VITA COME "PROGETTO",
CIOÈ LA PAOLINA "LIBERTÀ DALLA LEGGE"

 

1 - L’etica del "progetto"

Prima di passare a considerazioni più specifiche sull'etica sessuale, mi permetto ancora di affrontare un discorso più a monte, sulla cosiddetta "morale generale", cioè sulle regole più universali da cui discendono le relative applicazioni ai vari campi.

Sta sempre più prendendo piede fra i moralisti l'idea di un'etica non solo statica, assoluta nel senso "metafisico", ma piuttosto da considerare in un'ottica di cammino: è l'etica del progetto. Essa naturalmente conferma la convinzione che, per l'attribuzione soggettiva della colpa, debba prevalere il giudizio formulato "in coscienza" da chi compie l'azione, ma d'altra parte (e anche qui ancora in perfetta linea con la morale classica), conferma ugualmente che non ci si può accontentare di questo, cioè della "buona fede": l'uomo, per realizzarsi autenticamente, deve tendere ad un ideale oggettivo, riscopribile nella sua natura più profonda, al quale deve adeguare i suoi comportamenti, educando la sua coscienza soggettiva perché diventi sempre più "retta".

Bisogna però innanzitutto superare una visione morale troppo astratta e aprioristica, ricordando che il riferimento all'oggettività deve avvenire (per essere più comprensibile e reale) non tanto verso una visione teorica di "natura" (peraltro sempre discutibile in quanto difficilmente identificabile, vista la grande varietà di visioni etiche e di comportamenti concreti che, particolarmente proprio riguardo alla sessualità, si rileva nelle diverse culture, nei vari luoghi e attraverso i secoli); ma piuttosto nella convinzione che un comportamento è giusto nella misura in cui è veramente "realizzante":

"Ciò che tradizionalmente viene considerato bene e male, la classificazione morale dei comportamenti, non è tale in virtù di un volere di un giudice esterno che proibisce il male (che in generale sarebbe anche piacevole) e indica il bene (che invece è faticoso e sgradevole). Al contrario ciò che è bene è tale perché alla lunga più utile e ciò che è male è così perché nel tempo si dimostra dannoso per sé e per gli altri. Cooperare si è dimostrato il modo migliore per fare i propri interessi, mentre competere risulta una strategia perdente anche quando si vince la singola competizione. L'immagine del cattivo non va dunque associata al furbo e all'egoista che si fa i propri interessi, né quella del buono allo stupidone incapace di farsi valere. Le cose stanno certamente all'opposto. Chi è furbo e sa fare i propri interessi è attento a creare con tutti rapporti di cooperazione, si comporta da buono. La prepotenza va bandita come segno della stupidità piuttosto che della cattiveria".

Vedremo più avanti come, in quest'ottica, pur confermando il necessario riferimento al concetto di "natura" per stabilire le regole etiche, riusciremo a dare una definizione di essa, rispetto all'uomo, diversa e molto più "dinamica".

Tutto ciò non vuol dire lasciare licenziosamente a ciascuno il permesso di agire come crede e senza freni. Ma è opportuno - come ribadiremo tra poco - che le regole non siano semplicemente imposte da un'autorità "esterna", ma piuttosto che ogni uomo arrivi a diventare veramente "auto-nomo", cioè legge a se stesso, avendosi egli costruito interiormente un sistema di valori a cui si attiene per intima convinzione.

Riportiamo un lungo brano di Fourez, che esprime bene tale cambiamento di ottica:

