DOMENICA IV DI PASQUA/C

 

In quel tempo, Gesù disse: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. Io e il Padre siamo una cosa sola”.

[Gv 10,27-30]

 

Nella breve dichiarazione di Gesù, riportata nel brano evangelico di oggi, è racchiusa tutta l’esperienza cristiana. Si tratta di un legame profondo che si stabilisce fra il Cristo risorto e coloro che, credendo in Lui, fanno parte dellla Chiesa. Legame che Gesù descrive attraverso l’immagine del pastore e del gregge. Tre verbi, tre affermazioni riguardano le pecore e a queste affermazioni ne corrispondono altrettante sul pastore. Questo intreccio esprime la qualità  e l’intensità unica del rapporto fra Gesù e i suoi discepoli.

- “Io le conosco”. Non si tratta di una conoscenza superficiale, anagrafica. Nella Bibbia il verbo “conoscere” significa una relazione d’amore personale, profonda; una relazione che supera l’intimità della stessa relazione nuziale e la tenerezza di una madre o di un padre nei confronti del proprio figlio. Gesù mi assicura: “Io ti conosco”. Cioè, so tutto di te. Tutto mi interessa di te. Mi prendo a cuore ogni particolare della tua vita. Ti amo.

Io dò loro la vita eterna”, vale a dire: la vita stessa di Dio, la comunione del Figlio col Padre, la medesima relazione d’amore che da sempre lo lega al Padre (=lo Spirito Santo). Ecco  il dono permanente che Gesù fa ai suoi, la realtà sovrumana in cui li introduce. “Io le conosco…io do loro la vita eterna”. Chi sente risuonare nel cuore questa dichiarazione può gustare una pace e una sicurezza imperturbabili. Anni fa una ragazza, qualche giorno prima della sua morte in seguito a un incidente, aveva scritto nel diario: “Lui ha il mio nome scritto nella sua mano”.

 

 - La legge che regola il rapporto di Cristo con i suoi è la reciprocità. E’ appunto un rapporto di alleanza. I suoi come si comportano con Lui? “Ascoltano” la sua voce. E’ l’atteggiamento fondamentale dei credenti. La parola di Gesù essi l’accolgono, la interiorizzano, la custodiscono nel cuore. Non ne lasciano cadere a vuoto neppure una. “Gli orecchi sono i veri organi del cristiano” (Lutero). E’ essenziale curare la qualità dell’ascolto, cioè l’attenzione vigile e piena d’amore non solo alle parole ma prima ancora a Colui che ci parla (Gesù). Così facendo, impareremo a riconoscere, a colpo sicuro, fra le mille voci e i tanti messaggi che ci raggiungono, quali sono in sintonia con la sua voce e quali no.

Mi seguono”: L’ascolto diventa azione. L’ “udire” sfocia nell’ “ubbidire”. 

- A questo punto Gesù fa ancora due affermazioni che riguardano il futuro della sua relazione con i discepoli: le sue pecore “non andranno mai perdute” e “nessuno le rapirà dalla sua mano”. Egli le difende, le protegge. In mano a Lui godranno la massima sicurezza. La ragione ultima? Esse appartengono al Padre, che le ha affidate a Gesù e rimane con Lui nel custodire il gregge. Ora il Padre è “più grande di tutti”, cioè è infinitamente potente; per cui nessuno può strapparle dalla mano del Padre. “Io e il Padre siamo una cosa sola”. Affidarsi a Gesù vuol dire mettersi nelle mani del Padre, perché Gesù e il Padre agiscono con un medesimo potere, e spinti da un medesimo amore, in favore delle pecore. Questa “sinergia”, questa unità nell’agire, secondo cui il Figlio opera inseparabilmente dal Padre e viceversa, suppone la loro unità nell’essere. Quale sicurezza maggiore per i discepoli, se Gesù e il Padre li avvolgono col loro amore (cfr. Rm 8, 35.39)? Custoditi dall’unità e nell’unità tra il Padre e il Figlio, essi sono destinati a diventare sempre più una cosa sola: “Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola” (Gv 17,21). “Ascoltando la voce” di Gesù e “seguendolo”, veniamo introdotti in questa unità. Se vivo unito a Gesù, posso dire anch’io: “Io e  il Padre siamo una cosa sola”.

 

L’amore di Cristo è universale e tutti gli uomini sono chiamati a far parte del suo “gregge”. Paolo e Barnaba (At. 13, 14-52: I lettura) si rivolgono direttamente ai pagani annunciando loro il Vangelo. Il motivo? Gesù è stato costituito da Dio “come luce per le genti, perché porti la salvezza sino all’estremità della terra” (Cfr. Is 49,6). E’ attraverso il servizio degli Apostoli di tutti i tempi che Cristo realizza questa sua missione e può accogliere nel suo gregge ogni uomo, legandolo a sé in un rapporto personale.

