DOMENICA DELLE PALME/C

 

“Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà”...

“Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”...

“Gesù, ricordati di me, quando entrerai nel tuo regno”. Gli rispose: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso”...

Gesù gridò a gran voce: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Detto questo, spirò.

[ da Luca 22, 39-46 e 23, 33-46]

La liturgia di oggi ci presenta due grandi scene: la prima di gioia, l’altra di dolore.

 

Prima scena: l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, acclamato come re dai discepoli e da una folla entusiasta (Lc 19, 28-40). I cristiani oggi, con la medesima esultanza, si stringono al loro Signore, ormai vivo per sempre in mezzo a loro. Gesù entra nella Citta Santa per affrontare la sua passione. Tale ingresso, però, è un annuncio della vittoria strabiliante che Egli riporterà sulla morte. I fedeli si associano a Lui e rivivranno in questi giorni il suo dramma, con lo sguardo orientato verso il traguardo della risurrezione.

Il ramoscello di palma o di olivo - che portiamo a casa o regaliamo a qualcuno - non è un portafortuna, ma un segno - ricordo dell’esperienza di fede in Gesù che oggi abbiamo fatto e un richiamo a restargli fedeli.

 

Seconda grande scena: il racconto della passione del Signore secondo Luca. L’evangelista ha ricevuto questa storia da testimoni oculari, da persone ormai certe che il Crocifisso era risorto, lo avevano incontrato, e consideravano la tragedia finale della sua vita un immenso tesoro da non dimenticare. E’ un dono, e anche un grande atto di saggezza, sostare in ascolto e in contemplazione davanti alla Passione del Signore. Per i credenti, infatti, la storia che Luca narra è una storia unica. Unica perché Colui che ha sofferto tali pene era innocente, come nessun altro mai. Unica perché non era un semplice uomo, ma il Messia, il Figlio stesso di Dio. Unica perché la passione non è stata da Lui subita, ma accettata per amore, in piena lucidità e totale libertà. Unica perché una morte così vergognosa non è stata e non poteva essere un fallimento definitivo, ma è sfociata nella risurrezione e nella vita gloriosa. Tutti aspetti sottolineati dal racconto di Luca. Il discepolo è invitato a contemplare con gratitudine e commozione questa storia di dolore e di amore, anzi a viverla seguendo Gesù attraverso la conversione e l’imitazione. Sosteremo in particolare davanti a due momenti.

Il primo si svolge sul monte degli Ulivi (Lc 22, 39-46) e mette in luce la “passione interiore” di Gesù. E’ l’ora in cui Satana sferra l’attacco decisivo contro di Lui (cfr. Lc 4,13). Mai come in questo momento la tentazione è stata così forte. La tentazione di non ubbidire a Dio e di rifiutare il suo progetto. Ciò che opprime Gesù è il terribile problema: perché la morte violenta? Può essere questo il programma di Dio? Come è possibile che il disegno di Dio, il suo amore, la sua presenza si trovino nel dolore e nell’assurdo della morte? Quante volte il problema che angustia Gesù è anche il nostro! Gesù lotta contro la tentazione. Luca usa il termine “agonia” (v.44), che significa “angoscia”, ma più propriamente “lotta”, tensione sino allo spasimo. Gesù appare come l’atleta che ingaggia una lotta dura e “suda sangue” nello sforzo sovrumano del combattimento e vince, sostenuto dalla preghiera: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà”. Nella preghiera Egli trova la forza per superare la tentazione, rimanendo fedele a Dio e accettando la passione. Una preghiera che rivela il suo rapporto intimo e personale con Dio: “Padre = Abbà” (v.42). Nella preghiera Egli viene come trasformato: rinuncia alla sua volontà per abbracciare in una resa incondizionata la volontà del Padre. Vince, così, la battaglia e si rivela veramente “Figlio di Dio”, a Lui perfettamente unito nell’amore. Tale rapporto di Gesù col Padre è proposto al discepolo quale segreto per uscire vincitore da ogni prova. Tutta questa scena è in pratica un insegnamento sulla preghiera nel momento della tentazione. Il brano, nel quale domina la figura del Cristo orante e modello del discepolo, si apre e si chiude con la medesima esortazione di Gesù: “Pregate per non entrare in tentazione”, cioè per non acconsentire alla tentazione (v. 40 e v.46). Quando preghiamo siamo uniti al Signore e abbiamo quindi la sua forza per resistere ad ogni assalto del Maligno. Pregare è ripetere l’invocazione del Padre nostro (cfr. Lc 11,4): “Non ci indurre in tentazione” =fa’ che non cediamo alla tentazione di tradirti e di perdere la fede. Pregare è ripetere con Gesù al Padre, in ogni circostanza fosse pure drammatica, :Non sia fatta la mia ma la tua volontà”.