"La mentalità contemporanea ha una sua originalità rispetto allo spirito di un tempo. La differenza è notevole; denota il contrasto fra uno spirito in quiete che si adegua alle verità ricevute e uno spirito in movimento che rimette tutto in discussione... Non si tratta dunque più di enunciare delle norme ammesse da tutti; si tratta piuttosto di chiarire la situazione in cui ogni individuo dovrà decidere quello che farà della sua vita... Questo implicarsi dell'individuo nella ricerca morale annuncia il carattere prammatico delle risposte alle diverse questioni. Queste si collocano necessariamente nel contesto dell'impegno e in rapporto al senso stesso dell'azione. La pretesa della filosofia di studiare il senso dell'azione umana sarebbe dunque sterile se non collocasse l'individuo nel suo contesto particolare... Lo studio della morale si rivela quindi faticoso, difficile, a volte persino carico di tensione, perché vi è implicato tutto l'essere sul piano emozionale, sociale, psicologico e personale... Ci proponiamo anzitutto di collocare tali questioni nel contesto attuale perché risulti evidente che rivestono accenti nuovi e consacrano la fine della morale del proibito... Il nostro sistema etico tradizionale può apparire come una protezione della civiltà, dei valori come il lavoro, l'istruzione, l'efficienza. E' questo l'aspetto repressivo della morale: basandosi sulla tendenza dell'uomo a cercare la sicurezza di un ordine sociale, la nostra tradizione ci ha tramandato una morale di comandamenti. In questa prospettiva tanto il bene quanto il male sono perfettamente definiti dalla legge morale. Il comandamento dispensa dal riflettere troppo. Protegge l'ordine stabilito costringendo l'uomo a reprimere una eccessiva spontaneità... I comportamenti non sono allora importanti di per sé, ma per la sanzione di un'autorità più o meno soprannaturale. Al limite, il contenuto del comportamento non è importante; vale unicamente per la volontà di Dio che l'ha imposto... Tutto questo ci mostra che si tratta di una 'morale dell'efficienza' in una società che ha come scopo principale l'autoconservazione... Noi stiamo assistendo a una specie di ribellione dell'essere spontaneo nei confronti di una società di rendimento... Lo slogan make love not war sembra riassumere un po' tutto... In questa prospettiva la morale non sarebbe più percepita come un comandamento astratto (imperativo categorico o ordine divino che sia) ma come esigenza dell'incontro (dell'altro o dell'Altro)... Sostituire l'amore al comandamento implica il compito di esprimere nel linguaggio di una cultura particolare le esigenze della giustizia e dell'amore. Questo vuol dire elaborare un sistema morale. I precetti che potranno essere così elaborati saranno relativi alla cultura che li forgia; ed esprimeranno pertanto anche quello che è per l'uomo il riconoscimento della presenza dell'altro o dell'Altro nella sua differenza.... Nell'incontro l'essenziale non è tanto 'io che incontro l'altro' ma piuttosto 'l'altro che mi interpella'. Incontrare non implica semplicemente un'azione, è anche 'lasciarsi incontrare'. L'altro si rivela allora come diverso da me, come qualcuno che non posso ridurre all'idea o al desiderio che ho... E' questa diversità che mi permette di scoprire che anch'io sono me stesso nel mio essere e nella mia spontaneità personale... A meno che non ci si voglia rifugiare dietro ad una 'legge divina' che d'altronde farebbe di Dio un arbitro che rifiuta di portare giustificazioni razionali... Si passa da una morale della proibizione esterna a una morale, più liberante, dei significati. Questo non vuol dire che la morale dei significati sarà più lassista della morale della proibizione; ha un diverso modo di vedere le cose, ha la pretesa di essere addirittura più autentica. L'importante è sapere quale comportamento si rivelerà più adatto a far crescere l'individuo nell'amore. Questo non toglie niente al carattere di assolutezza della morale; perché tale carattere non si colloca in quel comportamento o in quella espressione sociale; si rivela nel mistero dell'incontro con l'altro (o con l'altro)... In questa prospettiva la 'legge morale' come la si definisce nei manuali, non scompare. E' essa che elabora nella teoria il significato delle azioni. Pertanto si riassume nell'unico comandamento che è quello del rispetto e dell'amore dell'altro. E non può giudicare il valore delle azioni particolari se non in virtù della loro capacità di esprimere o no questa legge d'amore. Quando un'azione esprime in genere un rifiuto ad amare la si dirà contraria alla morale. E' così che, siccome uccidere in genere non è espressione d'amore, la morale dice 'non uccidere'... Esiste quindi un tipo di morale che in un certo senso è senza obblighi, ma che propone però ad ognuno delle possibilità di azione. Questa morale conserva un senso valido, non dicendo che 'bisogna' agire in un determinato modo, ma mostrando che questa 'possibilità' potrà aprire a un modo di essere che vale la pena di scegliere. Non c'è in questa prospettiva nessuna sanzione se non che scegliendola l'uomo forgia il suo avvenire. Ci si può d'altronde domandare se non era questa la dimensione etica di colui che ha detto: 'Tutto mi è permesso, sì ma non tutto è conveniente' (S. Paolo, 1^ Cor. 7, 12)".

