IL MISTERO TRINITARIO

La Trinità archetipo della comunità

Seguendo il cammino di autocomprensione della comunità, abbiamo trovato riferimenti espliciti all'unità trinitaria quale tipo e fondamento della koinonia della comunità religiosa. La comunione vissuta dai Dodici attorno a Gesù e quella che rendeva i primi cristiani di Gerusalemme un cuore solo e un'anima sola tra di loro, rimandano ad una unità ancora più profonda che si manifesta in queste comunità e che insieme le trascende: la koinonia trinitaria. Al di là delle molteplici esperienze di comunità religiose, al di là delle stesse comunità prototipe e normative dei discepoli di Cristo e dei cristiani di Gerusalemme, vi è l'archetipo trinitario, l'agape divina, comunione ineffabile di Persone. Ogni comunità cristiana è «sacramento dell'agape di Dio», luogo in cui si rispecchia, si partecipa e si vive la vita dell'Uni-Trinità. Tale è la sua natura più profonda e insieme la sua più intima vocazione.

Si è rivelato particolarmente importante, al riguardo, l'apporto di Agostino, per la lettura teologica che ha saputo dare della propria esperienza di comunità. Guardando all'opera dello Spirito di Pentecoste, che «di tante anime e di tanti cuori (...) fece un'anima sola e un cuore solo», poteva risalire alla Trinità e lì contemplare il frutto di unità operato dal medesimo Spirito. Se lo Spirito, pax unitatis, così scriveva, ha fatto di molti uomini un cuore solo e un'anima sola, «crediamo che, a molto maggior ragione, nella pace di Dio la quale sorpassa ogni intelligenza, il Padre il Figlio e lo Spirito Santo non sono tre dei, ma un Dio solo; unità questa tanto superiore a quella formata da un'anima sola e da un cuor solo dei primi Cristiani, quanto la pace che sorpassa ogni intelligenza [lo Spirito Santo] è superiore alla pace che possedevano tutti quei primi fedeli, ch'erano un'anima sola e un cuore solo protesi verso Dio». La comunità monastica agostiniana, in continuazione con l'esperienza di Gerusalemme, appariva icona della Trinità e si riconosceva proveniente da essa e partecipazione del suo mistero di unità.

Il rimando alla Trinità come all'archetipo della comunità è tornato più volte lungo l'itinerario della vita religiosa, anche se non sempre tematizzato in maniera approfondita e con la dovuta centralità. Così, ad esempio, si esprimeva Vincenzo de Paoli con le Figlie della Carità: «Vedete, figlie mie, allo stesso modo che Dio è uno solo in se stesso, e in lui vi sono tre Persone, senza che il Padre sia più grande del Figlio, né il Figlio dello Spirito Santo, ugualmente bisogna che le Figlie della Carità, che devono essere l'immagine della Santissima Trinità, benché molte siano tuttavia un cuor solo e un'anima sola. (...) Così farete di questa Compagnia una riproduzione della Santissima Trinità. In tal modo che la vostra Compagnia rappresenterà l'unità della Santissima Trinità».

Oggi che la Chiesa è cresciuta nella comprensione della propria dimensione di mistero, in particolare come Ecclesia de Trinitate, possiamo capire meglio anche la dimensione mistica e trinitaria della comunità religiosa. Ogni forma di comunità nella Chiesa attinge infatti la profondità del proprio essere dalla comunità trinitaria, attraverso la comunicazione che la Trinità fa di se stessa e del mistero della propria unità. La fondazione della comunione cristiana sta nella vita trinitaria partecipata ai fedeli mediante il loro innesto nel Cristo. La comprensione del rapporto comunità religiosa-Trinità dovrà quindi necessariamente essere mediata dalla comprensione del rapporto Chiesa-Trinità, in quanto la comunità religiosa è partecipazione ed espressione significativa e particolare della più ampia comunione ecclesiale.

La pista di riflessione offerta dal Concilio stesso a riguardo della vita religiosa si muove in questa direzione. L'intero cap. VI della Lumen gentium presenta la vocazione religiosa all'interno del mistero della Chiesa e come dimensione costitutiva di essa. Ritrovandosi parte viva della Ecclesia de Trinitate, la vita consacrata si riscopre a partire dal mistero stesso della Trinità. Questa forma di vita, secondo l'insegnamento dei Padri conciliari, nasce dall'amore di Dio, quale «prezioso dono della grazia divina fatto dal Padre ad alcuni» (LG 42c); «continuamente rappresenta nella Chiesa la forma di vita che il Figlio di Dio abbracciò quando venne nel mondo» (LG 44c); vive nella docilità allo Spirito Santo, «per una più grande santità della Chiesa e per la maggior gloria della Trinità una e indivisa, la quale in Cristo e per mezzo di Cristo è la fonte e l'origine di ogni santità» (LG 47).

