28 gennaio 2007 - 4a domenica t. ord.

Ger 1,4-5.17-19 / 1Cor 12,31 - 13,13 / Lc 4,21-30

 

Di tutte le cose, più grande è la carità

(1Cor 13,13)

 

I

 traduttori di S. Paolo restano legati alla parola greca carità per dire la maniera più sublime di amare che si identifica con l’Amore del Padre, datoci in Gesù come dono totale di se stesso. Non c’è amore più grande di chi dà la vita.

Nel corso dei secoli la parola “carità” si è svuotata, fino al punto di voler dire semplicemente elemosina.

Così “fare la carità” può diventare la maschera dell’amore cristiano e il pretesto per coltivare amorevolmente tutti i nostri egoismi. Occasione di servirci del prossimo per proiettare noi stessi.

Essere profeti, dare tutto ai poveri, essere grandi teologi o eminenti studiosi, dare il corpo alle fiamme, perfino spostare le montagne con la fede, senza l’amore non vale niente.

Che conforto che il Signore chieda solo di amare, anche con piccolissimi gesti, lo chieda a tutti anche a chi ha poco o si ritiene niente. L’amore è possibile a tutti, perché dall’amore siamo stati creati. L’amore ci chiede le virtù dei poveri: la pazienza, la comprensione, non avere invidia, non vantarsi, il rispetto, l’altruismo, la calma, il perdono, la compassione, la trasparenza, la fiducia,  la speranza. Solo il frutto di questo amore resta per sempre e ci immerge in Dio.

 

Durante l’assemblea del condominio c’era stata la solita sfuriata del nostro vicino del pian terreno, che aveva deciso: non ci avrebbe rivolto più la parola perché si era sentito profondamente offeso dal nostro comportamento nei suoi confronti.

Ognuno si era ritirato nel proprio appartamento senza commenti, la situazione era nota e questi incidenti ormai sono dati per scontati. Ma io avvertivo un certo disagio che mi ha indotto a fare un esame più approfondito di quanto quell’uomo aveva detto. Forse, io stessa, per mancanza di attenzione alla sua sensibilità, potevo essere stata causa di sofferenza per lui...

Le parole del Vangelo che invitano alla riconciliazione, non mi davano pace. Così ho cominciato seriamente a pensare di dovergli chiedere scusa. Mi son fatta forza e ho suonato alla porta. Mi ha aperto la figlia. Alla mia richiesta di vedere papà, ha risposto: “Ora non può. Telefonerà lui”. Quanto ha suonato il telefono mi sono affidata a Dio. Ho detto il mio nome e poi: “Per prima cosa devo chiederle scusa per tutte le volte che le ho dato un dispiacere...”. Non mi ha lasciato nemmeno finire, asserendo che non aveva ricevuto da me nessuna offesa. Il ghiaccio era rotto.

M. C., Italia