Le legge morale quindi non deve tanto rispondere - come acutamente osserva Lacroix - alla domanda "E' legittimo?", quanto a quella, ben più profonda, "Questa azione è 'luogo di verità'?, cioè permette alla relazione di esistere e al desiderio di strutturarsi costruttivamente?".

 

2 - Funzione delle "norme"

In questo contesto le norme concrete della morale non cessano certo di essere utili, ma assumono il carattere di semplici "cartelli indicatori", che acquistano significato e funzione solo in rapporto al cammino. Solamente così si può evitare la reazione classica, soprattutto dei giovani, che può riassumersi in frasi come: "Purtroppo c'è anche la morale. Vivremmo tanto meglio senza, liberi spontanei, giocondi...!". Ed è vero che, come ricorda ancora Lacroix, "la preoccupazione per la regola è sovente sottolineata maggiormente proprio dalla trasgressione!".

Le norme dunque hanno prima di tutto una funzione "pedagogica":

"Sì, la morale è 'in un certo senso' un codice, un'espressione elaborata della prima e unica legge morale, quella di accettare di essere amati e di corrispondere all'amore. Questo codice comporta dei 'precetti' che esprimono, attraverso i dati culturali di un determinato tempo, che cosa è realmente 'amare'. Ma questo 'codice' ha un senso solo nella misura in cui è collegato alla legge d'amore... Il ruolo dei precetti è educativo: indicano all'uomo come esprimere il suo amore. La morale come apprendistato dell'amore comporta tutta un'educazione... L'interesse dei precetti morali, è che mettono in discussione e fanno scoprire delle esigenze nuove dell'amore. Se le norme non esistessero, se la società non elaborasse una legge morale, sarebbe molto più difficile imparare ad amare". "E' chiaro che la persona, nel recepire i valori, non è isolata e non guarda solo dentro se stessa: la sua esperienza, il suo confronto con gli altri, lo stesso incontrarsi con la legge sono altrettante occasioni e proposte che dal di fuori si impongono all'individuo, il quale, tra l'altro, sviluppa la propria coscienza unicamente in rapporto agli altri... Tuttavia rimane vero che il luogo di elaborazione del giudizio di coscienza rimane sempre l’‘io'... In questo caso la legge agisce come un campanello di allarme. L'uomo coscienzioso ne prende occasione per rivedere la propria condotta ed eventualmente riparare i danni che ha arrecato. Non già che la legge operi la conversione del peccatore: semplicemente gli offre il servizio umile, e pur tanto spesso necessario, di sollecitarlo a convertirsi perché lo rimprovera di aver sbagliato".

La legge scritta inoltre ha la funzione di "elemento coordinatore della convivenza umana". Infatti:

"Gli uomini infatti non vivono isolati, ma in società. La società nasce come necessità dell'uomo che non è mai completamente autosufficiente e comunque trae dal vivere insieme in maniera organizzata molteplici vantaggi. Di qui la propensione naturale alla convivenza e di qui anche la necessità di strutturare tale convivenza precisando per i singoli e per i gruppi i rispettivi diritti e doveri. E' necessario infatti che la convivenza assicuri ai singoli la propria realizzazione personale - la migliore che sia possibile - ed è necessario che i singoli contribuiscano alla vita della società con le proprie prestazioni personali. Al fine di coordinare rettamente questo reciproco rapporto di diritti e di doveri, si rivela indispensabile una esplicitazione degli intendimenti e delle esigenze comuni, oltre che una funzione che serva ad attuare costantemente e a promuovere efficacemente questo retto coordinamento (l'autorità)".

Dunque, nel formulare le norme, bisogna ricordare "il rispetto della struttura dialettica del giudizio etico, che deve essere contemporaneamente oggettivo/soggettivo, particolare/generale. Non si può cadere né in riduzionismi 'soggettivi e carismatici', né in riduzionismi 'oggettivisti e universalizzanti'. Alla base di questa dialettica sta il binomio 'normale/deviante' che condiziona ogni visione antropologica e ogni valutazione etica".

