DOMENICA V T.O/C

 

1 In quel tempo, mentre, levato in piedi, stava presso il lago di Genèsaret 2 e la folla gli faceva ressa intorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù vide due barche ormeggiate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. 3 Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedutosi, si mise ad ammaestrare le folle dalla barca. 4 Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: “Prendi il largo e calate le reti per la pesca”. 5 Simone rispose: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti”. 6 E avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano. 7 Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche al punto che quasi affondavano. 8 Al veder questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore”. 9 Grande stupore infatti aveva preso lui e tutti quelli che erano insieme con lui per la pesca che avevano fatto; 10 così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. 11 Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

[Lc 5,1-11]

 

I tre brani biblici di questa domenica - al di là del messaggio specifico e ricchissimo che ognuno contiene- possiamo leggerli in modo unitario. Sono legati tra loro da un tema comune: la vocazione. Si tratta di vocazioni diverse, ma convergenti e unificate in un aspetto fondamentale: la chiamata a una missione viene percepita e accolta dentro un’esperienza di incontro personale con Dio e con Cristo.

 

La prima lettura riporta la celebre visione di Isaia (6,1-8): nel tempio di Gerusalemme egli contempla il “Signore seduto su un trono alto ed elevato”. Un incontro inatteso e improvviso, che segnerà tutta la sua vita e la sua predicazione. Dio appare a Isaia come il Re in tutta la sua maestà, attorniato dai “serafini” (etimologicamente: “i brucianti”), che costituiscono la sua corte. Sono descritti come figure umane, munite di sei ali, che - indicando una viva mobilità - esprimono la prontezza scattante nell’eseguire gli ordini divini. Essi, a cori alterni, proclamano senza tregua: “Santo, Santo, Santo è il Signore degli eserciti”. Il loro canto esprime, in un giubilo senza fine, la realtà specifica di Dio: Colui che è “Santo” in modo esclusivo e intensissimo (è il senso della triplice ripetizione: una forma di superlativo nella lingua ebraica). “Signore degli eserciti”, cioè di tutte le potenze celesti e terrestri. Vale a dire, supremo sovrano dell’universo. Il termine “santo” applicato a Dio significa “separato” e totalmente diverso da ciò che è creatura: trascendente. Richiama anche la sua assoluta perfezione morale. Dice l’inesauribile ricchezza, la bellezza irresistibile, la perfezione infinita dell’Essere di Dio: un mistero “tremendo e affascinante”. Vederlo con occhi umani è morire, secondo la Bibbia, perché è troppo bello... “Tutta la terra è piena della sua gloria”, cioè della sua presenza operante. E’ piena di Lui. Nella celebrazione eucaristica noi abbiamo ogni volta il dono di fare nostro il canto degli Angeli che stanno al cospetto di Dio. Ne siamo consapevoli? Condividiamo la loro lode adorante e gioiosa?

Nel contatto col Dio “santo” Isaia avverte, con indescrivibile angoscia, la propria indegnità, la propria condizione di peccatore, contaminato dal proprio popolo in mezzo al quale vive. Ma Dio interviene con la sua misericordia e, attraverso il gesto del serafino, lo purifica da ogni colpa e impurità. Lo purifica interiormente e totalmente, anche se il testo sottolinea le “labbra” del profeta, perché la sua missione è quella di parlare in nome di Dio. Il frutto del miracolo si coglie immediatamente. Quando Dio si consulta con la sua corte su un volontario a cui affidare la missione, Isaia si fa avanti e offre la sua pronta e incondizionata disponibilità: “Eccomi, manda me!”. La fede, che Isaia manifesta e che non si stancherà di esigere dal suo popolo, è appunto la fede nel “Dio santo”: Colui che è il “tutt’altro” e inaccessibile, ma che per amore si è legato al proprio popolo. “Il Santo di Israele”, secondo l’espressione originale coniata da Isaia.

 

