4 marzo 2007  - 2a di Quaresima

Gn 15,5-12.17-18 / Fil 3,17 - 4,1 / Lc 9,28b-36

 

Il Signore trasfigurerà il nostro misero corpo (Fil 3,20)

 

Le trasfigurazioni oggi avvengono negli stadi, davanti alle passerelle della moda, sui podi dei campioni. Ne restiamo imbambolati, sognando trofei, muscoli, bellezze irresistibili. Come Pietro, ci lasciamo trasportare fuori dalla realtà e senza sapere quello che diciamo, ci dichiariamo realizzati in questi modelli, facciamo pazzie per un autografo, una foto insieme o almeno toccarli.

Gesù, sul podio della sua divinità, anche lui si trasfigura, facendoci provare alcuni attimi di Paradiso. Ci mostra chi è Lui e cosa noi siamo destinati a diventare, simili a Lui. “È bello per noi stare qui!”.

Giù dal monte invece siamo continuamente sovrastati dalle nostre miserie e da quelle dei nostri simili. Saliamo quotidianamente un altro monte, quello che ci porta al Calvario, dove l’UOMO sarà ridotto a un verme.

La Quaresima è un cammino di speranza nella risurrezione: anche San Paolo ci chiede di unire la nostra miseria a quella di Gesù, amandola con l’amore di Colui che trasformerà il nostro misero corpo in un corpo glorioso.

 

Ho fatto parte di quella schiera di giovani che negli anni ’60 hanno cominciato una loro rivoluzione: un modo nuovo di vivere il Vangelo, proposto dal Movimento dei Focolari.

Due cose mi colpirono fin dall’inizio: la comunione dei beni e Gesù Abbandonato.

Noi giovani in Sardegna, eravamo in giro ogni fine settimana per i paesini dell’isola per far conoscere ad altri questo nostro Ideale. Verso il settembre del ’70, però, ho avuto un lungo periodo di aridità; sentivo che Dio mi chiedeva qualcosa di importante.

Alcune settimane dopo stavo andando a scuola in motorino; era una mattina di pioggia e vento. Ad un certo punto entrai in collisione con un camion. Mi trovo a terra: provo ad alzarmi, ma non ci riesco. Mi manca il respiro, sento che la vita mi sta sfuggendo di mano.

Un momento di paura. Poi avvenne una grazia enorme: capisco che è Dio che me lo chiede. Gli dico di sì; in quel momento passa l’aridità e mi sento entrare in quello che chiamerei paradiso. Una gioia infinita mi pervade; da quella gioia non sono più uscito. In ospedale chiesi ad un medico la verità sul mio stato: “Se vivrai, vivrai comunque su una carrozzina, paralizzato alle gambe”.

Tanti venivano a darmi l’ultimo saluto. In realtà io avevo la certezza che non sarei morto.

Agli amici dettai questo biglietto: “… sono contento! Non me lo sarei mai aspettato che potesse essere così bello essere toccati dall’Amore di Dio fino in fondo. Ora sono certo che Lui mi ha preso in parola, che sono in linea. Non vi preoccupate. Io sto benissimo; non ho paura, anche se dovessi rimanere su una carrozzina per tutto il resto della vita”.

Nel marzo del ’71 sono stato dimesso, ho preso l’aereo in carrozzina da solo e sono arrivato a Roma dove vivo tutt’ora: da allora sono in carrozzina. Ho svolto studi medici e lavoro con un posto di responsabilità nel settore delle tecnologie per la riabilitazione. Ho potuto mettere a frutto la mia esperienza e competenza in pubblicazioni e congressi anche a livello internazionale.

Vivere il Vangelo è davvero solo un guadagno.

Beppe Porqueddu