E' quindi assolutamente importante non assolutizzare le norme, ma anzi aver sempre presente la loro intrinseca relatività. Esse sono, di natura loro, relative alla cultura e al momento storico specifico; e, d'altra canto, devono essere viste relativamente, cioè in relazione, alla situazione concreta di ogni persona.

Esse sono innanzitutto relative alla cultura che esprimono:

"La condotta umana non è qualcosa di indipendente e di slegato, ma ha le sue radici nella cultura ed è costruita con gli ingredienti che essa trasmette all'individuo e con quelli che egli stesso, in base alle sue tendenze personali, assumerà, in una misura o nell'altra, per costruire la sua personalità... La cultura determina i valori e come ci si debba comportare in ogni situazione, ciò che è bene, ciò che è male, i miti, le leggende... La potenziale capacità umana di creare delle risposte per i bisogni sorti dal vivere insieme, in società, è molto grande. La necessità di mangiare, di riprodursi, di organizzare il lavoro, di istituzionalizzare il matrimonio e la famiglia, di organizzare un'etica e un sistema di credenze può venir soddisfatta in forme molto diverse. Ogni cultura ha scelto alcune delle molte possibilità. Altre possibilità sono rimaste inedite e non sono mai state adottate nella storia dell'umanità... Proprio la regolamentazione della sessualità è uno dei fattori nei quali la creatività umana si è prodigata di più e le differenze sono quindi maggiori. Ciò che in un gruppo è incesto, in un altro è matrimonio tra cugini primi... Questo porta a pensare che, dal punto di vista antropologico, un fatto in sé non è né buono né cattivo, ma che il suo significato etico gli viene attribuito in base alla cultura nella quale si trova inserito... Questo non vuol dire che tutto sia bene, che ogni comportamento proveniente da un'altra cultura sia inutile, che l'etica e la moralità non esistano. Vuol dire soltanto che la cultura funziona come un insieme e che ogni cultura si ispira alla propria etica che stabilisce la valutazione morale dei diversi comportamenti".

E poiché si spera che l'umanità cresca e si evolva in direzione positiva, sia pure con alti e bassi, anche nella sua "cultura"; è chiaro allora che non solo si può dire, ma si deve auspicare che la morale, non certo nei suoi valori "eterni" ma appunto nelle sue norme concrete, CAMBI e cioè a sua volta si evolva.

Questo è poi soprattutto vero per la legge positiva, civile, che certamente non si identifica con la legge morale, ma che dovrebbe sempre da essa trarre ispirazione e fondamento, e che quindi deve essere, ancor di più, vista come relativa e suscettibile di cambiamento:

"Ogni legge positiva deve mirare alla possibile realizzazione umana di ogni singola persona, naturalmente nell'ambito dell'insieme sociale e in rispettosa sintonia con la libertà e i diritti degli altri membri della comunità politica legiferante. Per questo al legislatore non compete di punire tutto il male e premiare tutto il bene, ma fare ciò solo e unicamente nella misura esigita dalla salvaguardia del bene comune in quel concreto momento storico; bene comune che è quindi dinamico e relativo".

La legge civile perciò, non dovendo e non potendo essere direttamente norma morale, deve, particolarmente in materia affettivo-sessuale, difendere unicamente l'autentica libertà di tutti, e quindi proteggere i più deboli a qualsiasi titolo. Questo vuol dire certamente anche, ad esempio, stabilire quello che va contro "il comune senso del pudore", in quanto ha certamente la possibilità di turbare coloro che, in quel dato ambiente culturale, non hanno i mezzi psicologici e/o culturali per affrontare certe situazioni. Ma in questa dimensione è necessario sempre molto equilibrio e senso "storico", per non fissarsi su dei tabù aprioristici e per sapersi quindi adattare alla reale mentalità del tempo e del luogo (che naturalmente subisce continui mutamenti ed evoluzioni), senza mai cadere in tentazioni di seguire delle mode, sia di esagerato permissivismo (in nome dell'arte o di che so altro), ma neanche di "caccia alle streghe", che può talvolta essere scatenata in certi momenti di rigurgiti di proibizionismo o di reazione irrazionale dell'opinione pubblica.

