14 marzo 2004 - 3a Quaresima

Es 3,1-8a.13-15 / 1Cor 10,1-6.10-12 / Lc 13,1-9

 

Sono tre anni che vengo a cercare frutti...

(Lc 13,7)

 

Se Dio è tre volte santo, deve essere anche paziente, perché la pazienza è una virtù che fa parte della santità. Che Lui sia paziente, ce lo dice la parabola del Vangelo di questa domenica. Il vignaiolo prega il padrone di non fargli tagliare il fico che da tre anni non dà più frutti. “Padrone lascialo ancora quest’anno...” .

In un mondo come il nostro dove spesso, troppo spesso, il terrorismo, in modo particolare, fa notizia e produce immenso dolore, saremmo tentati di pensare che Dio si sia stancato di noi. No! Egli non si stancherà mai di noi, perché l’Amore non si stanca mai di amare. L’Amore rispetta le scelte dell’uomo anche se sono sbagliate, ne soffre e attende… Intanto accompagna coloro che, come il Papa, soffrono, pregano e si danno da fare in mille modi perché la Terra si renda capace di accogliere dall’Alto la pace e di farla crescere fino a dare i suoi frutti.

La pazienza di Dio richiede la nostra pazienza, che ha la stessa radice del verbo patire. Non c’è pace senza la croce. Gesù, solo dopo la sua passione e morte, è risorto ed ha cominciato a salutare i suoi discepoli dicendo: “La pace sia con voi!” Noi, per favorirla, dobbiamo lasciarci zappare e concimare dal vignaiolo Gesù, che ci ripete: “Convertitevi!”. Ed allora convertiamoci, praticando sempre la pazienza e il perdono come Lui, il Principe della pace.

 

 

Era una mamma sempre fedele alla Messa festiva. Mi manifestava spesso tutta la sua amarezza di non vedere più i suoi tre figli, cresciuti nella fede, frequentare la chiesa. Soffriva soprattutto per il primogenito che era diventato una cellula attiva in un gruppo contrario a Dio e alla Chiesa. La invitavo ad avere pazienza, a testimoniare sempre la sua fede amandoli tutti e tre, soprattutto il primo, e a sperare fortemente che presto o tardi avrebbe raccolto i frutti del suo patire. Si ammalò gravemente, e Dio l’accolse nella sua pace.  Qualche giorno dopo la sepoltura il primogenito venne da me per dirmi: “Sono stato io a far morire mia madre!” E si mise a piangere. Ci parlammo come due fratelli. Si disimpegnò completamente dal suo gruppo e cominciò a frequentare regolarmente la chiesa.  La sua mamma in cielo raccoglieva i frutti della sua pazienza sulla terra.