11
febbraio 2007 - 6a domenica t. ord.
Ger 17,5-8 / 1Cor
15,12.16-20 / Lc 6,17.20-26
Benedetto l’uomo che
confida nel Signore
(Ger 17,7)
È
il modo più intelligente di vivere: porre la propria
vita nelle mani di Colui che ce l’ha donata. Qualunque cosa accada,
di Lui possiamo fidarci ciecamente: è Amore e vuole il nostro bene.
Ci
si rivolge al Signore quando si è in situazioni
estreme, disperate: una malattia inguaribile, un debito insolvibile, un
imminente pericolo di vita… Non può non essere così. Sappiamo che ciò che è
impossibile agli uomini è possibile a Dio. Ma se a Lui
tutto è possibile, perché non ricorrere a Lui in ogni momento della vita?
Questa
Parola ci invita ad una comunione costante con il
Signore, ben al di là delle richieste che pure dobbiamo rivolgergli, perché
sempre siamo bisognosi del suo aiuto. È “benedetto”, ossia ha trovato la gioia
e la pienezza della vita, chi instaura con Lui un rapporto di fiducia e di
confidenza che scaturisce dalla fede nel suo amore.
Egli,
il Dio vicino, più intimo a noi di noi stessi, cammina con noi e conosce ogni
palpito del nostro cuore. Con Lui possiamo condividere gioie,
dolori, preoccupazioni, progetti… Non siamo soli, neppure nei momenti
più bui e difficili. In Lui possiamo confidare pienamente. Non ci deluderà mai.
A
volte ci assalgono pensieri così assillanti, per circostanze o persone cui noi
non possiamo direttamente dedicarci, che ci è
difficile compiere bene quello che la volontà di Dio ci chiede in quel momento.
Vorremmo essere vicini a quella persona cara che soffre, che vive nella prova,
che è ammalata. Vorremmo poter risolvere quella situazione
intricata, andare in aiuto a popolazioni in guerra, a profughi, ad affamati… Ci
sentiamo impotenti! Ecco il momento della confidenza in Dio: “Ebbene io
farò ciò che Tu vuoi da me in questo attimo: studiare
bene, lavorare bene, pregare bene, accudire bene i miei bambini… sicura che Tu
penserai a sbrogliare quella matassa, a confortare chi soffre, a risolvere quel
problema”.
Si
vedrà che, dove noi non siamo arrivati, è veramente arrivato
un Altro che ha fatto immensamente meglio di noi.
Suona il telefono - racconta Rina, che gli
anni hanno ormai costretto a vivere ritirata in casa
-. È una signora anziana come me, che conosco da tempo. Il fratello è morente e
lei non sa come fare. Siamo nel periodo delle vacanze ed è difficile trovare
chi lo possa seguire, tanto più che negli ultimi anni
si è ridotto a fare il barbone… Sento mio il dolore della mia amica e insieme
mi sento impotente, come lei. Cosa posso fare, io che
abito tanto lontano, immobilizzata su questa sedia? Vorrei almeno dirle parole
di conforto, ma stentano a venire, neppure di questo sono
capace. Non mi rimane che assicurarle il ricordo. Ma
ancor più la preghiera.
La notte mi sveglio e mi rivedo quel
barbone solo, morente. Mi riaddormento e ancora mi sveglio. Ora ogni volta mi
rivolgo al Padre: ‘È un tuo figlio, non puoi
abbandonarlo. Pensaci tu’.
Pochi giorni dopo una telefonata della mia
amica mi dice che, dopo aver parlato con me quel giorno, ha sentito una grande pace. ‘Sai che lo abbiamo
potuto portare all’ospedale? Lo hanno aiutato, alleviando i dolori. È stato purificato dalla sofferenza, era pronto. Si è spento
serenamente, avendo ricevuto l’Eucaristia’.
Nel mio cuore un senso
di gratitudine, e di maggiore confidenza nel Signore.