Il compito della legge civile è invece sempre e soprattutto quello di difendere da qualsiasi possibile forma di violenza (fisica o no), mentre non deve, d'altra parte, intervenire in situazioni "private" dove sia accertata la libertà e la consapevolezza di tutti i protagonisti.

Le norme morali devono poi essere interpretate in relazione alla situazione concreta di ogni singola persona:

"Un'affermazione di questo genere: la legge è personale, suona strana e appare di primo acchito inaccettabile, soprattutto per noi che siamo abituati a considerare la legge come l'indicazione di un obbligo universale. Parlare di legge personale evoca l'idea di una legge variabile e diversa per le singole persone... Di fronte a queste difficoltà nell'accettare che la legge sia personale, è fin troppo chiaro che si pensa alle leggi come complesso di norme scritte per regolare la convivenza umana, dimenticando che qui stiamo parlando della legge morale, la quale... rappresenta una dimensione implicita ad ogni legge scritta, e più precisamente quella dimensione che rimanda l'uomo, di fronte all'ordinamento giuridico, alla coscienza. E certo non vi è nulla di più personale - che è diverso da individuale - della coscienza; e non vi è nulla di più personale - che è diverso da arbitrario - della responsabilità morale. Dire 'legge personale' significa che l'insieme delle esigenze morali è in rapporto alla persona, com'è in rapporto alla persona la misura con cui si avverte in coscienza l'imperatività del valore... In altre parole, l'uomo che realizza il suo impegno morale come risposta ad una chiamata personale, non s'incontra con una serie di doveri aprioristicamente e oggettivamente determinati, che poi cerca di completare addizionando quel di più che, secondo le circostanze, gli è personalmente consentito o richiesto; ma si incontra con un insieme di doveri che è 'proporzionato' a lui nella situazione concreta. tutto ciò che gli è possibile compiere per la realizzazione di un valore, tutto quello DEVE compiere... La legge morale dunque comprende tutte le esigenze di cui il singolo è esistenzialmente capace... Una visione di questo genere a volte è considerata con qualche sospetto sia perché abbandona la legge come categoria basilare della morale, per adottare al suo posto la categoria della vocazione, sia perché sembra ingenerare il pericolo del soggettivismo in quanto, abbandonata la legge universale, le indicazioni morali rischiano di diventare soggettive ed arbitrarie. Alla chiamata infatti ciascuno risponde come può e come vuole, anche perché non è univoco il modo di intendere la chiamata. Ma questi sospetti mi sembrano infondati. Intanto non si elimina la categoria della legge, ma la si interpreta in maniera diversa. La legge, anziché ridursi ad esprimere alcune esigenze universali, si estende ad esprimere tutte le esigenze dell'individuo. Queste ultime sono comprensive delle esigenze universali, che non vengono né ignorate né smentite, ma vengono completate nell'adesione alle reali possibilità della persona posta in situazione concreta. In tal modo viene a cadere il sospetto di soggettività e arbitrarietà perché la legge personale non trascura il riferimento ai valori oggettivi e ai principi universali. Soltanto li integra".

Alla luce delle cose finora dette, ci pare molto saggio quanto affermato da Spinsanti al riguardo di un necessario nuovo modo di presentare l'obbligo morale di "autocontrollarsi":