Seguendo le indicazioni del Concilio, in questi anni vi è stato il tentativo di una rilettura dell'intero progetto di vita religiosa a partire dal mistero trinitario. Si tratta di un cammino appena iniziato, che non ha portato ancora i frutti sperati, e che pure fa intravedere la fecondità di questa nuova pista di riflessione. La dimensione trinitaria, in effetti, avvolge la vita consacrata, in tutte le sue dimensioni di consacrazione, comunione, missione.

La consacrazione, in quanto radicalizzazione del battesimo, pone il religioso direttamente in rapporto con il Dio trinitario. Il Perfectae caritatis aveva già letto la consacrazione in chiave trinitaria quando additava il Padre come sorgente della chiamata, il Figlio come oggetto di sequela, lo Spirito Santo come colui che muove a vivere sempre più per Cristo e per la Chiesa (cf. 1c). La consacrazione, ha scritto Giovanni Paolo II approfondendo il dato conciliare, «crea un nuovo legame dell'uomo con Dio uno e trino, in Gesù Cristo» e produce nella persona consacrata «la gioia di appartenere esclusivamente a Dio, di essere un'eredità particolare della Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo». Lo stesso Codice di Diritto Canonico sintetizza l'orientamento trinitario della consacrazione con le seguenti parole: «La vita consacrata mediante la professione dei consigli evangelici è una forma di vita con la quale i fedeli, seguendo più da vicino Cristo sotto l'azione dello Spirito Santo, si dedicano totalmente a Dio sommamente amato» (can. 573 §1 ).

La dimensione apostolica e di diakonia delle comunità religiose, pur così diversa a seconda dei differenti carismi, si colloca ugualmente nella linea dell'uscita della Trinità da se stessa, nella sua estasi d'amore con la quale si dona e si pone a servizio dell'uomo. La comunità si apre a sua volta e, continuando la missione affidata dal Padre al Figlio e compiuta nello Spirito, si dona nella propria tipica ministerialità, per portare tutto l'uomo e tutti gli uomini verso la realizzazione della loro vocazione, che è quella di vivere nella Trinità.

Ma è soprattutto attorno alla realtà della comunità nella sua dimensione di koinonia, che il riferimento alla Trinità si fa più urgente e fecondo di risultati. Possiamo quindi partire, in questa nostra riflessione, dal Vaticano II, dove la Chiesa ha espresso con più profonda coscienza il proprio riferimento alla Trinità.

LA TRINITÀ ORIGINE E FONTE DELLA COMUNIONE

L'accresciuta coscienza del mistero della Chiesa e dello Spirito Santo, che per certi aspetti ha caratterizzato la vita cristiana e la teologia di questo nostro secolo, non poteva non portare con sé una più approfondita coscienza del mistero trinitario. Poiché la Chiesa è icona della Trinità, non si poteva contemplare la sua natura e il suo mistero senza risalire alla sorgente del suo essere. Lo stesso possiamo dire della riscoperta dello Spirito: egli lavora per il Padre e il Figlio, per cui instaurare un rapporto nuovo con lo Spirito significa ritrovarsi nella Trinità. Facendoci gridare «Abbà» e portandoci a confessare che «Gesù è Signore», egli ci introduce nel mistero di comunione con i Tre.

La terza grande linea di pensiero cristiano contemporaneo va verso il mistero del Dio Crocifisso e l'approfondimento dell'evento pasquale. Anche questa realtà, al pari di quella ecclesiologica e pneumatologica, si risolve nella contemplazione del mistero trinitario di cui quello pasquale è manifestazione e comunicazione. «Chi pensa la croce dice la Trinità».

L'oggi dell'esperienza e della coscienza ecclesiale è caratterizzato in tal modo dalla riscoperta della Trinità come orizzonte della vita cristiana e dello stesso pensare cristiano. Stiamo vivendo una riscoperta esistenziale del Dio di Gesù Cristo, il Dio Uni-Trinità. Il vissuto cristiano ha corso il rischio dell'appiattimento amorfo su un Dio senza volto. Non pochi anni fa, si poteva ancora dire che «se si sopprimesse la dottrina della Trinità come falsa, la gran parte della letteratura religiosa potrebbe rimanere quasi inalterata». «I cristiani, nonostante ogni loro ortodossa professione di fede nella Trinità, nella pratica della loro vita religiosa sono quasi soltanto "monoteisti"». Sono state purtroppo vere, per tanti cristiani, le parole di Kant sull'inutilità della Trinità: «Dalla dottrina della Trinità, presa alla lettera, non è assolutamente possibile trarre nulla per la pratica, anche se si credesse di comprenderla, tanto meno poi se ci si accorge che essa supera ogni nostro concetto».

