30 giugno 2002 - 13ª domenica t. o.

2 Re 4,8-11.14-16 / Rm 6,3-4.8-11 / Mt 10,37-42

 

CHI PERDE LA VITA PER ME LA TROVERÀ

Mt 10,39

 

Questa domenica è dominata dalla testimonianza degli apostoli Pietro e Paolo, che in modo eminente hanno fatto esperienza della Parola che Gesù annuncia anche a noi: “Chi perde la vita per me, la troverà”. Paolo diceva: “Tutto io reputo una perdita allo scopo di guadagnare Cristo e ritrovarmi in Lui”.

Noi non perdiamo la vita per Gesù o, meglio, noi non ci ritroviamo in Lui solo con il martirio, ma anche facendo la sua volontà con amore momento per momento.

Pio XI, parlando della vita di S.Teresina, tutta spesa per amore, la definiva “martirio quotidiano”, testimonianza di un amore eroico. Chi si allena ogni giorno in questo martirio di amore si trova preparato, se gli fosse chiesto, a subire il martirio del sangue: tutto per ritrovarsi in Gesù.

Tre farfalle vollero un giorno avvicinarsi al fuoco per conoscerlo. Fermandosi ad osservare una sentenziò: “È qualcosa che fa luce!”. La seconda, sentendone il calore, disse: “È qualcosa che riscalda!”. Ma la terza spiccò il volo, penetrò dentro di esso e divenne essa stessa fiamma viva. Essa sola ha capito che cosa sia il fuoco!

Se il sale non accettasse di sciogliersi, non varrebbe nulla; se il legno non accettasse di bruciare, non farebbe calore e marcirebbe inutilmente. “Chi perde la sua vita per me, la troverà”.

Dal cuore squarciato di Gesù sono scaturiti, come due fiumi, sangue e acqua, figure del Battesimo e dell’Eucaristia. Vivendo questi due sacramenti, che ci rendono figli di Dio e concorporei di Gesù, noi possiamo entrare nel cuore di Cristo e, per suo mezzo, nella voragine d’amore della Trinità.

Questo processo di trasformazione avviene ogni volta che, facendo il vuoto in noi stessi per amore, diventiamo capaci di accogliere il dono di Gesù in ogni prossimo che incontriamo.

G. B. e L. C.

Ogni atto d’amore accende una luce. Se poi si compie tra il buio più profondo dell’odio, allora esso provoca un’esplosione di luce. Giorgio Bielecki, un prigioniero di Auschwitz, scrisse quello che avvenne quando padre Kolbe offrì la propia vita per salvare un prigioniero condannato a morte:

«Fu uno shock enorme per tutto il campo. Ci rendemmo conto che qualcuno tra di noi, in quella oscura notte spirituale dell’anima, aveva innalzato la misura dell’amore fino alla vetta più alta. Uno sconosciuto, uno come tutti, torturato e privato del nome e della condizione sociale, si era prestato ad una morte orribile per salvare qualcuno che non era neanche suo parente. Migliaia di prigionieri si convinsero che il mondo continuava ad esistere e che i nostri torturatori non potevano distruggerlo. Più di un individuo cominciò a cercare questa verità dentro di sé, a trovarla e a condividerla con gli altri compagni del campo.

Dire che padre Kolbe morì per uno di noi o per la famiglia di quella persona sarebbe riduttivo. La sua morte fu la salvezza di migliaia di vite umane. E in questo, potrei dire, sta la grandezza di quella morte. E finché vivremo, noi che eravamo ad Auschwitz, piegheremo la nostra testa in memoria di quello che è accaduto. Quella fu una scossa che ci restituì l’ottimismo, che ci rigenerò e ci diede forza; rimanemmo ammutoliti dal suo gesto, che divenne per noi una potentissima esplosione di luce capace di illuminare l’oscura notte del campo...».