Il secondo momento si ambienta sul Calvario (Lc 23, 33-46) e riguarda il culmine della passione di Gesù, cioè del suo spasimo fisico come della sua sofferenza interiore. Al discepolo che lo contempla il Maestro offre un esempio di sconfinato amore e fiducia, soprattutto attraverso la sua preghiera. Sulla croce Egli è più che mai la figura dell’Orante, espressa anche visivamente dalla posizione del Crocifisso con le braccia spalancate verso Dio e verso l’umanità intera. Invece del grido di abbandono (cfr. Mc 15, 34 e Mt 27, 46), Luca riporta tre parole di Gesù morente.

-“Padre, perdonali...(v.34): appare qui nitidamente la relazione personale di Gesù con suo “Padre” (=Abba, cioè papà) e la sua magnanimità nel perdonare le offese. Lo aveva insegnato (Lc 6, 27-28.35-37) e ora lo pratica esistenzialmente. Nel momento del dolore più forte Gesù non si ripiega su se stesso, non pensa a se stesso, ma si preoccupa degli altri (anche se sono i suoi uccisori) e su di essi invoca il perdono proponendo l’attenuante della “seminfermità mentale”: “...non sanno quello che fanno”. Gesù ha implorato il perdono anche per noi, per certi nostri comportamenti? E quando avvertiamo la fatica e ...l’impossibilità di perdonare, non basterebbe ogni volta guardare a Lui in croce e riascoltare la sua supplica al Padre?

Nella scena degli insulti si verifica una svolta imprevista: uno dei malfattori crocifissi con Gesù non si associa agli insulti, ma confessa la sua colpevolezza, riconosce l’innocenza di Gesù e si rivolge a Lui con una supplica che esprime pentimento e fede messianica: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Le parole del brigante manifestano una confidenza e una familiarità che sorprendono. E’ l’unica volta che nel vangelo di Luca uno si rivolge a Gesù chiamandolo per nome invece che col titolo abituale di “Maestro” e “Signore”. La risposta di Gesù supera ogni attesa: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso”. L’espressione più  importante è “con me”. Gesù gli assicura la comunione piena con Lui al di là della morte, la partecipazione al suo destino. La croce di Gesù trasforma il mondo, producendo la conversione delle persone e assicurandoci la misericordia. Contemplare a fondo la Croce significa capire che ci troviamo di fronte a un atto supremo di misericordia e di perdono, e nel contempo prendere coscienza del proprio stato di peccatori. Significa, insieme al buon ladrone, esprimere pentimento e fiducia in Gesù (“Gesù, ricordati di me”). Così un’intera vita sciupata e perduta viene ricuperata e salvata a contatto con Lui.

Prima di spirare Gesù grida a gran voce: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Gesù riprende, trasformandole, le parole del salmo 31,6. Si rivolge al Padre (=papà), gli offre la propria vita tutta trascorsa nel compiere la sua volontà fino al dono totale di sé nella morte. Nello stesso tempo chiede a suo Padre di accoglierlo con sé. La morte, che è per l’uomo estrema lacerazione e solitudine, è sentita da Gesù come incontro col Padre, come l’addormentarsi del figlio nelle braccia del suo papà. Come Gesù deve vivere e morire anche il cristiano. Non a caso in Atti 7, 59-60 sulle labbra di Stefano morente sotto i colpi della lapidazione ritroviamo le medesime espressioni di Gesù sulla croce, con l’unica differenza che Stefano si rivolge al Cristo glorificato: “Signore Gesù, accogli il mio spirito...Non imputare loro questo peccato.”

Non i chiodi tennero Gesù sulla croce, ma l’amore” (s. Caterina da Siena)

Se gli angeli potessero invidiare gli uomini, lo farebbero per due motivi: primo, perché Dio ha patito per loro; secondo, perché gli uomini possono patire per Dio” (s. Francesco di Sales). Potremmo precisare: “patire col Figlio di Dio”. Non soltanto riconoscere il suo “volto dolente” in ogni uomo che soffre. Ma, ogni volta che tu soffri, puoi scoprire accanto a te il Crocifisso che ti chiama: Soffri con me, stringiti a me, unisci la tua pena alla mia. Lascia che io ti associ al mio dolore e possa soffrire in te e con te. Così la tua sofferenza acquisterà l’efficacia redentiva della mia passione.

 

Lungo la settimana troverò il tempo per sostare ancora davanti alla tragica sequenza che il Vangelo oggi ci presenta e in particolare davanti ai due momenti sopra riportati. Contemplando, mi sentirò coinvolto e mi verrà da dire: tutto questo Gesù lo ha fatto per me, pensando a me! Lo ringrazierò. Gli chiederò anche che cosa si aspetta da me come risposta al suo amore.

“Ascolta chi è stato crocifisso, ascoltalo parlare al tuo cuore.

Ascoltalo, Lui che ti dice: Tu vali molto per me” (Giovanni Paolo II)