Il Concilio Vaticano II ha fatto nuovamente brillare il volto del Dio di Gesù Cristo ed ha avviato una ricca stagione di riflessione dottrinale che sempre più si è fatta attenta al mistero trinitario. L'ecclesiologia della Lumen gentium è già un'ecclesiologia trinitaria. Nel suo primo capitolo, enuncia il tema Ecclesia de Trinitate, richiamando la celebre espressione di Cipriano: «La Chiesa universale si presenta come un popolo adunato nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (LG 4). «Il sottile gioco di parole dell'originale - scrive uno dei massimi commentatori - è quasi intraducibile: de unitate... plebs adunata. La preposizione latina "de" evoca simultaneamente l'idea di imitazione e quella di partecipazione: è "a partire" da questa unità fra Ipostasi divine che si prolunga "l'unificazione" del popolo. Unificandosi, questo partecipa a un'altra Unità; tanto che per san Cipriano l'unità della Chiesa non è più intelligibile senza quella della Trinità» ".

Il Concilio enuncia altre volte il rapporto Chiesa-Trinità come costitutivo dell'essere stesso della Chiesa. Trinitaria ne è l'origine, come leggiamo nella Gaudium et spes: la Chiesa «procedente dall'amore dell'eterno Padre, fondata nel tempo dal Cristo Signore, radunata nello Spirito Santo...» (n. 40). Trinitario ne è il modello e il principio, come afferma l'Unitatis redintegratio in un altro testo incisivo: «Di questo mistero (della Chiesa) il modello supremo e il principio è l'unità nella Trinità delle Persone di un solo Dio Padre e Figlio nello Spirito Santo» (n. 2f). Trinitario è l'esito del suo cammino nella storia: «La Chiesa prega insieme e lavora, affinché l'intera pienezza del cosmo si trasformi in Popolo di Dio, corpo del Signore e Tempio dello Spirito Santo, e in Cristo, Capo di tutte le cose, sia reso ogni onore e gloria al Creatore e Padre dell'universo» (LG 17).

Se Cipriano, nel testo citato dalla Lumen gentium, aveva messo l'accento più sull'unità che sulla pluralità, il Concilio porta avanti il riferimento trinitario guardando piuttosto alla dinamica delle singole Persone. I capitoli 2-4 con cui si aprono sia la Lumen gentium che l'Ad gentes, mostrano infatti la Chiesa come la realizzazione, nella storia, del disegno del Padre, attuato nel Figlio e interiorizzato dallo Spirito. Ognuna delle Persone è colta nella sua singolarità. Nel sottofondo appare il prologo della Lettera agli Efesini, dove l'autore presenta ciascuna delle Persone all'origine dell'economia di salvezza (cf. Ef 1, 3-10) che, donandosi, generano la Chiesa.

Autocomunicandosi in Cristo e nello Spirito, Dio si rivela per quello che egli intimamente è: Amore. Guardando a come, in Cristo, egli si è donato si comprende l'amore: «Da questo abbiamo conosciuto l'amore: Egli ha donato la sua vita per noi» (1 Gv 3, 16). Se si rivela amore donandosi, è perché in se stesso egli è già amore che si dona, dono reciproco, comunione, Trinità (cf. 1 Gv 4, 8.16): la Trinità economica (ossia nel suo operare nella storia) ci dà di cogliere la Trinità immanente (ossia nella sua vita intima). Inversamente, possiamo dire che perché Amore in se stesso, Dio si rivela Amore verso l'uomo.

La Trinità costituisce così una vita di amore radicalmente orientata ad aprirsi, a diffondersi al di fuori di sé - perché il Bene è diffusivo per sua natura, secondo il noto assioma scolastico -, per creare nuovi nuclei di comunione che partecipino a quella stessa realtà di comunione, a quella stessa vita d'amore che riempie l'esistenza trinitaria. Questo è già evidente sul piano della creazione. Il creato, con al vertice l'uomo, rivela in se stesso l'impronta di Dio-Comunione, di Dio Trinità. La rivelazione «ci indica che il fondo stesso dell'esistenza, il fondo della realtà, la forma di tutto, in quanto ne è l'origine, è l'amore, il senso di una comunità interpersonale. Il fondo dell'essere è una comunione di persone. (...) Il fondo dell'essere è la comunione».

Ovunque è impressa l'orma trinitaria.

Ciò appare ancora più vero e percepibile sul piano dell'economia di salvezza. La Chiesa, voluta dal Padre, appare come la creatura del Figlio, sempre nuovamente vivificata dallo Spirito: essa è «l'opera della Santa Trinità. Come l'uomo è stato fatto a immagine di Dio e riflette la divina attività nella sua conoscenza e nel suo amore, così la Chiesa che rappresenta Gesù Cristo deve essere la manifestazione, nel tempo, della vita trinitaria. C'è un'epifania di Dio creatore attraverso l'uomo e c'è un'epifania di Dio uno e trino attraverso il Cristo e la sua Chiesa: "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi" (Gv 20, 21 )».


