«L’umanità ritroverà l’unità per la quale Dio l’ha creata e le Chiese vivranno in piena comunione come Egli ha pensato e fondato la sua Chiesa»

 

Una spiritualità
per la riconciliazione

di Chiara Lubich

 

 

Pensiamo di fare cosa gradita ai nostri lettori, in vista della Settimana di preghiere per l’unità dei cristiani, trascrivendo il discorso di Chiara Lubich alla IIª Assemblea ecumenica europea a Graz il 23 giugno di quest’anno. Esso è stato accolto da un caloroso e significativo applauso per la speranza che apre all’ecumenismo in questo momento particolarmente delicato.

 

S

 antità, Sua Grazia, Eminenze, Eccellenze, Autorità religiose e civili, Signore e Signori, Sorelle e Fratelli.

Anzitutto un augurio: che questi giorni siano per tutti noi momenti di Dio, per la sua gloria e la pienezza della nostra gioia!

“Riconciliazione: dono di Dio e sorgente di vita nuova” è – come sappiamo – il tema di questa IIª Assemblea ecumenica europea. Riconciliazione nel senso più vasto della parola.

Anzitutto quella che è prioritaria: la riconciliazione con Dio.

Poi riconciliazione tra le Chiese per arrivare all’unità visibile; e ancora riconciliazione con le altre religioni, come è possibile attraverso il dialogo; e pure riconciliazione fra le culture, fra i popoli; e fra l’uomo e la natura...

In questo mio intervento, voglio anzitutto rendere grazie a Dio per il Suo dono gratuito: senza di esso non si può parlare d’unità.

Poi desidero prendere in considerazione la riconciliazione fra le Chiese, ispirata dallo Spirito Santo. Egli, infatti, sta alle origini del vasto Movimento ecumenico, che ha manifestato finora in tutto il mondo una vitalità impensata. Ha suscitato gruppi di preghiera, attività molteplici, nuove istituzioni, strutture particolari e movimenti nelle varie Chiese e comunità ecclesiali.

E del complesso Movimento ecumenico mi soffermerò su un suo particolare.

Ecclesiologia di comunione

Come si sa, Cristo ha fondato la sua Chiesa una e unica, che tutti i cristiani del mondo professano nel Credo niceno-costantinopolitano: «Credo la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica»1.

C’è un’unica Chiesa di Cristo, dunque, in cui si entra con il battesimo, il quale è «il vincolo sacramentale dell’unità che esiste fra tutti i cristiani»2.

Sappiamo però che non basta essere uniti solo spiritualmente nel comune battesimo. «Il fine ultimo del Movimento ecumenico è, infatti, il ristabilimento della piena unità visibile di tutti i battezzati»3.

E qui mi sembra venga in rilievo il ruolo fondamentale dell’ecclesiologia. È così.

Ma di quale ecclesiologia si tratta?

Il cardinale Willebrands, quasi profeticamente, scrisse che «un’approfondita ecclesiologia della comunione è forse la grande possibilità dell’ecumenismo di domani. La restaurazione dell’unità della Chiesa – ha continuato – va ricercata secondo le direttive di questa ecclesiologia, che è a un tempo molto antica [...] e molto moderna»4.

E oggi, l’ecclesiologia di comunione (koinonia) è ormai accettata nei dialoghi teologici fra le Chiese come il modo di concepire la Chiesa e l’unità ecclesiale: «La Chiesa trova il proprio modello, la propria origine e il proprio compimento nel mistero del Dio uno in tre Persone»5.

Si fa insistente però ovunque una domanda: c’è qualcosa che possa far funzionare queste giuste intuizioni ecclesiologiche?

E a questo proposito, il Consiglio Ecumenico delle Chiese, ed altri, cercano una spiritualità ecumenica6.

In Italia un pastore valdese afferma che «la mancanza di una spiritualità ecumenica, rende il compito molto più difficile e gravoso»7.

Spiritualità ecumenica, dunque, spiritualità di comunione. Ma abbiamo oggi a portata di mano una spiritualità del genere?

