Incontro–dialogo con Chiara Lubich

Alla luce di un sondaggio sulle ansie e sulle speranze della nuova generazione sacerdotale, i seminaristi hanno posto alla fondatrice dei Focolari alcune domande. Ne pubblichiamo le risposte, così come le abbiamo potute raccogliere.

L’abbandono di Gesù: via che conduce all'unità

Perché nel Movimento non si parla tanto della croce di Gesù, ma si sottolinea piuttosto il suo grido d’abbandono?

Si tratta in fondo della stessa realtà. Non si può pensare infatti la croce senza il grido di Gesù abbandonato; né si può pensare quel grido prescindendo dalla croce.

Sottolineare l’abbandono di Gesù non è stata un’idea nostra, ma è insito nella spiritualità dell’unità come l’ha suscitata lo Spirito Santo. Il carisma che egli ci ha dato è indirizzato all’unità e per poterlo vivere è essenziale mettere in rilievo, di Gesù, il suo abbandono.

Perché il mistero di Gesù abbandonato è così importante per poter vivere l’unità?

è con la passione in croce e col grido d’abbandono che Gesù ha unito gli uomini con Dio e fra di loro. è là infatti che egli ha preso su di sé ogni peccato, ogni dolore e disunità, e li ha superati.

Ma come ha vissuto Gesù il suo abbandono? Nonostante l’enorme separazione dal Padre che egli sentiva in quel momento, ha detto: "Nelle tue mani raccomando il mio spirito".

Per cui Gesù nel suo abbandono è proprio il maestro di come si deve superare ogni disunità, per grave che sia. Noi nella vita non troveremo mai una separazione da qualcun altro o da Dio così grande come lui l’ha provata. è stato un dolore immenso. E lui l’ha superato con quel "in manus tuas, Domine".

Così anche noi ogniqualvolta ci troveremo di fronte a un dolore che assomiglia al suo, dobbiamo non stare fermi, non fermarci nel trauma, ma andare al di là con l’amore.

A volte ci sentiamo schiacciati dal dolore o dalle incomprensioni e, anche riconoscendo ed abbracciando in essi un volto di Gesù abbandonato, restiamo senza la pace. Perché?

Gesù abbandonato è uno dei punti della nostra spiritualità. Non si può staccare questo punto dal resto, bisogna viverlo insieme a tutti gli altri, come la scelta di Dio, l’amore reciproco, Gesù in mezzo, ecc.

In particolare, quando ci imbattiamo in un dolore, bisogna buttarsi a fare la volontà di Dio, nel momento presente. Prima si va in fondo al cuore e si dice a Gesù abbandonato: "Sei tu l’unico mio tesoro". Poi ci si butta a fare quello che Dio ci chiede nel momento seguente, ci si lancia, ad esempio, ad amare quei fratelli che abbiamo davanti.

Solo così torna la pace. Se noi abbracciamo invece Gesù abbandonato in un dolore e restiamo lì ad aspettare la pace, questa non viene.

Non c’è il pericolo che il proposito di abbracciare Gesù abbandonato si riduca ad una formula o ad una tecnica?

Esiste senz’altro. Può succedere, infatti, che, invece di amare veramente Gesù, noi strumentalizziamo il suo abbandono per uscire dal dolore, e questo non è giusto.

Per evitare che l’amore a Gesù abbandonato diventi una formula, bisogna andare in fondo al cuore e dirgli: "Io ti abbraccio non perché mi passi il dolore, ma perché ti amo".

Sovente si ama Gesù crocifisso soltanto nei momenti di sofferenza. Come far sì che egli sia di continuo il nostro compagno di viaggio?

Se voi vivete la spiritualità dell’unità ed orientate la vostra vita a Gesù abbandonato, lo troverete dappertutto.

Gesù dice: "Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua". La prima cosa da fare è dunque rinnegare se stessi, attraverso l’esercizio di tutte le virtù. Quando io incontro un prossimo devo amarlo. Può darsi però che sia stanca o non abbia voglia. Allora bisogna superarsi e buttarsi ad amare con tutto il cuore, con tutta l’anima anche quel fratello. Altre volte invece ci può arrivare una tentazione. Allora bisogna vincerla, senza scendere a compromessi. Occorrono tutti questi tagli del nostro io – del nostro egoismo, della nostra impurità, della nostra impazienza… – per vivere le virtù. Questo è un primo modo di essere seguaci di Gesù abbandonato.