Una famiglia di fratelli uniti dall'unico Padre

L'iniziativa del piano di salvezza scaturisce dal Padre quale «fonte d'amore». È lui a decretare «di elevare gli uomini alla partecipazione della sua vita divina» (cf. LG 2; AG 2). Poiché la vita divina è vita trinitaria, egli chiama a parteciparvi non individualmente, ma insieme come membri dell'unica sua famiglia. Leggiamo infatti nell'Ad gentes che «piacque a Dio», proprio perché Padre, «chiamare gli uomini alla partecipazione della sua vita non solo ad uno ad uno, senza alcuna connessione, ma riunirli in un popolo, nel quale i suoi figli che erano dispersi si raccogliessero in unità».

Il Padre ha un suo preciso disegno: «l'estensione della stessa vita trinitaria all'umanità intera. Per mezzo del Cristo, il Padre vuole associarci alle relazioni di filiazione e di spirazione della vita trinitaria. Egli vuole ri-generare il proprio Figlio in ogni uomo, insufflargli il suo Spirito e unire tutti gli uomini tra loro nella comunione più intima, perché tutti siano uno, come il Padre e il Figlio sono uno nello stesso Spirito di amore».

Nella generazione del Figlio anche noi siamo resi figli, e lo siamo veramente. Grazie al suo «grande amore» (1 Gv 3, 1), possiamo chiamarlo «Padre» (Lc 11, 2). Il rapporto di figliolanza stabilisce infatti un vincolo più stretto e connaturale di quello che non faccia la filiazione fisica, a tal punto che, come scriveva Nicolas Cabasilas, i cristiani generati dai misteri sono figli di Dio più che dei loro genitori. Francesco d'Assisi ci ha aiutati a prendere coscienza che nel momento in cui chiamiamo Dio Padre e ci riconosciamo figli suoi, ci dichiariamo e ci riconosciamo reciprocamente fratelli. Se siamo figli di uno stesso Padre siamo fratelli tra di noi. Si fonda qui la fraternità universale, di cui ogni singola comunità diventa espressione.

La gioia più grande che possiamo dare a Dio è proprio quella di presentarci a lui come famiglia unita. Non ci si può presentare a lui, al suo altare, se c'è qualcosa contro il fratello (cf. Mt 5, 23-24). La nostra offerta non gli è gradita se non scaturisce dall'unità con i fratelli.

La vita religiosa ha riaffermato sovente la realtà di un solo Padre. Ispirandosi alle parole di Gesù: «Non chiamate nessuno "padre" sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo», ha sottolineato la realtà della fraternità: «voi siete tutti fratelli» (Mt 23, 8-9). Il pensiero va immediatamente a Basilio, Agostino, Francesco... Anche là dove al centro della comunità appare un abate, un abbas, il nome di padre gli viene conferito «nella fede» che egli «occupa il posto di Cristo». L'abate è chiamato padre «non perché egli se ne arroghi il titolo, ma per onore e amore di Cristo». Per il resto, nella comunità tutti devono considerarsi uguali davanti al Padre.

Fatti uno in Cristo Gesù

Se l'iniziativa del piano di salvezza - radunare tutti nell'unità trinitaria costituendo la famiglia dei figli di Dio - parte dal Padre quale «fonte d'amore», essa trova la sua realizzazione nella missione del Figlio, venuto per ricomporre la famiglia dei figli di Dio. Egli, come profetizzato dal sommo sacerdote, «doveva morire (...) per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» (Gv 11, 52). La nostra filiazione divina è possibile nel Figlio. Egli è il mediatore della vita divina. La Trinità comunica la propria vita attraverso di lui.

Il Concilio, riferendosi all'opera di Cristo, ancora una volta legge il piano divino in categorie di unità. «Dio, al fine di stabilire la pace, o la comunicazione con sé e di realizzare tra gli uomini, che sono peccatori, un'unione fraterna, decise di entrare in modo nuovo e definitivo nella storia, inviando il Figlio suo» (AG 3). La mira del Padre è sempre la stessa: fare o rifare gli uomini fratelli, generandoli a figli suoi. La via è quella del Figlio, che si fa fratello degli uomini consentendo loro di diventare figli in lui e come lui, associandoli a sé. «Cristo - leggiamo nella Lumen gentium - ha amato la Sua Sposa e per essa ha dato Se stesso al fine di santificarla, e l'ha associata a Sé con patto indissolubile, ed incessantemente la nutre e ne prende cura, e dopo averla purificata la volle a Sé congiunta nell'amore e nella fedeltà e infine l'ha riempita per sempre di grazie celesti onde poter capire la carità di Dio e di Cristo verso di noi, carità che sorpassa ogni conoscenza» (n. 6).