Possiamo pensare che esistano sforzi lodevoli per raggiungere anche tale obiettivo. Forse si conoscono, forse non si conoscono, perché le cose serie, quelle di Dio, crescono piuttosto nel silenzio.

Se esse però sono effetto dello Spirito, l’unità non è solo un sogno o un’utopia: è una reale possibilità.

Una spiritualità ecumenica

Ci si può chiedere, comunque, ancora: quali dovrebbero essere i punti fermi, i cardini, indispensabili, di una spiritualità ecumenica degna di questo nome?

Considerando che la Chiesa è realtà divina oltre che umana, un primo cardine non può non essere: Dio, e – dato che questa spiritualità è spiritualità di comunione – Dio per quello che è: Amore8.

Credere che Dio è Amore

Se noi cristiani, infatti, ora, all’alba del terzo millennio, diamo nuovamente uno sguardo alla nostra storia di 2000 anni ed in particolare a quella del secondo millennio, non possiamo non rimanere ancora contristati nel costatare come essa è stata spesso un susseguirsi di incomprensioni, di liti, di lotte che hanno spezzato in molti punti la tunica inconsùtile di Cristo, che è la sua Chiesa9.

Colpa di chi? Certamente di circostanze storiche, culturali, politiche, geografiche, sociali... Ma anche del venir meno fra i cristiani di un elemento unificatore loro tipico: l’amore. Proprio così.

E allora per poter tentare oggi di rimediare a tanto male, per attingere nuova forza per ricominciare, dobbiamo volgere lo sguardo proprio là dov’è il principio della nostra comune fede, in Dio Amore, la grande rivelazione del mistero cristiano.

In questi tempi è proprio Dio Amore che, in certo modo, deve nuovamente tornare a rivelarsi al nostro cuore di singoli cristiani, così come alla Chiesa che componiamo.

Anzitutto a ciascuno di noi. Come si può, infatti, pensare di poter amare gli altri per una riconciliazione, se non ci si sente profondamente amati? Se non è viva in tutti noi, cristiani, la certezza che Dio ci ama?

Il fatto è però che, se, per fede, sappiamo che Dio è Amore, spesso non lo abbiamo presente e viviamo come fossimo soli su questa terra, come se non esistesse un Padre che ci segue in tutto e per tutto; che, se conta persino i capelli del nostro capo, sa tutto di noi; che tutto vuol far concorrere al nostro bene: ciò che di buono facciamo e lo stesso male che Egli permette.

Per intraprendere con frutto a vivere una spiritualità di riconciliazione occorre, nell’oggi del mondo e della Chiesa, che noi possiamo, con piena convinzione e nella verità, ripetere come nostre le parole dell’evangelista Giovanni: «... noi crediamo all’amore»10.

Ma Egli non ci ama solo come singoli cristiani, ci ama pure come Chiesa. E ama la Chiesa per quanto si è comportata nella storia secondo il disegno che Dio aveva su di essa. Ma anche – e qui è la meraviglia della misericordia di Dio – la ama per quanto non vi ha corrisposto, essendosi i cristiani divisi, se però ora essi ricercano la piena comunione nella divina volontà.

È questa consolantissima convinzione che ha fatto sì che Giovanni Paolo II, fidando in Colui che trae il bene dal male, alla domanda: «Perché lo Spirito Santo ha permesso tutte queste divisioni?», pur ammettendo che può essere stato per i nostri peccati, ha aggiunto: «Non potrebbe essere (...) che le divisioni siano state (...) una via che ha condotto e conduce la Chiesa a scoprire le molteplici ricchezze contenute nel Vangelo di Cristo e nella redenzione da Lui operata? Forse tali ricchezze non sarebbero potute venire alla luce diversamente...»11.

Credere, dunque, a Dio, che è Amore, per noi e per la Chiesa: questo il punto di partenza.

Rievangelizzarsi

Ma, se Dio ci ama, noi non possiamo rimanere inerti di fronte a tanta divina benevolenza. Da veri figli dobbiamo contraccambiare il suo amore e anche qui come singoli e come Chiesa.