Ci sono, poi, tanti dolori nella vita: malattie, disgrazie, insuccessi. Anche qui si tratta di scoprire e di amare Gesù abbandonato.

Troviamo il suo volto pure nelle persone deluse, amareggiate, scoraggiate, nei disgraziati, traditi, falliti, negli orfani e nelle vedove… Tutti loro in qualche modo assomigliano a Gesù abbandonato e ciò ci spinge ad amarli.

Troviamo Gesù abbandonato, ancora, nei dolori della chiesa. Ci sono porzioni del Popolo di Dio tremendamente colpite dalla persecuzione. Diceva un teologo della Germania orientale: Gesù abbandonato è proprio la figura della "Chiesa del silenzio". Ancora negli anni ’60, i focolarini, per amore di Lui, si sono recati oltre la Cortina di ferro per servire la Chiesa nell’Est europeo: in Germania, Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria e anche in Russia. Ed oggi, in tutte queste nazioni, il Movimento è molto sviluppato.

Ma poi ci sono anche tante spaccature nella chiesa e c’è, soprattutto, la divisione fra i cristiani che fa sì che la chiesa non sia bella come Gesù la voleva. Abbracciando Gesù abbandonato in queste lacerazioni, noi possiamo aiutare a superarle. Aderiscono, infatti, al nostro Movimento ormai fedeli di 300 Chiese, fra cui un buon numero di vescovi di queste Chiese. Per questo spirito di unità, essi sempre più concorrono a formare un solo popolo cristiano.

Gesù abbandonato ci fa guardare anche ai fedeli delle altre religioni. Gesù è morto per tutti, e quindi dobbiamo amare tutti, mussulmani, buddisti, induisti…, e raccogliere così, come Maria sotto la croce, con un cuore di madre, tutti coloro per i quali Gesù ha dato la vita redimendoli.

E c’è infine tutta la fascia di coloro che non credono. Bisogna amarli, "farsi uno" anche con loro, condividere quei valori che hanno in comune con noi, come la legalità, la libertà, la solidarietà, finché arriverà la fede.

Non è quindi cosa da poco amare Gesù abbandonato. Si tratta di spendere la vita per il mondo intero! Per cui non ci si può certo ripiegare su qualche sofferenza personale. Tutti i dolori del mondo sono nostri, perché siamo cristiani, siamo seguaci di Cristo.

È un programma immenso. E sapete quale ne è l’effetto?

Abbracciando tutto il giorno Gesù abbandonato – questa è un’esperienza del Movimento dei focolari –, avrete il cuore pieno di Spirito Santo. Ed egli vi sarà molto vicino, sarà molto propenso ad aiutarvi. Quando dal petto squarciato di Gesù sono usciti acqua e sangue – dice l’esegesi dei Padri –, si è riversato lo Spirito sulla chiesa rappresentata ai piedi della croce da Maria e Giovanni. C’è quindi un collegamento fra la croce e lo Spirito Santo.

La nuova generazione sacerdotale davanti alle sfide di oggi

Parlando ai vescovi amici del Movimento dei focolari , il Santo Padre ha sottolineato la grande rilevanza della spiritualità dell’unità per la vita della chiesa di oggi. Come condividerla con tanti altri e come incrementare, di conseguenza, la vita di comunione nei seminari, nelle parrocchie, nelle varie realtà ecclesiali?

Per incrementare lo spirito di unità, bisogna incominciare ad amare, ma amare sul serio. Occorre mettere in atto quell’arte d’amare che il vangelo insegna, con tutte quelle caratteristiche che contraddistinguono l’amore cristiano.

Una rivoluzione che hanno operato le prime focolarine era questa: se prima si amava il bello, il simpatico, quello che ti aiutava, se si amavano soltanto le persone della propria famiglia, del proprio paese, della propria nazione, in questa nuova vita si prendeva coscienza che, nel cristianesimo, non ci può essere nessuna discriminazione di persone. Siamo tutti creati ad immagine di Dio e figli suoi. Non si può fare quindi una scelta fra le persone, bisogna amare tutti. Incontri una madre di famiglia: amala; incontri un professore: amalo; incontri il parroco: amalo; incontri il vescovo: amalo; incontri l’ultimo straccione nella tua parrocchia: amalo!

Se voi faceste solo questo, scatenereste la rivoluzione cristiana.

