II DOMENICA DI QUARESIMA/C

 

 

28 In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. 29 E, mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. 30 Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia, 31 apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme. 32 Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. 33 Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: “Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia”. Egli non sapeva quel che diceva. 34 Mentre parlava così, venne una nube e li avvolse; all’entrare in quella nube, ebbero paura. 35 E dalla nube uscì una voce, che diceva: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo”. 36 Appena la voce cessò, Gesù restò solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

[Lc 9,28-36]

 

La Quaresima è un cammino di conversione, cioè di fede. Tale fede brilla in modo esemplare nel comportamento di Abramo (Gn. 15, 5-18: I lettura). E’ avanti negli anni e sua moglie è sterile. Dio però gli ha promesso di dargli una numerosa discendenza. Una promessa che ora gli rinnova. Quale la sua reazione? “Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia”. Abramo non dubita, si fida incondizionatamente. E Dio riconosce che il suo atteggiamento è “giusto”, è quale deve essere l’atteggiamento dell’uomo davanti a Dio. Il Signore è felice di lui e con lui si lega in un patto, a cui rimane fedele per sempre. L’alleanza che Dio rinnova con noi in ogni Eucaristia esige la stessa fede di Abramo.

L’episodio evangelico di oggi intende consolidare questa fede nei discepoli in vista della terribile prova che sarà la Passione di Gesù. La Trasfigurazione è un’esperienza senza dubbio straordinaria, unica, per Gesù anzitutto, e per i suoi tre discepoli. “Salì sul monte a pregare. E, mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto” E’ un bisogno per Gesù appartarsi a pregare. Il dialogo prolungato col Padre, la sua “immersione” in Lui, opera una trasformazione di tutto il suo essere. Ciò vale anche per noi: nel dialogo con Dio, ci si riempie di Lui e si diventa trasparenti, luminosi. Un Gesù incredibilmente nuovo. L’evangelista sottolinea la sua luminosità: “La sua veste divenne candida e sfolgorante”. Il bianco luminoso simboleggia il mondo divino, il mondo della risurrezione. I discepoli “videro la sua gloria”. E’ la “gloria” di Dio, cioè la pienezza traboccante della vita di Dio, che rifulge su tutta la persona di Gesù. E’ la “gloria” segreta di Gesù, quella vitalità infinita, quel fascino, quello splendore divino, che abitualmente si nascondeva sotto un’umanità comune, e che ora trapela, anzi esplode all’esterno, seppure per un attimo. I discepoli rimangono letteralmente “inchiodati”, estasiati da tanta bellezza. Ma prima ancora, Gesù stesso è sopraffatto dallo stupore, è inondato e sommerso dalla gioia di Dio. In questo modo il Padre fa sperimentare a Gesù e fa intravedere ai tre discepoli un “assaggio” di quella gloria che, risorgendo dai morti, possederà per sempre dal mattino di Pasqua. Il Gesù trasfigurato è già in qualche modo e per anticipo il Signore risorto.

Quest’esperienza vuole infondere in Gesù e nei discepoli coraggio e fiducia di fronte alla prospettiva della sofferenza e della morte. Ecco dove conduce il cammino verso Gerusalemme. Qui Gesù sarà ucciso: fallimento totale della sua opera e dispersione dei discepoli. Ma non è questo lo sbocco ultimo e definitivo. Il traguardo finale è la vita nuova vittoriosa sulla morte, è la luce della risurrezione.

A noi cristiani, impegnati nell’itinerario quaresimale di conversione, impegnati ogni giorno a seguire Cristo con fedeltà tenace, anche se sofferta, la trasfigurazione di Gesù ricorda che questo cammino ci porta a gioire a Pasqua col Signore risorto, ma ci conduce pure immancabilmente alla nostra futura “trasfigurazione” (cfr. Fil 3, 20-21: II lettura). E’ un annuncio, quindi, del nostro vero destino, un rilancio di quella speranza senza complessi, che resiste a ogni sfida, anche a quella della morte. Una speranza che, specialmente nei cristiani più fervorosi, diventa quasi nostalgia, impazienza, desiderio struggente di essere come Lui e con Lui, il Signore “trasfigurato”, il Signore risorto.

Tale attesa, però, non può distogliere dal cammino concreto nella storia, non può distogliere dall’impegno di servizio all’uomo, che è la via percorsa da Gesù. Pietro, inebriato dalla gioia di questa esperienza, propone di restare lì sul monte. Vorrebbe “fissare” quel momento di beatitudine. Perché salire a Gerusalemme, dove un tragico destino attende Gesù? In realtà Pietro pensa solo a sé e ai due compagni, dimenticando gli altri, dimenticando soprattutto che la “trasfigurazione” sarà il traguardo di un cammino di dolore. L’estasi è, appunto, di breve durata e i discepoli si ritrovano col Gesù di tutti i giorni, in viaggio verso Gerusalemme.

