1
aprile 2007 -
LE PALME
Is 50,4-7 / Fil
2,6-11 / Lc 22,14 - 23,56
Io sto in mezzo a voi
come colui che serve (Lc 22,27)
Durante l’ultima
cena, Gesù dona ai discepoli l’insegnamento conclusivo: nella sua comunità
il più grande si farà il più piccolo e colui che governa come colui che serve. Egli pone anche un gesto eloquente a indicare la novità dei rapporti che egli è
venuto a instaurare tra quanti sono suoi seguaci: lava loro i piedi,
contro ogni comune logica di superiorità e di comando.
Amare significa servire
e Gesù ce ne ha dato l’esempio. Servire, una
parola che sembra degradi la persona. Coloro che servono non sono
solitamente considerati di livello inferiore? Eppure tutti desideriamo
essere serviti. Se questo ci aspettiamo dagli altri,
forse anche gli altri si aspettano altrettanto da noi. La parola di Gesù
rende consapevoli noi cristiani che abbiamo un debito d’amore verso
tutti.
Ma
come fare a servire? Prestando attenzione all’altro
e rispondendo con prontezza alle sue esigenze, amando con i fatti.
A volte si
tratterà di migliorare il proprio lavoro, di svolgerlo con sempre
maggiore competenza e perfezione, perché con esso
si serve la comunità.
Altre volte di venire incontro
a particolari domande d’aiuto che sorgono lontano o attorno a noi da
anziani, disoccupati, portatori di handicap, persone sole; oppure che giungono
da Paesi lontani in seguito a calamità naturali, a richieste di adozioni, a sostegno di progetti umanitari.
Chi ha incarichi di
responsabilità metterà da parte atteggiamenti odiosi di comando,
ricordando che siamo tutti fratelli e sorelle.
Se faremo tutto
nell’amore scopriremo,
come dice un antico detto cristiano, che “servire è
regnare”.
Mio marito ed io
siamo medici ed esercitiamo la professione nel nostro
paese. La maggioranza dei filippini sono a livello di
povertà. Anche noi abbiamo sperimentato cosa
vuol dire essere poveri, e quando ci arrivano i saluti di nostri colleghi che
hanno fatto carriera in occidente, ci vengono ancora dei dubbi se abbiamo fatto
bene a restare nel nostro paese. Due anni fa, con l’aiuto di alcuni amici, abbiamo aperto un modesto ambulatorio
privato, dividendo in due la nostra già piccola abitazione.
Perché
restiamo qui? C’è il bisogno infinito della nostra gente, i volti
impauriti dei bambini, i corsi di formazione alla famiglia,
l’ambulatorio, l’assistenza agli anziani, ai terminali… Possiamo abbandonare tutto questo? Noi sogniamo una
società nuova, ma cominciando a lavorare di persona qui, nel nostro
paese.
L.R., Filippine