C’è una seconda caratteristica: bisogna amare per primi. Il Padre ha mandato Gesù sulla terra, ed egli ha dato la vita per noi, quando noi eravamo ancora peccatori. Egli ci ha amato per primo. E noi siamo chiamati a fare altrettanto. Se provate una giornata sola a far così, quando vi raccogliete alla sera per la preghiera, vedrete come vi troverete più uniti a Dio.

Bisogna poi vedere ed amare Gesù in tutti, anche nei criminali. Andando nelle carceri a visitarli, vedete Gesù in loro!

E ancora: l’amore cristiano non è un amore platonico, né sentimentale, né un amore di fantasia; è un amore concreto: bisogna farsi uno con l’altro. Bisogna spogliarsi di se stessi, essere vuoti completamente, entrare nella pelle dell’altro, riuscire a capirlo. Se soffre, soffrire con lui; se gode, godere con lui; se ragiona in un certo modo, ragionare con lui per quel verso. Come dice san Paolo: farsi tutto a tutti.

Se noi viviamo così, magari qualcuno resta indifferente, ma altri rimarranno colpiti da questo modo di fare, cominceranno a porci domande e si metteranno anche loro ad amare in questo modo. Si stabilirà allora l’amore reciproco e quindi la presenza di Gesù promessa a coloro che sono uniti nel suo nome. Nasce così una cellula viva e sarà lui stesso a condurvi. E vi dirà: amate ancora, amate tutti; amate, prima a fatti e poi a parole; non chiudetevi fra voi stessi, amare vuol dire dare!

Potrà nascere così un nucleo di seminaristi che vivono la spiritualità dell’unità. Se esso è aperto ad amare tutti – dapprima i superiori e anche tutti gli altri, magari l’ultimo, il meno simpatico – allora tutti saranno contenti perché vedranno un cristianesimo veramente autentico. Se invece quel nucleo è chiuso in se stesso, è egoista, allora non è come Gesù lo vorrebbe, e si capisce che è malvisto anche dai superiori.

Altrettanto vale per la vita in parrocchia: si incomincia con l’amare. Così è nata tutta l’Opera nostra. Magari saranno un bambino o una donna anziana a rispondere al vostro amore. Allora voi inizierete con loro a stabilire quella presenza di Gesù che è promessa a coloro che vivono il comandamento nuovo.

Riguardo alle varie realtà ecclesiali, occorre avere un cuore aperto, disponibile e comprensivo; occorre saper gioire per il bene degli altri, essere sempre pronti ad apprezzarli, a lodarli ed anche ad imparare da loro. Insomma, noi non dobbiamo pensare solo a noi stessi ed al nostro Movimento. Quello che importa è che vada avanti la chiesa. E allora bisogna incoraggiare gli altri, sostenerli, vedere di capirli, e così ci arricchiamo anche noi.

In certi Paesi la realtà socio-culturale ha degli aspetti che rendono difficile il vivere la purezza e il celibato. Succede che qualche donna o ragazza cerchi un’avventura sentimentale con un seminarista o con un sacerdote. Come vivere la purezza in un mondo che non rispetta questo valore?

Bisogna che lo facciamo rispettare noi. Non bisogna meravigliarsi. Gesù ha inviato i suoi nel mondo, ma ha detto: "Voi non siete del mondo".

Quando parlo di questi argomenti coi giovani, essi a volte mi dicono: "Ma Chiara, tu dici così, però i nostri compagni...". E allora io dico loro: Perché date peso a quello che pensano i vostri compagni? Quello è il mondo! Voi dovete essere nuovo mondo, quello di Gesù. Se i primi cristiani avessero badato a quello che si diceva nel mondo non avrebbero concluso niente. Attuando invece quello che diceva Gesù, e quello che dicevano gli apostoli, hanno conquistato tutto il mondo allora conosciuto.

Può succedere che qualche ragazza perda per voi la testa e voi non sapete come liberarvene.

Occorre, anche qui, mettere in pratica anzitutto l’arte di amare, come l’ho spiegata prima: avere cura di amare tutti e non soltanto quella persona; ed amare con amore soprannaturale, vedere Gesù in tutti. Magari è una compagna di studio o una collega a scuola, per cui – fra le persone con cui avete a che fare – vi tocca parlare anche con lei. Ma poi passate ad un altro e vi concentrate pienamente su di lui, senza tenere rimasugli di affetto nel cuore. è sempre lo stesso Gesù che noi amiamo in tutti.