"La diffidenza verso l'ascesi corporea si è insinuata anche presso quegli aggregati religiosi che l'avevano tradizionalmente privilegiata. All'interno del cattolicesimo è penetrata la riserva protestante nei confronti delle opere di penitenza, indiziate di corrompere il senso autentico della salvezza per grazia. Contemporaneamente anche il modello secolarizzato dell'ascesi si è sgretolato. Intendiamo riferirci all'ideale dell'autocontrollo, che costituiva un pilastro dell'educazione impartita fino a un recente passato. Non cedere agli istinti, moderare i desideri, saper dilazionare le gratificazioni, non far trapelare le proprie emozioni, tenere il corpo sotto controllo: tutto ciò era considerato una méta aspirativa da trasmettere nel processo educativo. Mentre in ambito religioso l'autocontrollo riceveva facilmente una colorazione ascetico-spirituale, nella prospettiva secolare era apprezzato in sé e per sé, come strumento di formazione della personalità virile. Oggi... è diventato molto arduo convincere qualcuno, in particolare i giovani, a rinunciare a qualcosa che si presenta come piacevole. Siamo tutti, in qualche modo, figli della civiltà dei consumi... L'educazione all'autocontrollo è incompatibile con l'atteggiamento del 'tutto e subito'... Ci è nato il sospetto che il controllo proposto non sia veramente 'auto'-controllo: piuttosto un 'etero'-controllo, cioè esercitato da altri, sotto l'apparenza di un 'auto'-controllo. Tutti coloro che cercano di socializzarci, di trasmetterci le proprie scale di valori, di assimilarci alla loro visione del mondo, diventano inevitabilmente dei controllori. La loro opera è tanto più perfetta, quanto meno è visibile; raggiunge il massimo dell'efficacia quando induce a esercitare spontaneamente su se stessi il controllo che neutralizza le emozioni originarie, i desideri autentici, il grido di protesta. Crediamo allora di esercitare l'autocontrollo, mentre in realtà siamo controllati da controllori estranei che abbiamo accolto ed accettato dentro di noi. Invece di vedere, sentire, odorare, gustare, toccare il mondo com'è, lo percepiamo così come ci è stato insegnato a fare... Non facciamo che perpetuare una visione distorta della realtà, perdendo così gli aspetti più belli del mondo creato da Dio. Il puritanesimo non è l'equivalente, ma piuttosto la caricatura dell''occhio puro' delle Beatitudini... La disciplina (ascesi) è necessaria: non per castigare il desiderio innato di esperienza, bensì per preservarlo dai tanti inquinamenti che lo minacciano. Dominare o essere dominati dal corpo? L'alternativa è falsa, e si fonda su una dicotomia implicita, che ci induce ad identificarci o con l'intelletto/volontà, o con il corpo, disintegrando così l'organismo totale. C'è disciplina e disciplina. Ce n'è una finalizzata a mantenere il predominio di una parte sull'altra, infrangendo l'unità originaria; e c'è una disciplina volta a ottenere uno stato di sana spontaneità. Per salvare la genuinità dell'essere umano è richiesta la massima disciplina: è quella necessaria per rimanere fedeli alla totalità, rifiutando la dialettica del predominio della parzialità".

 

3 - "Perfetti come il Padre": l’"opzione fondamentale" e le "tappe intermedie"

E’ proprio l'attenta lettura del messaggio evangelico che ci fa capire che l'ideale oggettivo non è solo altissimo e difficile, ma è addirittura "trascendente", cioè impossibile da raggiungere in pienezza durante la vita terrena. Gesù ci ha dato come méta della nostra vita il "siate perfetti come il Padre vostro che è nei Cieli" (Lc 6, 36), cioè come Dio.

Dunque l'ideale cristiano non può essere il raggiungimento concreto, qui in terra, di uno stato di perfezione oggettiva: questa visione corrisponde piuttosto alla morale "stoica", di cui gran parte della morale passata, coscientemente o no, era figlia. L'autentica visione cristiana è quella che pensa che la perfezione spirituale e morale non è di questo mondo, proprio perché divina, e all'uomo tocca tendere continuamente ad essa nella convinzione che non si sarà mai "arrivati", e quindi senza fermarsi mai, continuando a crescere (e cercando naturalmente di non regredire...): proprio come nella "medaglia dell'amore", che dice "oggi più di ieri e meno di domani". Gli ideali morali da porsi davanti, dunque, è giusto che siano altissimi e ben definiti e fermi, nella consapevolezza però che sono in sé irraggiungibili: proprio come il punto di fuga in un disegno prospettico che, il più delle volte, è ben al di fuori del disegno stesso, ma dev'essere idealmente ben chiaro e fissato se si vuole che la prospettiva venga fuori.