Come singoli comportandoci così come ha fatto Gesù: volendo la volontà del Padre al posto della nostra. Ripetendo anche noi: «Mio cibo è fare la volontà del Padre mio»12. Quella divina volontà che, sappiamo, è scritta nella Sacra Scrittura, specie nel Nuovo Testamento.

È un dovere, per chi vuol impegnarsi nella riconciliazione, e quindi un cardine di una possibile spiritualità ecumenica, vivere le parole del Vangelo, una ad una, per rievangelizzarsi nel proprio modo di pensare, di vedere, di amare.

Diceva il card. Bea, che più i cristiani vivono la Parola, più essa li fa simili a Gesù e con ciò più simili fra loro e più uniti fra loro13.

Amare la chiesa altrui
come la propria

Tutte le parole della Sacra Scrittura, specie del Nuovo Testamento, vanno fatte proprie dai cristiani; in particolare poi quella in cui si compendiano la Legge e i profeti: l’amore fraterno.

Sarà autentico cristiano della riconciliazione solo chi sa amare gli altri con la carità stessa di Dio, che fa vedere Cristo in ognuno, che è destinata a tutti (Gesù è morto per tutto il genere umano), che prende sempre l’iniziativa; quella carità che fa amare ognuno come sé, che ci fa uno con i fratelli e le sorelle: nei dolori, nelle gioie...

E occorre che anche le Chiese amino con questo amore.

«L’amore con il quale mi hai amato sia in essi, e io in loro»14, ha pregato Gesù. E noi invece sempre pronti ad obliare il suo testamento, a scandalizzare, con le nostre divisioni, il mondo, che dovevamo conquistarGli.

Ogni Chiesa nei secoli si è, in certo modo, pietrificata in se stessa per le ondate di indifferenza, di incomprensione, se non di odio reciproco. Occorre perciò in ognuna un supplemento d’amore; occorrerebbe anzi che la cristianità venisse invasa da una fiumana d’amore.

Amore e amore reciproco, dunque, fra i cristiani e amore reciproco fra le Chiese. Quell’amore che porta a mettere tutto in comune, diventando ognuna dono alle altre, cosicché si possa prevedere nella Chiesa del futuro che una ed una sola sarà la verità, ma espressa in varie maniere, osservata da varie angolazioni, abbellita da molte interpretazioni.

Nel libro “Varcare la soglia della speranza”, Giovanni Paolo II scrive: «Bisogna che il genere umano raggiunga l’unità mediante la pluralità, che impari a raccogliersi nell’unica Chiesa, pur nel pluralismo delle forme del pensare e dell’agire, delle culture e delle civiltà»15.

Non è che una Chiesa o l’altra dovrà “morire” (come, a volte, si teme), ma ognuna dovrà rinascere nuova nell’unità.

E vivere in questa Chiesa in piena comunione sarà una realtà meravigliosa, affascinante come un miracolo, che susciterà l’attenzione e l’interesse di tutto il mondo.

Amarsi fino a dare la vita...

Amore reciproco però che è veramente evangelico, e quindi valido, se praticato nella misura voluta da Gesù: «Amatevi gli uni gli altri – Egli ha detto –, come io vi ho amato. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici»16.

Ma in quale modo è morto Gesù? Egli, nella sua passione e morte, non ha sofferto solo per l’agonia nell’orto, per la flagellazione, per la corona di spine, per la crocifissione, ma anche per quel culmine del suo dolore, che ha espresso nel grido: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»17, patire che, come affermano teologi e mistici, fu la sua prova più alta, la sua tenebra più nera.

Ora, sembra che, allo scopo di edificare pienamente la comunione nell’amore vicendevole, sia necessario oggi contemplare e rispecchiarsi particolarmente in quel dolore.

E si capisce.

Se Gesù era chiamato a porre rimedio al peccato del mondo e quindi alla divisione degli uomini staccati da Dio e, di conseguenza, disuniti fra loro, non poteva compiere questa sua missione se non sperimentando in sé un’abissale separazione: quella di Lui, Dio, da Dio, sentendosi abbandonato dal Padre.