Questo amore soprannaturale è veramente la prima arma, la via più efficace. Non bisogna però dimenticare quella prudenza che ci raccomanda la chiesa: bisogna saper fuggire le occasioni, mortificarsi.

Per noi che viviamo in comunità piccole o grandi, è importante, poi, aprirsi col fratello, con un fratello maturo, senza vergognarsi, sapendo che un po’ tutti, o quasi tutti, passano queste tentazioni. E l’altro ti aiuta e ti consiglia e, con Gesù in mezzo, spariscono le paure, sparisce il turbamento.

È importante, infine, il confessore, ed è importante soprattutto obbedire a quello che egli ci dice. Il confessore, infatti, ci rappresenta Cristo.

In molte nazioni c’è una grande mancanza di sacerdoti. Come suscitare nei giovani l’amore e l’adesione a questa vocazione?

Penso che una speranza stia proprio nei Movimenti ecclesiali, all’interno dei quali stanno fiorendo numerose chiamate sacerdotali.

Recentemente il Santo Padre ha detto a vari vescovi che gli hanno espresso la preoccupazione per la mancanza di vocazioni: "Vedrà, verranno dai Movimenti".

Giorni fa, a Münster in Germania, ho avuto occasione di parlare a migliaia di ragazzi e ragazze radunate dal vescovo. Mi era stato chiesto di raccontare come era nata la mia vocazione, che cosa avevo sentito, come l’avevo portata avanti, come Dio l’ha portata avanti. E poi il vescovo voleva che io parlassi pure della vocazione in genere.

Era un incontro molto ben preparato, con tutto un programma di canti e di brevi rappresentazioni, e c’era una tale adesione da parte dei giovani che, quando siamo usciti in processione, i ragazzi mi prendevano per mano e, con le lacrime agli occhi, alcuni mi dicevano: "Chiara, ho sentito; ho sentito!". "Cos’è che hai sentito?" ho chiesto a loro. Ed essi: "Dio mi chiama!".

Di fronte alla società del nostro tempo, viene da chiederci se siamo sufficientemente preparati a portare il vangelo agli uomini e alle donne di oggi. Come fare ad offrire alla gente il messaggio cristiano in modo che risponda veramente alle loro domande, ai loro problemi?

Intanto, le domande che vi faranno non sono poi sempre così difficili.

Comunque la risposta a tutto è la Parola di Dio. Non teniamo mai abbastanza in considerazione quello che è la Parola di Dio. è Dio stesso che ci risponde in essa.

Quanto alla trasmissione del vangelo, l’importante è rievangelizzare noi stessi, e a questo è molto utile la "Parola di vita" che noi cerchiamo di mettere in pratica, mese per mese. E non solo ogni tanto, ma occorre essere vangeli viventi, occorre che la Parola ci prenda e ci inzuppi al punto da non essere che Parola; non più Giovanni, Elio, Guido, ma la Parola di Dio.

Bisogna rievangelizzare se stessi al punto da essere null’altro che vangelo. Per cui, se tu vivi, ad esempio, la Parola "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore…", quando ti chiedono: "Cosa fai Giovanni?", non dovresti rispondere: "studio", ma: "amo". Oppure quando a colazione ti chiedono: "Cosa fai Giovanni, mangi?", "No, amo!".

Vivendo in questo modo la Parola, si fanno tante belle esperienze. Avvengono cambiamenti interiori, si scopre una libertà nuova, si incide su altri.

Se fossi prete, prenderei un’agenda e la riempirei di tutte queste esperienze. Le metterei in comune anche con altri che vivono la Parola, in modo da arricchirsi reciprocamente.

Quando c’è poi da comunicare il vangelo, voi avete senz’altro il dovere di trasmettere il messaggio cristiano. E ciò farà del bene se lo fate convinti. Ma non fate la predica nel senso che oggi, purtroppo, spesso si dà a questa parola, per cui si dice: "Non farmi la predica!". Voi dovete essere persone che comunicano Dio.

Se poi alla spiegazione della Parola unite qualche vostra esperienza, il vangelo diventa più appetibile e molto più chiaro, lo capiscono molto meglio.

Sarebbe questo il mio consiglio.

Come informare di Dio tutta la realtà umana

Vediamo che il papa canonizza e beatifica tanti cristiani del nostro tempo. Come tu vedi la santità oggi? E come possiamo viverla noi?