La vita divina fluisce prima di tutto nel Cristo quale «primogenito di ogni creatura». «In lui infatti abita corporalmente la pienezza della divinità». Attraverso di lui essa ci raggiunge a nostra volta e tutti siamo resi «partecipi di questa pienezza di lui» (Col 2, 9). È così che Cristo può riempire dei suoi doni la Chiesa «affinché essa sia protesa e pervenga a tutta la pienezza di Dio» (LG 7). Attraverso Cristo giunge alla Chiesa la vita divina, la vita trinitaria, ed essa, la Chiesa, entrando in comunione con Cristo, si immerge nell'unità trinitaria. Così è del battesimo che in quanto comunione alla morte e risurrezione di Cristo è immersione nella Trinità (cf. Mt 28, 19) ed è fondamento di una partecipazione nuova alla stessa natura di Dio (cf. 2 Pt 1, 4). Così dell'Eucaristia, comunione al corpo e al sangue di Cristo, che permette di entrare in comunione con la Trinità (cf. UR 15).

Il fulcro della trasmissione di vita, mediata dai sacramenti e dall'assimilazione a Cristo, rimane l'evento pasquale. Qui Gesù rivela il mistero trinitario e lo partecipa; qui consuma il negativo dell'uomo e compie l'opera di salvezza; qui nel suo annientamento consente l'incontro tra il Padre e gli uomini ridiventati figli; qui dona lo Spirito e crea la nuova comunità quale principio di ricapitolazione in Dio dell'universo intero. Nel mistero pasquale Gesù ci genera a questa vita nuova, «divino chicco di grano che marcisce e muore per dare a noi la vita di figli di Dio». Qui l'uomo vecchio è stato crocifisso con Lui e muore con Lui nella sua morte. Qui, dalla sua risurrezione, nasce l'uomo nuovo che per Paolo non è soltanto la singola persona fatta Cristo, ma l'intero popolo fatto Cristo, il Cristo totale. E l'irrompere della vita trinitaria nella storia dell'umanità, evento fondante e portante della Chiesa a cui tale vita è partecipata. Nello stesso tempo, il mistero della morte e risurrezione di Cristo offre la possibilità del ritorno dell'umanità nella Trinità. I cieli sono nuovamente aperti e siamo chiamati a salire e sedere con Cristo alla destra del Padre.

Frutto della redenzione è quindi l'irrompere in noi della vita di Cristo, di Cristo stesso. Lo Spirito ci conforma a Cristo e, innestati in Cristo, siamo introdotti nel rapporto con il Padre così da diventare partecipi della vita divina, della koinonia trinitaria. E questa partecipazione all'agape trinitaria che permette la koinonia ecclesiale.

Se in quanto frutto del rapporto di figliolanza con il Padre la comunità religiosa appariva come una famiglia di fratelli, in quanto frutto del rapporto con il Cristo essa appare come un corpo che trascende le divisioni: «non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna». L'unità tra i componenti la comunità appare talmente forte da farli diventare tutti «uno in Cristo Gesù» (Gal 3, 28). Perché uno in Cristo, la comunità potrà avere «un cuore solo e un'anima sola». Se nella famiglia di Dio nessuno può farsi chiamare padre, nella comunità di Gesù nessuno potrà essere chiamato maestro «perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo» (Mt 23, 10). I membri della comunità di Gesù sono tutti discepoli tenuti uniti dall'unico Maestro. Come non ricordare qui la schola Dominici servitii di Benedetto?

Nella koinonia dello Spirito Santo

L'iniziativa del Padre e l'opera del Figlio trovano il loro compimento nell'invio dello Spirito, che lavora dal di dentro, e interiorizzandola, attualizza l'opera di salvezza (cf. AG 4; LG 4). Nell'evento pasquale Cristo, portatore dello Spirito, si fa datore del suo Spirito. Apre la via allo Spirito riversandolo sull'umanità. La gloria che egli ha ricevuto dal Padre, che lo costituisce Figlio e che lo lega al Padre, la comunica ai suoi perché possano entrare nella comunione trinitaria: «E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola» (Gv 17, 22).