Gesù però riabbandonandosi al Padre («Nelle tue mani consegno il mio spirito»18), ha superato quell’immenso dolore e ha riportato così gli uomini in seno al Padre e nel reciproco abbraccio.

Gesù abbandonato:
stella luminosa dell’ecumenismo

Ma se le cose stanno così, non sarà difficile vedere in Lui, proprio in Lui, la stella più luminosa che deve illuminare il cammino ecumenico; la perla, che occorre scoprire, per portare grande frutto.

Una spiritualità ecumenica sarà feconda in proporzione di quanto, chi vi si dedica, vedrà in Gesù crocifisso e abbandonato, che si riabbandona al Padre, la chiave per capire ogni disunità e per ricomporre l’unità.

Occorrono, per un proficuo ecumenismo, cuori toccati da Lui, che non Lo fuggono, ma Lo capiscono, Lo amano, Lo scelgono e sanno vedere il suo volto divino in ogni disunità che incontrano; e trovano in Lui la luce e la forza per non fermarsi nel trauma, nello spacco della divisione, ma per andare sempre al di là e trovarvi rimedio, tutto il rimedio possibile.

L’unità
e la presenza di Cristo tra noi

L’amore reciproco porta poi ad attuare l’unità. E l’unità non può non essere un ulteriore cardine di una spiritualità ecumenica.

Gesù, prima di essere messo in croce, prima di soffrire l’abbandono del Padre, aveva pregato in una lunga preghiera per l’unità: «Padre, che tutti siano uno»19.

E l’unità vissuta ha un effetto, che è pure esso, per così dire, un pezzo forte per un ecumenismo vivo. Si tratta della presenza di Gesù fra più uniti nel suo nome. «Dove due o tre – ha detto Gesù – sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro»20.

I Padri della Chiesa spesso, per spiegare la presenza di Gesù nella Chiesa, si basano su due frasi: «Dove sono due o tre...», appena citata, e «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo»21.

Vivendo con Gesù in mezzo a noi, presente per l’amore reciproco, ci si inserisce più vitalmente nella presenza di Gesù nella Chiesa.

E questo è un vincolo già forte! È un aiuto nel cammino verso l’unità visibile! Gesù fra un cattolico ed un evangelico che si amano, fra anglicani e ortodossi, fra un’armena e una riformata... È un dono, fra il resto, che rende meno penosa l’attesa del tempo in cui sarà condiviso da tutti noi sotto le specie eucaristiche.

Lo Spirito Santo vincolo d’unità

E ancora, un ulteriore cardine dovrà essere un grande amore per lo Spirito Santo, Amore fatto Persona.

Gesù lo ha donato a noi con il suo spirare lassù in croce e ne ha colmato la Chiesa nascente alla Pentecoste.

È lo Spirito Santo che lega in unità le Persone della Santissima Trinità, ed è lo Spirito Santo il vincolo fra le membra del Corpo mistico di Cristo.

Maria, la madre

Nella riconciliazione fra noi cristiani, poi, sarà necessario non dimenticare Maria, che un Concilio comune, quello di Efeso, ha proclamato Madre di Dio, Theotokos.

Maria, proprio perché Madre, può far molto per l’unità.

E non solo a questo titolo. Ella è la cristiana perfetta: bimba, fidanzata, sposa, vergine, madre e vedova può essere modello dei cristiani, che sono chiamati a divenire più perfetti cristiani22. Rivestita della Parola di Dio, icona del Vangelo vissuto, è la nostra “forma”. E, sotto la croce, può esserci più di ogni altro di esempio nel ripetere: «Compio in me la passione di Cristo»23, nello sforzo di lavorare e patire per l’unità.

I frutti

Una spiritualità ecumenica così vissuta, potrà produrre frutti eccezionali.