Quando è iniziato il Movimento, c’era nell’aria, in certi ambienti, un concetto di santità che poco ci convinceva. Avevamo l’impressione che, nonostante la buona volontà, molte persone, volendo farsi sante, si ripiegassero un po’ su se stesse e ci pareva che a volte potesse essere anche una forma di sublime egoismo che non corrispondeva alla nostra vocazione di vivere sempre nell’amore, proiettati fuori di noi a "vivere l’altro".

Abbiamo quindi accantonato quell’idea di santità.

Nello stesso tempo si ripresentava alla nostra mente una Parola: "Voluntas Dei sanctificatio vestra – questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione" (1Ts 4, 3). Ho chiesto allora alla Madonna che lei mi facesse scoprire quale tipo di santità voleva da noi. E ho capito che la nostra è una santità originale come è originale la nostra spiritualità. Era come se la Madonna mi dicesse: Tu non puoi farti santa da sola; tu devi farti santa insieme con gli altri, con le prime focolarine, i primi focolarini, con tutti. Quello che io voglio da te è una santità collettiva, perché tu devi amare l’altro come te. Quindi se tu vuoi essere perfetta, devi cercare questa stessa cosa anche per gli altri. Così abbiamo capito che la nostra santità era una cosa molto nuova, moderna, molto attraente, perché è una santità di popolo.

Ci sono, in effetti, centinaia di persone di tutte le età già partite per l’altra vita, per le quali io metterei una mano sul fuoco: questo è un santo; questa è una santa. Noi non abbiamo fatto niente per portare avanti un processo di canonizzazione. è successo però che, in varie diocesi, si sono messi in moto i vescovi e ormai ci sono già vari "servi di Dio", fra i membri del Movimento.

Ci sono tanti sacerdoti stanchi e schiacciati dalle molteplici attività. Fa paura pensare ad un tale futuro. Cosa ci consigli?

È una rovina l’attivismo. Bisogna combatterlo. C’è, a questo proposito, un’esperienza importante nel Movimento dei focolari.

Ancora nel 1954, il Signore ci ha fatto capire che quell’amore che abbiamo in cuore è come un sole. E come la luce si rifrange in sette colori ed è sempre luce: rosso, arancio, giallo, verde, azzurro, indaco e violetto, così il nostro amore ha tante espressioni, di cui le principali sono sette.

In realtà, l’attività apostolica è appena un settimo dei nostri doveri. Perché poi c’è anche: il dovere di curare la salute, con il riposo, con lo sport, con un’alimentazione regolare; il dovere dello studio; il dovere di tenerci in contatto con gli altri attraverso i mezzi di comunicazione; il dovere di tenere bene la casa, il proprio vestito, e così la chiesa, che sia degna di Dio e rifletta la sua bellezza ed armonia. C’è la vita spirituale, con la Messa, il breviario, la meditazione, le preghiere della mattina e della sera e l’esame di coscienza; e c’è da confessarsi, da fare il ritiro, da riservare un periodo dell’anno agli esercizi spirituali. E non va dimenticato il lato economico: l’amministrazione della chiesa ed anche quella personale, la comunione dei beni con i fratelli, secondo le possibilità.

Quindi non c’è soltanto l’attività apostolica, ma ci sono sette aspetti da vivere che noi indichiamo con i sette colori dell’arcobaleno.

Per aiutarci a viverli con equilibrio, noi abbiamo una specie di schemetto nel quale, ogni sera o al mattino, segniamo se nella nostra giornata abbiamo tenuto presenti queste varie espressioni dell’amore. Tutto il nostro impegno è quello di ricordarci che non abbiamo da fare una cosa sola, ma almeno sette.

Ci aiuta inoltre stabilire un programma dell’anno e di ogni mese. Devo ad esempio fare un viaggio in giugno e tenere vari discorsi. Riservo allora del tempo per prepararli, magari già in marzo, perché in quel mese sono più libera. Per cui tutto è previsto. Naturalmente questo è quello che l’uomo propone, poi c’è Dio che dispone.

Risposta provvidenziale dello Spirito alla sfida della secolarizzazione

Il grande incontro dei Movimenti ecclesiali con il Santo Padre alla vigilia della Pentecoste ’98 ha segnato una tappa importante per la vita della chiesa, tappa tanto attesa dal papa stesso. Come fondatrice di un Movimento così vasto, cosa ha significato per te quel momento?

Mi ha fatto un’impressione veramente grande.