Sappiamo che nella tradizione latina lo Spirito è visto come nexus amoris (Bonaventura), il legame d'amore fra il Padre e il Figlio, e, nel Figlio, fra le creature e il Padre. Egli, nexus amoris, quando viene crea lo stesso legame d'amore tra i fedeli ponendosi all'origine della comunione ecclesiale, che continuamente sostiene e vivifica. Opera dello Spirito, in effetti, è la koinonia, come è apparso a Gerusalemme il giorno di Pentecoste. Egli, come vita intima di Dio, è il dono e l'amore fatto Persona. È stato Agostino ad approfondire questa dottrina che rimarrà classica in Occidente: «Lo Spirito Santo è comunione, amicizia, carità, unità, dono»,

Lo Spirito, venendo, porta in dono l'amore, consentendo così la comunione. Anzi, lui stesso è l'Amore di Dio donato e riversato nel cuore dell'uomo (cf. Rm 5, 5). L'amore è dello Spirito (cf. Rm 15, 30; Col 1, 8). L'amore che lo Spirito riversa nel cuore dell'uomo si risolve in dono di sé ai fratelli, fino a coinvolgerli nella reciprocità dell'amore, secondo il comando del Signore; fino all'unità, secondo il supremo anelito del Signore.

Come infatti ha acutamente spiegato Tommaso d'Aquino, ritrovandosi in questo unito alla tradizione dell'Oriente, lo Spirito Santo stesso, in quanto Persona donata, è vincolo d'amore. «In Dio - egli spiega - l'unità è duplice: quella della natura divina e quella dell'Amore che è lo Spirito Santo. Noi dobbiamo riprodurre quell'unità che esiste in Dio. Quindi, non basta che abbiamo tutti, mediante la grazia, la medesima vita divina, la quale ci rende partecipi della natura di Dio, ma occorre essere uniti con Dio e fra noi mediante l'amore nell'Amore personale che è lo Spirito Santo».

Ecco allora lo Spirito all'opera nella Chiesa: la edifica (cf. 1 Cor 3,16; Ef 2, 22), la vivifica con i suoi doni (cf. 1 Cor 12, 7-11), la unifica in modo che tutti i credenti siano uno in Cristo (cf. Gal 3, 28). L'unico Spirito, assimilando ogni cristiano a Cristo, forma l'unico corpo (cf. Ef 4, 4;1 Cor 12, 8-9; Rm 12, 6-7).

In tal modo la comunità dei credenti entra nel circuito della stessa relazione di agape che lega il Padre e il Figlio (cf. Gv 14, 22ss.31; 15, 9-10; 17, 26). Lo Spirito, principio di comunione del Padre e del Figlio, si fa principio di comunione all'interno stesso della Chiesa, come ricorda ancora Agostino: Il Padre e il Figlio «hanno voluto che noi fossimo uniti tra noi e con loro per mezzo di colui che è la loro comunione e ci hanno raccolto nell'unità per mezzo di quel dono che è comune a entrambi, cioè per mezzo dello Spirito Santo Dio e dono di Dio». «Diventare cristiano significa allora - come scrive Ratzinger a commento del pensiero di Agostino - diventare "communio", è quindi penetrare nel modo di essere essenziale dello Spirito (...). La proprietà paradossale (dello Spirito) - secondo sant'Agostino - è quella di essere "communio", di avere la suprema identità di persona proprio nell'essere tutto nel movimento dell'unità. Ne consegue che "spirituale" dovrebbe comportare sempre ed essenzialmente "unificante" e "comunicante"».

Animata dallo Spirito, la comunità è unificata in tempio vivo spirituale. Dei primi cristiani, quali prototipi della propria comunità monastica, Agostino diceva che «erano certamente diventati templi di Dio, e non lo erano diventati solo come singoli ma tutt'insieme erano diventati tempio di Dio. Erano diventati, in altre parole, luogo sacro al Signore; (. . . ) un unico luogo per il Signore». Alla comunità religiosa lo Spirito trasmette il suo tipico timbro di libertà che, mentre unisce le persone, le distingue nella varietà dei doni che ciascuno riceve e partecipa. Il dinamismo dello Spirito impedisce così all'unità di diventare anonima massificazione e appiattimento amorfo. I singoli membri godono della libertà dello Spirito, maturando ciascuno secondo il disegno che Dio ha preparato per lui e tessendo, nello stesso tempo, rapporti di reciproca comunione nell'armonia. Lo Spirito, che è sempre nuovo, porta in dono alla comunità la propria creatività, impedendole di diventare ripetitiva o di fermarsi nella letale staticità. Infine, Lui che è l'estasi della Trinità, ossia la sua apertura, continua a operare, anche nella comunità, la dilatazione della comunione. Grazie allo Spirito la comunità non si chiude su se stessa, ma comunica la propria vita nell'apertura missionaria, coinvolgendo le realtà con cui viene in contatto nel processo di unificazione in cui essa stessa è stata coinvolta dallo Spirito.