Ma, lo si intuisce, avrà soprattutto un particolare effetto: perché comunitaria, legherà in uno tutti coloro che la vivono, sicché si sentiranno solidali fra loro e, in un certo modo, già uno. Avvertiranno di formare, per così dire, un solo popolo cristiano che potrà essere – con tutto ciò a cui conducono le altre forze suscitate dallo Spirito in questo tempo ecumenico – un lievito per la piena comunione tra le Chiese.

Sarà quasi l’attuarsi di un altro dialogo, dopo quello della carità, della preghiera e quello teologico: il dialogo del popolo. Popolo non formato certo solamente dai laici, ma da tutto il popolo di Dio.

Dialogo più che urgente ed opportuno se è vero, come la storia insegna, che vi è poco di garantito in campo ecumenico, quando non vi è coinvolto il popolo.

Dialogo che farà scoprire con maggior evidenza e con maggior interesse e farà valorizzare tutto il grande patrimonio già comune fra i cristiani, costituito dal battesimo, dalla Sacra Scrittura, dai primi Concili, dai Padri della Chiesa... e lo farà vivere insieme.

Attendiamo di vedere questo popolo, che già qua e là sta apparendo, e desidereremmo ammirarlo dovunque esiste una Chiesa.

La nostra esperienza ecumenica

Per concludere queste considerazioni sulla riconciliazione fra le Chiese, spero sia ora gradito accennare ad un’esperienza ecumenica in via d’attuazione. Si tratta del Movimento dei Focolari, che ho tenuto presente nel presentare questi cardini di una possibile spiritualità ecumenica, e ciò per non annunciare solo teorie, ma poggiarmi sul concreto.

Quest’esperienza si attua da cinquant’anni in una porzione di Chiesa, ma essa è valida universalmente perché frutto di un carisma.

È vissuta da fedeli di circa 300 Chiese e principalmente da cattolici, ortodossi, anglicani, evangelici-luterani e riformati, metodisti...

Origine e sviluppi

Ma come è sorta, quali le sue motivazioni e le sue concretizzazioni?

Per dirlo in estrema sintesi, il Movimento dei Focolari ha avuto il suo esordio a Trento, nel 1943, quando alcune ragazze fortemente impressionate per la generale distruzione provocata dalla guerra, avvertirono la chiamata a dedicare la loro vita ad uno scopo che nulla e nessuna bomba poteva far crollare.

E scelsero Dio come ideale della loro esistenza. Dio, che nel contesto dell’odio, causa della guerra, s’è manifestato loro per quello che realmente è: Amore.

Per poter esser coerenti alla decisione presa capirono di dover essere, a loro volta, amore verso Dio e verso ogni prossimo e vollero attingere quest’amore dal Vangelo, che si misero a tradurre in pratica, parola per parola.

Un giorno, rifugiatesi in una cantina per ripararsi dalle bombe, aprendolo a caso, trovarono la preghiera di Gesù sull’unità24. «Padre santo» cominciarono a leggere e, se quelle parole erano un po’ difficili per la loro preparazione, ebbero nel cuore la convinzione che per quella pagina erano nate, per essa aveva senso il Movimento che si andava formando attorno a loro.

L’unità divenne il loro obiettivo, che, durante i primi anni, cercarono di vivere attuando l’amore reciproco comandato da Gesù, fra i fedeli della Chiesa cattolica, fra i gruppi, fra le opere, fra i Movimenti, anche nelle parrocchie e nei conventi... Intanto il Movimento si andava estendendo dovunque in Italia.

Anni dopo, verso il ’60, per il casuale incontro con pastori luterani, quando si diffondeva in tutta Europa, e più tardi negli altri continenti, tale spiritualità venne condivisa nel mondo evangelico-luterano, poi fra gli anglicani, i riformati, gli ortodossi e altre Chiese.

Convegni, scuole
e cittadelle ecumeniche

Nacquero in seguito convegni ecumenici, scuole d’ecumenismo per coloro che si dedicavano più specificatamente a questo scopo, scuole ecumeniche con il concorso di professori di varie Chiese.

Nelle Chiese si manifestarono le diverse vocazioni del Movimento già presenti in quella cattolica.