Allo stesso modo i cristiani non possono dimorare stabilmente su nessun “Tabor”. Il Signore ogni tanto può regalarci nelle forme più diverse momenti di particolare luce o gioia, che assomigliano sia pure lontanamente all’esperienza dei discepoli sul monte. Tuttavia il cammino ordinario è quello di una fede che va avanti, spesso con fatica, nella quotidianità, nella ferialità, in compagnia di un Gesù che non ci incanta col suo fascino. Questa fede, che ha un modello stupendo in Abramo, ci consente di riconoscere nel Gesù che ci parla nella Scrittura e nella Chiesa, nel Gesù che si nasconde nei fratelli ed è presente soprattutto nell’Eucaristia, il Gesù “trasfigurato”, il Signore risorto, che ci catturerebbe irresistibilmente se si mostrasse nella sua realtà visibile. Non lo fa, perché è geloso della nostra libertà.

Questa fede ci aiuta a riconoscere la voce del Padre, mentre avvolge i discepoli con la sua presenza (cfr. la “nube”): “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!”. E’ il culmine di tutta la scena. La dichiarazione, che nel Battesimo aveva rivolto esclusivamente a Gesù (“Tu sei il mio Figlio prediletto”),  il Padre ora la ripete ai tre discepoli e - tramite loro -, a tutti noi: “Questo Gesù è mio Figlio, il mio unico tesoro, il mio tutto”. Questa relazione con Dio è il vero segreto della persona di Gesù: in tale segreto il Padre introduce i discepoli, anzi li rende partecipi di tale rapporto di Gesù con Lui.

All’indicativo si aggiunge l’imperativo: “Ascoltatelo!cioè accogliete la sua parola. Fate quello che vi dice. Accettate Gesù così com’è e non come vorreste voi: accettatelo cioè come il Messia sofferente, che arriva alla gloria attraverso il servizio ostinato agli uomini fino alla morte. Seguitelo sulla stessa strada.

Le parole del Padre sono confermate anche dalla presenza di Mosè e di Elia, che rappresentano la Legge e i profeti, indicando che tutta la rivelazione dell’A.T. trova il suo compimento in Gesù. Luca è il solo a riferire il contenuto del loro colloquio con Gesù: “la sua dipartita (letteralmente: “esodo”), cioè il passaggio, che Egli dovrà compiere - attraverso la morte, risurrezione, ascensione - alla casa del Padre, conducendo con Lui i suoi.  Se finora i fedeli di Israele hanno ascoltato Mosè ed Elia, ora devono ascoltare Gesù. E’ Lui l’unico Maestro degli uomini:  non hanno bisogno di nessun altro. Hanno con loro Colui che porta la rivelazione definitiva di Dio. Solo Gesù deve bastare.

La “trasfigurazione” non è soltanto un avvenimento futuro che il credente aspetta nella speranza. Ma nella sua vita è già in corso una misteriosa “trasfigurazione” del suo essere, un rapporto di progressiva assimilazione a Cristo attraverso l’amore. Una “trasfigurazione” che in certi cristiani più maturi non di rado traspare anche all’esterno. Quando per es. visito malati che mi accolgono col sorriso e accettano con serenità la loro sofferenza, quando trovo ragazzi e giovani che sanno andare controcorrente e si mantengono puri in un ambiente inquinato e inquinante; quando incontro persone di ogni età che sono capaci di perdonare; persone che hanno deciso di giocare la loro vita su Dio soltanto, rinunciando all’idolo del denaro, del successo, del potere, del sesso...in tutti questi casi penso a tale “trasfigurazione” in atto.

 

Lungo la nostra giornata quanti gesti forse scivolano via, vuoti d’amore, e ci lasciano insoddisfatti! Non potresti provare a “trasfigurare” ognuno dei tuoi gesti, a trasformarlo cioè in un gesto di attenzione agli altri, in un capolavoro d’amore? Comincia subito con le persone che ti stanno vicino.

Molte volte al giorno io posso raccogliermi in una pausa di silenzio oppure posso attivare la mia attenzione durante il lavoro, il gioco, e anche in mezzo alla confusione, per avvertire la voce del Padre che mi ripete: “Gesù è il mio Figlio, è tutto il mio amore, è tutta la mia gioia. Ascoltalo . Cioè accogli la sua parola, mettila in pratica, accetta la sua guida, ubbidisci a Lui”.

Il rapporto con la parola di Gesù, come anche il dialogo con Lui nella preghiera, ci “trasfigura” interiormente rendendoci sempre più simili a Lui, altri Lui. Il custodire nel cuore, lungo la giornata, anche una sola delle parole di Gesù, che ci sono state donate nella celebrazione domenicale o che abbiamo colto leggendo il Vangelo, “trasfigura” a poco a poco il nostro modo di pensare e di agire e rende il nostro volto più luminoso, quasi trasparenza del volto di Gesù.

Quante volte lungo la giornata mi capita di leggere o ascoltare o lasciare risuonare nel mio cuore una parola del Vangelo e di impegnarmi subito a viverla? Perché non comunicare anche con qualcuno della famiglia e con altri ciò che abbiamo potuto capire e vivere?