Le tre divine Persone ci introducono nella loro vita. L'unità della Trinità fonda l'unità ecclesiale. Attraverso l'iniziativa del Padre e l'opera del Figlio, prolungata dallo Spirito e attuata nella predicazione degli apostoli e nella mediazione dei sacramenti, siamo innestati in quell'unità, viviamo in e di quell'unità. È Dio Trinità che si partecipa a noi e ci coinvolge nella sua stessa vita.

COINVOLTI NELLA DINAMICA TRINITARIA

Partecipare alla vita trinitaria vuol dire partecipare alla sua stessa dinamica d'amore. La missione del Figlio prolunga nella storia la generazione eterna, così come la missione dello Spirito prolunga e manifesta la sua eterna spirazione. Il Vaticano II ha voluto mostrare nella Chiesa il prolungamento delle processioni divine del Verbo e dello Spirito, quasi lo sviluppo storico del mistero trinitario. Le processioni divine ed eterne del Figlio e dello Spirito appaiono come le condizioni di possibilità, i modelli e le cause eterne della Chiesa, quale compimento dell'intera creazione, chiamata ad esservi eternamente integrata.

Ricevendo la propria unità dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito, la Chiesa è, per così dire, eternamente generata con il Figlio e spirata con lo Spirito che le sono inviati e che, in essa, procedono dal Padre. La Chiesa può diventare il sacramento di salvezza in quanto mistero che porta il mistero fondamentale, il mistero della Trinità redentrice. La partecipazione alla koinonia trinitaria a cui ogni credente è chiamato, si risolve in tal modo, come afferma il Concilio, in una più profonda comunione ecclesiale: «Con quanta più stretta comunione saranno uniti col Padre, col Verbo e con lo Spirito Santo, con tanta più intima e felice azione [tutti i fedeli] potranno accrescere le mutue relazioni fraterne» (UR 7).

Proprio perché rende possibile la koinonia ecclesiale, la koinonia trinitaria ne è anche il modello per la sua attuazione. «Il Signore Gesù - leggiamo ancora nei testi conciliari - quando prega il Padre, perché "tutti siano uno, come anche noi siamo uno" (Gv 17, 21-22) mettendoci davanti orizzonti impervi alla ragione umana, ci ha suggerito una certa similitudine tra l'unione delle Persone divine e l'unione dei figli di Dio nella verità e nella carità». La Chiesa trova nella pericoresi trinitaria, ossia nella dinamica stessa dell'amore trinitario, la più alta analogia della propria vita di comunione e il modello dei rapporti tra i fedeli. Origine e fondamento della comunità, l'unità della Trinità ci appare, allo stesso tempo, come suo divino modello.

Occorrerà quindi guardare alla pericoresi delle divine Persone per capire quale deve essere la mutua conoscenza tra di noi, la reciprocità dell'accoglienza, dell'appartenenza, dell'amore. «Cristo - scrive de Margerie - ci invita a credere alle relazioni di reciproca in-esistenza (o inabitazione) tra il Padre e lui, perché possiamo giungere, più tardi, a conoscerle nella visione, o, almeno, nella loro anticipazione mistica (cf. Gv 14, 11.20), cioè attraverso l'esercizio della mutua in-esistenza (inabitazione) della carità unitiva fra cristiani, come pure fra questi, da una parte, e il Padre e il Figlio, dall'altra (cf. Gv 17, 21). L'esercizio della imperfetta mutua in-esistenza (inabitazione) creata e della intersoggettività dell'amore costituisce dunque, per il Nuovo Testamento, la condizione del pieno svelamento, nella visione, della perfetta mutua in-esistenza (inabitazione) e intersoggettività increata del Padre e del Figlio nello Spirito»,

La pericoresi delle Persone come si vive nella Trinità - reciproca donazione e accoglienza l'una all'altra e l'una dell'altra - rimane l'archetipo della nostra unità. Tuttavia noi, come persone umane, non possiamo penetrare l'uno nell'altro come le Persone divine. La partecipazione della vita divina fa però sì che Dio possa penetrarci e farci uno. La partecipazione del suo amore rende possibile la reciprocità dell'amore scambievole che ci fa essere misteriosamente l'uno nell'altro, Ed è proprio l'amore scambievole la più perfetta attuazione della vita trinitaria e della vita ecclesiale, della novità della vita pasquale a cui il Cristo ci chiama: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13, 34; 15,12). Amarsi l'un l'altro in Cristo, con la sua stessa misura, è vivere l'amore trinitario sulla terra, innestati, ciascuno e insieme, nella vita d'amore di Dio stesso: l'amore reciproco è dunque la vita di pericoresi trinitaria partecipata agli uomini, la legge che regola gli stessi rapporti tra le Persone della Trinità. Il comandamento nuovo può infatti essere considerato la traduzione, in parole umane, della pericoresi e della koinonia intratrinitaria. Questa risulta così la legge di vita del popolo messianico della Chiesa, icona della Trinità (cf. LG 9b).