Sorse la prima cittadella ecumenica in Germania, ad Ottmaring, vicino ad Augsburg, con il consenso delle rispettive autorità.

In essa evangelici e cattolici hanno dato e danno testimonianza con la loro vita di quell’unità già possibile basata sull’amore evangelico praticato giorno dopo giorno.

Su quest’esempio altri centri o cittadelle ecumeniche sono sorti o stanno nascendo a Trento, vicino a Londra, in Svizzera. Ma tutte le 19 cittadelle del Movimento nei cinque continenti vivono uno stile di vita ecumenica.

La stampa del Movimento, edita da 27 case editrici, serve anch’essa allo scopo ecumenico.

Si collabora per l’ecumenismo negli organismi delle Chiese, nazionali e internazionali.

Si sviluppano azioni comuni a favore di chi si trova in difficoltà.

Sono molti gli incontri ecumenici regolari sul come vivere la Parola del Vangelo.

Quotidianamente si prega per la piena comunione tra le Chiese.

E la realtà più sorprendente è senz’altro quel “dialogo del popolo”, di cui ho accennato, che è emerso qui in questi anni fra tutti, aderenti alle varie Chiese, alimentato dal carisma dell’unità che opera attraverso la spiritualità dell’unità.

Ed è una felicità unica, feconda d’ogni bene, trovarsi assieme fra cristiani a vivere tutto quel molto che già ci unisce.

Ma torniamo al tema.

Dialogo con le altre religioni

Come si potrà capire, una spiritualità di comunione non è utile solo per concorrere all’unità dei cristiani, ma anche ad aprire quel dialogo con persone di altre religioni, che rappresenta una delle frontiere più impegnative e urgenti all’alba del terzo millennio.

Per essa, infatti, potremo offrire a queste la testimonianza della nostra già possibile unità, testimonianza tanto più valida perché offerta da cristiani di Chiese diverse.

Inoltre se noi cristiani amiamo come questa spiritualità insegna, potremmo avere una luce in più per vedere e scoprire nelle altre religioni la presenza dei “semi del Verbo”25. Le religioni non cristiane «non raramente riflettono un raggio di quella Verità»26 che Cristo ha rivelato. E questa scoperta potrà provocare vicinanza e comprensione reciproca.

Innumerevoli sono gli elementi che ci uniscono ai fratelli ebrei e musulmani, a partire dalla rivelazione del Dio Unico ad Abramo, nostro padre comune nella fede.

Se è vero poi che quasi tutte le religioni posseggono la cosiddetta Regola d’oro, che, con espressioni diverse, dice: «Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te; non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te», si potrà stabilire con loro anche per essa un rapporto di mutuo amore.

È però soprattutto il mistero di Gesù crocifisso e abbandonato, che offrirà anche in questo campo grandi possibilità.

Si intuisce, infatti, che in Lui, «che era Dio e annientò se stesso»27 – come scrive Paolo nella lettera ai Filippesi –, si può dischiudere una via provvidenziale per il dialogo specie con le religioni dell’Asia, imperniate spesso sul distacco da ogni cosa e sull’annullamento di sé.

E ciò perché, annientandoci pure noi, potremmo capire loro ed “entrare” in loro, perché è vero quanto si afferma: «Conoscere la religione dell’altro implica l’entrare nella pelle dell’altro, vedere il mondo come l’altro lo vede, penetrare nel senso che ha per l’altro essere indù, musulmano, ebreo, buddista»28.

Dialogo con chi non crede

Anche qui, Gesù sulla croce è, in quel grido, la divina risposta agli abissi di sofferenza e di prova scavati nel cuore degli uomini dagli interrogativi profondi di tanta parte della cultura moderna.

È per Lui e con Lui che si potranno avvicinare con frutto tutti questi nostri fratelli e sorelle.

E il dialogo fra i popoli?

Le Chiese con i loro fedeli danno già al mondo la testimonianza dell’unità fra persone appartenenti a tanti popoli. Ma con una spiritualità comunitaria si potrà proseguire più oltre su questa strada. E proprio guardando a Lui, «che di due popoli ne fece uno solo»29.