Succede a volte, dopo che sono stata dal Santo Padre, di avvertire in maniera molto evidente una speciale unione con Dio, profonda e densa. Ed ho come l’impressione che il Cielo si apra e che io mi trovi con Dio in un’unione senza intermediari. è stata questa la mia esperienza anche in quel giorno. E mi sembra che ciò sottolinea quello che è la chiesa nella sua dimensione istituzionale: ti apre le porte, ti unisce a Dio in mille maniere.

Ho provato, poi, una grande gioia anche perché si aspettava da tempo che il Santo Padre indicasse il posto dei Movimenti nella chiesa. Ce l’aveva promesso. Si sa quale è il posto della gerarchia e anche quale è il posto degli ordini religiosi. Ma quale – ci si chiedeva – è il posto dei Movimenti? E il papa li ha definiti una espressione significativa di quella dimensione carismatica che è unita alla dimensione istituzionale e che è, anzi, "co-essenziale" alla costituzione della chiesa. Vale a dire: come è essenziale la gerarchia, così è essenziale anche questa dimensione. Anche tutti gli ordini religiosi sono, ovviamente, espressione di questo aspetto carismatico della chiesa, ma questo non è mai venuto in rilievo a tal punto che un papa dicesse: esso è coessenziale. Ed io penso che questo aspetto abbia molto a che fare con Maria ed il suo ruolo nella chiesa oggi.

Si tratta di un grande passo in avanti se si pensa che prima del Concilio i laici, che costituiscono la gran parte dei Movimenti ecclesiali, si sentivano addirittura – come ebbe a dire Igino Giordani – "proletari" nella chiesa. Prevaleva infatti, in quei tempi, una visione verticista, per cui la chiesa per il popolo era spesso sinonimo della gerarchia. Ora, nei Movimenti ci sono vescovi, sacerdoti e religiosi, ma ci sono soprattutto tantissimi laici, e tutti insieme concorrono a creare la chiesa-comunione, che è poi quella dimensione della chiesa che rimarrà anche nell’al di là.

A Pentecoste, inoltre, sono state riconosciute le nuove forme di consacrazione a Dio che stanno fiorendo nei Movimenti. Se di consueto nella chiesa si mettono in luce i vescovi, i sacerdoti e diaconi, i religiosi e le religiose e basta, in quel giorno il papa ha dato speciale rilievo anche alle "nuove forme di vita laicale ispirate ai consigli evangelici". Non di rado si lamenta la mancanza di vocazioni. Qui sono state prese in considerazione le chiamate che fioriscono con abbondanza nei Movimenti.

Il papa ha poi manifestato il desiderio che i Movimenti si unissero, e io in quell’occasione gli ho promesso che noi, che abbiamo il carisma dell’unità, avremmo lavorato per questo scopo. Per cui si può dire che c’è un "prima della Pentecoste" e un "dopo Pentecoste". Se prima eravamo impegnati soprattutto a portare avanti l’Opera nostra, adesso la nuova frontiera è: lavorare all’unità dei Movimenti.

L’incontro di Pentecoste ha sottolineato l’importanza dei Movimenti nella vita della chiesa. Quale può essere, secondo te, il contributo dei seminaristi e dei sacerdoti in questo momento?

Occorre essere profondamente uniti al papa. E questo significa: far nostro il suo pensiero. Se egli pensa che i Movimenti sono un’espressione significativa dell’aspetto carismatico della chiesa, dobbiamo pensarlo anche noi.

Egli aveva nel cuore questo nuovo dono per la chiesa ancora da quando era vescovo a Cracovia, e sarà uno dei grandi meriti del suo pontificato aver sostenuto i Movimenti anche contro tanta mentalità contraria.

In occasione della Pentecoste ’98, il papa ha espresso il suo pensiero dapprima nel suo messaggio al Congresso mondiale dei Movimenti ecclesiali e delle nuove comunità e poi nel suo discorso in Piazza San Pietro. Conviene che voi vi procuriate questi testi.

In quello stesso Congresso, il card. Ratzinger ha proposto una magistrale lettura storico-teologica della realtà dei Movimenti, un discorso che può aiutare molto a rendersi conto di questa grande novità che è sorta nella chiesa.

Ho constatato che c’è tanta necessità di un’adeguata informazione. Occorre conoscere e diffondere una visione obiettiva delle cose.