«Gli uomini - ha scritto in proposito Piero Coda - sono abilitati, nella grazia, a vivere nei loro mutui rapporti un'esistenza che traduce nella storia la vita stessa della pericoresi trinitaria. "Come in cielo, così in terra". L'uomo, redento e divinizzato, può ormai amare l'altro uomo come Cristo lo ha amato: perché in lui che ama vive Cristo, e perché nell'altro uomo che è da lui amato vive il medesimo Cristo. Il loro reciproco amore è divinizzato, è trinitario. E Cristo in me che ama Cristo in te, e questo reciproco amore è Amore del Cristo, è Spirito Santo. Tra i due che si amano così, con l'amore di Cristo, si stabilisce la presenza di un Terzo - analogamente a quanto avviene nella Santissima Trinità, dove il Padre e il Figlio si amano nello Spirito Santo -, un Terzo che è il Cristo Risorto stesso, presente nella forza e nella luce del suo Spirito».

È quanto appare nella preghiera rivolta da Cristo al Padre: «Io in loro e tu in me». Egli, nell'evento pasquale - a cui siamo resi partecipi tramite la Parola e i Sacramenti - ci introduce nel suo stesso rapporto d'amore di Figlio con il Padre. Questo rapporto con la Trinità ne permette un secondo, quello tra gli stessi cristiani: «siano anch'essi in noi una cosa sola». «Come nel rapporto fra il Padre e il singolo cristiano è il Cristo a fare da centro e da mediazione, realizzando una sempre più piena comunione dell'uomo con Dio, così è ancora il Cristo a fare da centro e mediatore nei rapporti d'amore fra due o più credenti che si amano nel suo stesso amore, perché, allora, è il medesimo Cristo, presente nell'uno e nell'altro cristiano per la grazia, il principio del loro amore. "Sarà un solo Cristo - commenta sant'Agostino - che ama Se stesso"».

La comunione trinitaria fonda, in modo radicale e costruttivo, la comunione tra i credenti e dà vita a ogni comunità cristiana. La vocazione cristiana diventa vocazione all'unità: «Un solo corpo, un solo Spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione: un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4, 4-6). «Siete stati chiamati in un solo corpo» (Col 3, 15). La circolazione di grazia tra il Padre, il Cristo Risorto e lo Spirito di Pentecoste, che fa vivere la Chiesa come realtà divina e comunica a ogni singolo la vita teologale, consente e provoca la comunione tra tutti i credenti, come fratelli di una medesima famiglia, testimoni della comunione escatologica, quando la comunità ecclesiale si realizzerà nella comunione perfetta con la comunione trinitaria. La Chiesa appare così come «un sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano» (LG 1).

Nata dalla Trinità e partecipante alla sua vita agapica, la Chiesa è in cammino verso di essa. Contemplare «chiaramente Dio uno e trino qual è» rappresenta il fine a cui tende la Chiesa, peregrina verso la Trinità (cf. LG 49). La comunità religiosa vuol porsi all'avanguardia di questo cammino. Indirizzandosi proprio ai religiosi, la Lumen gentium invita ogni persona consacrata a porre «ogni cura nel perseverare e maggiormente eccellere nella vocazione a cui Dio l'ha chiamato, per una più grande santità della Chiesa e per la maggior gloria della Trinità una e indivisa la quale in Cristo e per mezzo di Cristo è la fonte e l'origine di ogni santità» (LG 47).

«Dio - ha scritto de Lubac in una delle sue pagine più note - non ci ha creati perché dimorassimo nei confini della natura, né perché vivessimo una vicenda solitaria; ci ha creati per essere introdotti insieme nel seno della sua vita trinitaria. Gesù Cristo si è offerto in sacrificio perché noi fossimo una cosa sola in questa unità delle Persone divine. (. . . ) C'è un Luogo in cui, fin da questa terra, incomincia questa riunione di tutti nella Trinità. C'è una famiglia di Dio, misteriosa estensione della Trinità nel tempo, che non soltanto ci prepara a questa vita unitaria e ce ne dà la sicura garanzia, ma ce ne fa già partecipi. Unica società pienamente "aperta", essa è la sola che sia all'altezza della nostra intima aspirazione e nella quale noi possiamo attingere finalmente tutte le nostre dimensioni. "Un popolo radunato dall'unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo": tale è la Chiesa. "Essa è piena della Trinità"».

La Chiesa, e in essa la comunità religiosa, trova così la propria origine nella Trinità: è strutturata a sua immagine e va verso il compimento trinitario della storia. La Trinità ne informa la vita, ne articola le strutture, l'attende alla meta.