Unità fra l’uomo e la natura

E infine l’unità fra l’uomo e la natura. Il cosmo attende la rivelazione dei figli di Dio30.

Da quanto si è detto, vivere una spiritualità ecumenica significa dare agli uomini e alle donne una maggior possibilità di rivelarsi figli e figlie di Dio.

Cosicché, mentre tutti noi avremo ogni attenzione per salvaguardare la natura, essa stessa misteriosamente risponderà al nostro amore, come sa fare tutto ciò che è animato da Dio e che Dio sostiene.

Conclusione

Spiritualità di comunione, dunque. E l’unità è la nota che la potrà riassumere tutta.

Se la metteremo in pratica vedremo il mondo camminare a ritroso, come in un film che torna da capo.

Da quali drammatiche divisioni, da quale disfacimento, da quali crisi è pervaso il nostro pianeta, tuttora immerso nell’indifferentismo, nella secolarizzazione, nel materialismo.

Con questa nuova vita si potrà tornare indietro, pur andando avanti: l’umanità ritroverà l’unità per la quale Dio l’ha creata e le Chiese vivranno in piena comunione come Egli ha pensato e fondato la sua Chiesa.

Merita, dunque, provare. E che la presente IIª Assemblea ecumenica europea ne sia una propizia occasione.

Chiara Lubich

 

 

1)            Cf Consiglio Ecumenico delle Chiese - Fede e Costituzione, Confessare una sola fede, Bologna 1992. (Originale inglese: WCC Faith and Order paper 153, Confessing the One Faith, Geneve 1991.)

2)            Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, Direttorio ecumenico n. 92.

3)            Enciclica di Giovanni Paolo II Ut Unum Sint n. 77.

4)            J. Willebrands, L’avenir de l’oecuménisme, “Proche Oriente Chrétien” 25 (1975), p. 14-15.

5)            Il Dialogo Cattolico-Ortodosso, “Il mistero della Chiesa e dell’Eucaristia alla luce del mistero della Santa Trinità”, in Enchiridion Oecumenicum vol. 1, n. 2190.

6)            Cf Consultazione su ’Spiritualità per i nostri tempi’ del Consiglio Ecumenico delle Chiese tenutosi in Iasi (Romania) 1994.

7)            R. Bertalot, La riconciliazione nei dialoghi fra le Chiese, “Studi Ecumenici” luglio - settembre 1996, p. 359.

8)            1 Gv 4,8.

9)            Cf Vescovo Chiaretti e Pastore Tomasetto nella prefazione dell’edizione italiana dello “Strumento di lavoro” 1995 per Graz, p. 8.

10)          Cf 1 Gv 4,16.

11)          Giovanni Paolo II, Varcare la soglia della speranza, 1994, p. 167.

12)          Cf Gv 4,34.

13)          Cf Messaggio del Card. Bea per l’inaugurazione della cittadella ecumenica (1968) a Ottmaring (Germania), pubblicato in G. BOSSI, Qui vivranno insieme cattolici e luterani, “Città Nuova” 14 (1968), p. 35.

14)           Gv 17,26.

15)           Giovanni Paolo II, op.cit., p. 167.

16)           Cf Gv 15,12-13.

17)           Mt 27,46.

18)           Lc 23,46.

19)           Cf Gv 17,21.

20)           Cf Mt 18,20.

21)           Mt 28,20.

22)           Cf 2 Cor 13,9-11.

23)           Cf Col 1,24.

24)           Gv 17,11 ss..

25)          Cf Vaticano II, Ad Gentes 11: «semina Verbi in eis latentia».

26)          Cf Vaticano II, Nostra Aetate 2: Le religioni non cristiane «...non raramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini».

27)           Cf Fil 2,6-8.

28)           F. Whaling, Christian Theology and World Reli          gions: A Global Approach, London 1986, p. 130-131.

29)           Cf Ef 2,14.

30)           Cf Rm 8,19.