la legge del Cielo» – scrivevo allora – che Gesù ha portato sulla terra.

«È la vita della Santissima Trinità che noi dobbiamo cercare di imitare, amandoci tra noi, con la grazia di Dio, come le Persone della Santissima Trinità si amano tra loro»15.

E il dinamismo della vita intratrinitaria è incondizionato reciproco dono di sé, è totale ed eterna comunione («Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie»: Gv 17, 10) tra Padre e Figlio nello Spirito.

Analoga realtà dunque si è avvertito essere impressa da Dio nel rapporto tra gli uomini. «Ho sentito – si scriveva ancora – che io sono stata creata in dono a chi mi sta vicino e chi mi sta vicino è stato creato da Dio in dono per me. Come il Padre nella Trinità è tutto per il Figlio ed il Figlio è tutto per il Padre»16. E «il rapporto tra noi è lo Spirito Santo, lo stesso rapporto che c’è fra le Persone della Trinità»17.

La chiave dell’unità:
Gesù abbandonato

Gesù abbandonato: sesto punto. Gesù Abbandonato è il «di più» della Passione e nella Passione. Gesù aveva perduto discepoli e madre; stava per perdere la vita che gli uomini gli strappavano con la flagellazione, la corona di spine, i chiodi, il sangue che versava, con l’averlo affisso in croce.

Gli rimaneva la sua unione con Dio, Padre suo. Si sottomise a perdere, a rinunciare pure a quella: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?» (Mt 27, 46). E con tutto ciò s’immolava per noi.

È un «di più» il suo abbandono che, come noi conosciamo attraverso la nostra spiritualità, porta – come anche dicono i nostri statuti – a quella «spogliazione interiore ed esteriore» necessaria per ogni forma d’unità.

Fu capito tutto ciò da noi sin dal 24 gennaio ’44 quando, dopo nemmeno due mesi da quello che noi riteniamo l’inizio del Movimento, il 7 dicembre ’43, ci imbattemmo, attraverso una circostanza nota, in questo dolore di Gesù. Giorno, quel 24 gennaio, nel quale si decise la nostra donazione a lui, come al più grande amore.

In Gesù Abbandonato – lo capiremo ben presto – si contemplò la «chiave dell’unità».

Lo testimoniano alcune lettere.

Ecco tre brani.

«E (...) non è stato ancora compreso da voi che l’Ideale più grande che un cuore umano può desiderare – l’unità – è un vago sogno ed una chimera se chi lo vuole non pone nel suo cuore come unico tutto: Gesù da tutti abbandonato, anche dal Padre suo? (...)

«È solo a forza di abbracciare con tutto il cuore Gesù Abbandonato, tutto una piaga nel corpo e tutto una tenebra nell’anima, che l’anima vostra si formerà all’unità»18.

E ancora:

«Egli è tutto! Se il mondo Lo conoscesse! Se le anime che seguono l’unità Lo accogliessero come unica mèta, come unico tutto! Allora l’Unità non avrebbe mai più squilibri, mai più rotture»19.

E poi un’altra lettera:

«(...) Sono convinta che l’unità nel suo aspetto più spirituale, più intimo, più profondo, non può essere capita che da quell’anima che ha scelto per sua porzione nella vita (...) Gesù Abbandonato che grida: “Dio mio, Dio mio, perché anche Tu mi hai abbandonato?’’ (...)

«Ogni luce sull’unità, scaturisce da quel grido.

«Sceglierselo per unico scopo, unica mèta, punto d’arrivo della propria vita e... generare all’unità un’infinità di anime»20.

« (...) Che cosa manca a lui così angosciato?

«Quale medicina per guarire il suo dolore?

«Dio!

«È Dio che gli manca!

«Come darglielo noi?

«Stando uniti lo avremo fra noi e Gesù che nascerà dalla nostra unità consolerà il nostro amore crocifisso!»21.

 

Questi i primi sei punti della nostra spiritualità caratterizzati fortemente dalla reciprocità e dall’unità.

Mettendoli in pratica saremo certi di camminare nella via meravigliosa collettiva, che Dio ha aperto a noi ed, attraverso noi, a molti.

Al prossimo anno l’analisi degli altri sei.

Chiara Lubich

 

 

1)     C. LUBICH, Scritto, 27.10.1947.

2)     Id., Lettera, Natale 1946; cf Scritti Spirituali/4, Roma 1995 (2.a ed.), pp. 274-275.

3)    Id., Scritto, 27.10.1947.

4)     Cf S.TERESA DI GESU’, Cammino di perfezione, in Opere, Roma 1958 (3.a ed.), p. 704; S.GIOVANNI DELLA CROCE, Salita del Monte Carmelo II, 5, 3-4, in Opere, Roma 1979 (4.a ed.), pp. 79-80; Fiamma viva d’amore 3, 68, in Ibid., p. 1028.

5)     PIETRO CRISOLOGO, Sermoni, 72: PL 52, 406.

6)     Cf C. LUBICH, L’ansia del nostro tempo, in Città Nuova 18 (1982) p. 38.

7)      Id., Scritto, novembre 1949.

 8)     Id., Lettera, 17.8.1948.

 9)     Id., Lettera, fine giugno 1949.

10)   Id., Lettera, 23.10.1948.

11)   Regola, I, 3.

12)   Regola, LXXII.

13)   Regola non bollata, XI.

14)   C. LUBICH, Unità e comunità. I. La comunità cristiana, in Fides, ottobre 1948, p. 4.

15)   Id., Sintesi della spiritualità, in Mariapoli ’68, Roma 1968, p. 76.

16)   Cf C. LUBICH, Scritti Spirituali/1, Roma 1991 (3.a ed.), p. 134.

17)   Cf Id., Scritto, 1950.

18)   Id., Lettera, 17.2.1949.

19)   Id., Lettera, 23.4.1948.

20)    Id., Lettera, 30.3.1948.

21)   Id., Lettera, 1.4.1948.