Potranno interessarvi anche le Giornate che stiamo organizzando assieme agli altri Movimenti per ripetere la Pentecoste ’98. Esse metteranno in luce questa co-essenzialità dell’aspetto istituzionale e dell’aspetto carismatico della chiesa e come l’uno e l’altro siano profondamente legati. Perché i Movimenti devono fare unità alla gerarchia che ha la grazia del discernimento; mentre, a sua volta, tutta la chiesa riceve dai Movimenti un impulso di vita nuova. C’è tra queste due dimensioni un rapporto a mo’ della Santissima Trinità.

Quando incontrate delle riserve, cercate di chiarirle, spiegando come il Movimento concepisce l’unità con i vescovi. è essenziale, infatti, secondo i nostri Statuti, non soltanto l’unità con la Chiesa universale, ma anche con le Chiese particolari. Per cui noi informiamo il vescovo quando il Movimento in una diocesi assume una certa consistenza. E se il vescovo non fosse contento, noi ci dirigiamo altrove. Per certi aspetti, poi, come per la creazione di comunità a vita comune o iniziative apostoliche di rilievo, noi chiediamo il consenso del vescovo e cerchiamo, in ogni caso, di tenerlo costantemente aggiornato sullo sviluppo del Movimento in diocesi. Nei riguardi dell’attività apostolica, che svolgiamo secondo le linee della nostra spiritualità e secondo le forme ed i mezzi indicati dagli Statuti, accogliamo le direttive e gli orientamenti del vescovo per il coordinamento della pastorale. Per cui, anche per evitare il sovrapporsi di attività negli stessi giorni, è indispensabile accordarsi col vescovo.

Alla vigilia della Pentecoste hai promesso al Santo Padre di lavorare per l’unità tra i Movimenti. Quali gli ulteriori sviluppi?

I primi passi li abbiamo fatti con il professor Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio. Ci eravamo conosciuti ancora prima delle Pentecoste, ma lì abbiamo deciso di avviare un’intensa comunione fra i nostri due Movimenti. Ed è stata una cosa meravigliosa. Io non immaginavo che l’unirsi di due carismi potesse portare tanta gioia.

Non ci siamo limitati ad una certa amicizia o a pregare gli uni per gli altri, ma ci siamo aiutati anche concretamente.

Quando nell’autunno scorso la Comunità di Sant’Egidio ha organizzato a Bucarest l’incontro "Uomini e religioni", che nello spirito della Preghiera di Assisi ’86 riunisce a ritmo annuale rappresentanti di diverse religioni, noi ci siamo messi subito ad aiutarli. In un’altra occasione, abbiamo messo a disposizione, per un loro incontro di anziani, la sala del Centro Mariapoli di Castelgandolfo. Collaboriamo con loro anche nella raccolta di firme contro la pena di morte.

Dal canto suo, la Comunità di S. Egidio ha voluto mettere a nostra disposizione alcune case nelle vicinanze del nostro Centro che erano inutilizzate durante l’anno. Per cui non soltanto c’è una viva comunione spirituale, con visite reciproche ed incontri fra i dirigenti delle due realtà, ma c’è anche un vicendevole aiuto con grande vantaggio per tutti.

Ben presto è diventato partecipe di questa comunione anche il coordinatore del Rinnovamento nello Spirito in Italia, Salvatore Martinez. Egli ha voluto che Andrea Riccardi ed io intervenissimo alla loro Convocazione nazionale a Rimini e poi ci sono stati altri contatti ancora.

In seguito, ho avuto occasione di recarmi a Milano dove ho visitato Mons. Giussani, ed è stato un incontro meraviglioso.

Sono in programma anche altri incontri: con Kiko Argüello, iniziatore del Cammino neocatecumenale e con i responsabili di Schönstatt che mi hanno invitata a visitare il loro Centro.

Ci sono poi tanti altri contatti fra i Movimenti, nelle varie parti del mondo. In particolare, nei prossimi mesi si svolgeranno, in unità coi vescovi del luogo, un centinaio di Giornate Pentecoste ’99 che riproporranno sul posto il grande Incontro di Piazza s. Pietro.

Abbiamo infine realizzato un documentario dal titolo "Sulle ali dello Spirito" che parla dell’incontro della Pentecoste ’98 e vuole essere un contributo a questa nuova comunione fra i Movimenti.

Ho avuto modo di informare di tutto questo il Santo Padre che, a quanto mi risulta, ne è stato molto contento.

Chiara Lubich