Il racconto evangelico si apre con la scena di Gesù, il Maestro, che - sedutosi sulla barca di Simone (simbolo della Chiesa) - insegnava alle folle. La comunità che si raduna ogni domenica - anche se poco numerosa - fa parte della folla che in tutto il mondo “fa ressa attorno a Gesù per ascoltare la parola di Dio”. Nuova scena: Gesù dà a Simone un ordine inatteso e strano: “Prendi il largo e calate le reti per la pesca. Dopo una nottata intera di lavoro fallimentare, la proposta di Gesù suona come una sfida alla competenza professionale e all’esperienza di un pescatore. Tanto più che “gettare le reti” era un’operazione lunga e faticosa. Simone, però, ha già conosciuto l’efficacia della parola di Gesù, specialmente quando ha guarito la sua suocera (Lc 4, 38ss.). In questa circostanza egli trova il coraggio di affidarsi alla parola del Maestro, anche se ordina un’azione che secondo il giudizio umano è condannata all’insuccesso. Il miracolo strepitoso (una pesca talmente abbondante che le reti minacciano di spezzarsi) mostra all’evidenza quanto sia saggio fidarsi della parola di Gesù. A questo punto Simone rivive l’esperienza di Isaia. Mentre scopre la potenza divina presente e operante in Gesù, avverte la propria realtà di peccatore che non può reggere alla vicinanza di Dio. In ginocchio davanti a Gesù, lo supplica: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore”. Lo riconosce come il “Signore”. Questo titolo richiama le parole dell’angelo che nella notte di Natale annunciava la nascita del “Salvatore, Cristo e Signore” (Lc 2,11). A contatto con questo Signore, di cui ha sperimentato la grande potenza, Simone si vede impuro e indegno di stare alla sua presenza. Gesù però, “l’amico dei peccatori”, non si allontana, né lo allontana, ma lo prende con sé al suo servizio: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini” (letteralmente: sarai uno che prende gli uomini vivi o per la vita). E’ una promessa assai più valida di un comando: tu sei peccatore, inadatto, senza alcuna speranza umana di successo.  Ma sarai mio Apostolo: il risultato sarà assicurato dalla mia parola. Col miracolo Gesù annuncia simbolicamente la fecondità della missione che gli Apostoli e la Chiesa sono chiamati a svolgere nel mondo: salvare gli uomini dal naufragio e dalla morte e accoglierli nella barca di Pietro dove Cristo è presente. Tale servizio al Vangelo non si basa sulle capacità e qualità personali degli inviati, ma sulla parola del “Signore”. La risposta di Simone e dei suoi compagni è immediata e totalitaria: “lasciarono tutto e lo seguirono”. Il racconto mostra che anche oggi - come allora - Gesù chiama ad appartenergli in un rapporto personale e fedele e chiama nello stesso tempo al servizio dell’evangelizzazione. Non si è “ apostoli”, missionari, se prima non si è discepoli. Ma non si è discepoli autentici, se non si serve la missione. La Chiesa di sempre sa che il Signore Gesù la rilancia senza sosta sulla via della missione. La invita a “prendere il largo”, cioè ad avventurarsi nel mare della storia, contando sulla presenza del suo Signore e sulla forza della sua parola. E’ questo il motivo conduttore dell’Esortazione Apostolica NMI (cfr. soprattutto nn.1 e 58). Quanto più crescerà il rapporto con Cristo e con la sua parola (amata, ascoltata, vissuta), tanto più fruttuosa sarà la missione.

 

Anche Paolo nel passo di 1Corinti (15,1-11: II lettura) dichiara che, se lui e gli altri apostoli si affaticano nell’annunziare il Vangelo, è perché hanno incontrato Gesù risorto: “Apparve a Cefa, ai Dodici, ...a Giacomo...a me. E’ questa esperienza che li ha trasformati in suoi testimoni entusiasti.

 

Oggi in Italia si celebra la 29° “Giornata per la Vita”. Il messaggio dei nostri Vescovi ruota interamente attorno a un appello vibrante: “Italia, ritrova il coraggio di desiderare la vita”.

Dal “sì” incondizionato alla vita scaturisce il no all’aborto e alla selezione eugenetica, come pure all’eutanasia e all’accanimento terapeutico. Ma scaturisce anche la denuncia del “grave, persistente problema del calo demografico” e dell’ umiliante sfruttamento” che colpisce gli immigrati.

 

Un messaggio che richiede di essere attentamente meditato, interiorizzato e attuato.

 

Desideriamo e imploriamo un incontro con Dio e con Gesù che si avvicini all’esperienza di Isaia, di Simone, di Paolo, per non rimanere cristiani soltanto di nome?

 

Sulla tua parola, Signore!”. Tante volte posso ripetere lungo la giornata questa dichiarazione di totale affidamento a Gesù: Siccome me lo dici tu (es. nel Vangelo ci assicuri che ci ami e ci prepari una vita eternamente felice), di te mi posso fidare.

Siccome me lo chiedi tu (es. mi domandi di compiere ogni cosa per amore), so che è quanto di meglio io possa fare.

Cercheremo insomma di basare ogni momento della nostra vita sulla parola di Gesù. Sperimenteremo, così, che Egli interviene al di là di ogni nostra attesa.