Lo sbocco finale di tale rapporto è la salvezza futura e totale. Il brano dell’Apocalisse (7,9-17: II lettura) ci fa appunto contemplare la Chiesa celeste – formata da una moltitudine immensa di ogni razza e nazionalità -, che offre il culto a Dio e all’ “Agnello” (=Gesù sacrificato e risorto), e gode la pienezza della vita. Il rapporto di Gesù “Pastore” con i suoi raggiunge in tal modo la suprema perfezione: “L’Agnello che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore”. Com’è possibile questa inversione di ruoli (l’Agnello che diventa Pastore)? In realtà Gesù aveva più volte affermato che “il buon pastore offre la vita  per le pecore” (cfr.Gv 10,11-18). Un’espressione che l’Apocalisse rende con l’immagine dell’ “Agnello  immolato”. Per questo Gesù ha acquistato il diritto di essere capo del gregge. Tanto più è pastore quanto più “ama e serve” fino a dare la vita (=Agnello immolato).

 

Oggi Gesù ha bisogno di persone per portare la salvezza sino ai confini della terra (cfr. es. i missionari, sia religiosi che laici). Ha bisogno di persone attraverso cui continuare a svolgere il suo servizio di pastore che ammaestra, nutre, guida  il suo gregge (cfr. Vescovi, preti, diaconi…). Ha bisogno di persone che con la loro esistenza totalmente consacrata a Lui annunciano il futuro di felicità che ci attende (cfr. tutte le vocazioni di speciale consacrazione a Dio: religiose, religiose ecc.). Ognuno, in qualunque stato di vita, ha la sua chiamata specifica a essere “pastore” nella Chiesa, cioè responsabile di un servizio.

E’ il significato della Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni. Siamo richiamati a indirizzare la nostra preghiera insistente e fervorosa al “Padrone della messe perché mandi operai”. In particolare, la preghiera “per le vocazioni al sacerdozio, alla vita consacrata e al servizio missionario.

In sintonia col messaggio del Papa per la Giornata di quest’anno, incentrato sul tema “Le vocazioni nella Chiesa comunione”, in Italia ci viene proposto uno slogan molto bello e stimolante: “La tua vita per la sinfonia del Sì!”. La Chiesa è chiamata a essere sempre più “armonia” che nella diversità e complementarietà di doni e missioni annuncia il Vangelo, facendo risuonare il sì d’amore a Dio e ai fratelli. A tale scopo ognuno metterà in gioco l’intera sua vita nel realizzare la sua specifica vocazione in un cammino concorde con tutti gli altri membri della comunità cristiana.

 

 Io ti conosco…Ti do la vita eterna…Nessuno ti rapirà dalla mia mano”.

Qualche volta al giorno prova a sentirti ripetere da Gesù questa dichiarazione. E assicuralo a tua volta: “Ascolto la tua voce…ti seguo”.  Cerca anche di capire quale impegno ti stai prendendo con Lui con queste parole.

 

Il mese di maggio, che sta per iniziare, ci richiama a ravvivare il nostro rapporto filiale con Maria.

La “devozione” a Maria, se intesa e vissuta correttamente, non ostacola la relazione con Cristo, che resta prioritaria in assoluto  nella vita del cristiano. Ma la favorisce. Maria, infatti, è tutta “relativa” a Gesù: tu chiami “Maria” ed ella risponde “Gesù”. Maria è, appunto, la prima credente, la perfetta credente, modello inarrivabile della relazione autentica con Cristo. Specchiandoci in Lei, imitandola, si diventa sempre più come Lei, cioè veri discepoli di Gesù. Cercheremo, perciò, in questo mese di riferirci spesso a Maria per riscoprire e rivivere la sua fede e la sua carità.

Non trascureremo, poi, il dialogo con la  nostra Madre. Un modo potrebbe essere la recita del santo Rosario. Oppure ognuno potrebbe regalarle qualche momento della giornata pregando per es. con una decina di “Ave Maria”, magari insieme ai familiari. Anche una sola “Ave Maria”, recitata con attenzione, è una dichiarazione d’amore a tua Madre. Un santo ha scritto che, quando si recita l’ “Ave Maria”, un fiore spunta in Cielo.

A questo proposito, tradizionalmente in questo mese parecchie persone si impegnano a moltiplicare gli atti d’amore, considerandoli come altrettanti fiori da offrire a Maria. Ogni dichiarazione d’amore a Gesù e a Lei (lo è ogni preghiera, anche breve e spontanea, pronunciata col cuore), ogni gesto di attenzione agli altri, ogni passo di riconciliazione, ogni dovere compiuto: sono tutti fiori regalati a Maria, fiori che crescono nel suo giardino e che non appassiranno mai.

Maria vegli sul nostro cammino e ci ottenga di vivere il mese di maggio più bello della nostra vita.

 

 

Regina dei cieli, rallegrati, alleluia

Cristo che hai portato nel grembo, alleluia

È risorto, come aveva promesso, alleluia

Prega il Signore per noi, alleluia.