Dunque la moralità di una persona non sarà misurata sul grado concretamente raggiunto di adesione oggettiva della singola azione all'ideale, ma piuttosto dalla sua "storia", cioè dalla quantità di cammino percorso e dalla tensione che ha di continuare ad andare avanti, anche nonostante i fallimenti e il peccato, sapendo ricominciare ogni volta, nella misericordia divina. Per questo, "scandalosamente", Cristo ha potuto affermare che nel Regno dei Cieli possono essere più in alto le prostitute che i sacerdoti del tempio, in base alla proporzione di quanto si è dato rispetto a quanto si aveva ricevuto (la parabola dei talenti!...).

Insomma è la visione della cosiddetta "opzione fondamentale", "cuore della moralità", cioè della scelta di fondo che si ha nel dirigere la propria vita e dare un senso ad essa :

"L'esistenza cristiana non deve essere vissuta innanzitutto come obbedienza a un insieme di regole promulgate da Dio per disciplinare i comportamenti. Il centro di gravità d'un giudizio morale non può ridursi alle categorie del 'permesso' e del 'proibito'. Il cuore della moralità è l'opzione fondamentale, che dà alla nostra vita un senso e che, normalmente, ispira le nostre decisioni particolari. La moralità cristiana si giudica innanzitutto secondo che essa orienti la vita verso Gesù Cristo e il suo messaggio, oppure scelga di allontanarsene. Ciò non significa affatto che gli atti particolari non avrebbero nessuna importanza. Ma questa è secondaria, non essendo questi atti che 'l'epifania', la manifestazione dell'intenzione fondamentale che li ispira".

Naturalmente la pura "opzione" teorica (come dice bene Giovanni Paolo II nell'enciclica "Veritatis Splendor") non basta, se non porta nel concreto a questo continuo impegno di "conversione", cioè di adeguamento sempre più pieno dei propri comportamenti all'ideale. Ma se tale condizione è verificata, a qualsiasi stadio o gradino ci si trovi, ci si può ritenere nella "giustizia" dei figli di Dio (sia pure nel modo che abbiamo delineato, sempre provvisorio, in quanto dato dalla suddetta visione dinamica, e - si spera - sempre crescente).

"All'accentuazione posta sugli atti della persona (atomismo morale) viene sostituita l'accentuazione posta sul motivo di fondo che muove la persona stessa (morale dell'opzione fondamentale). E' naturale che siano possibili eccessi sia nell'impostazione tradizionale, che non voglia dare rilevanza alle intenzioni come si deve; come nella morale recente, che non volesse riconoscere nessuna rilevanza morale alle azioni... E' risaputo che la morale tradizionale, quale si riscontra nei trattati e nei manuali, è la morale degli 'atti', cioè si preoccupa di giudicare la persona a partire dal suo comportamento e dalle sue azioni... In contrapposizione ad una morale degli atti - ma in continuità con alcune sue istanze profonde - si afferma sempre di più oggi una morale delle opzioni fondamentali... Si può affermare globalmente che la morale degli atti è vicina alla morale formalistica dei farisei, mentre la morale delle opzioni è congeniale alla morale di Cristo. Potremmo partire dalla opzione fondamentale di Cristo: fare la volontà del Padre. Il suo detto programmatico fu: 'Ecco io vengo per fare, o Dio, la tua volontà' (Sal. 40, 9)... Nell'ipotesi dell'opzione fondamentale si spiegano bene molti altri punti della dottrina cristiana: primo fra tutti l'insistenza evangelica sull'occhio semplice e sul cuore puro. Il vero male è quello che viene dal cuore: 'Dal cuore procedono cattivi pensieri, omicidi, adulteri...: ecco le cose che rendono l'uomo impuro' (Mt. 15, 19ss). Gesù ricorda che Dio esige la generosità interiore... Il tema del cuore richiama quello della legge: la legge scritta nei cuori (Ef. 8, 10; 10, 16). Cristo si mise continuamente in polemica con il formalismo farisaico, respingendone la casistica esteriore e deludente. Paolo, che l'aveva esperimentata, la lascerà presto per abbracciare l'esaltante e interiore 'Legge di Cristo' (Gal. 6, 2). Da quel momento la legge del cristiano, detta appunto 'legge nuova', non è più esterna all'uomo, tutta racchiusa in un codice di prescrizioni, bensì: lo Spirito di Dio che la scolpisce nei cuori quando vi effonde la carità... Tra tutti i comandamenti ve n'è uno che è il comandamento per eccellenza, antico e nuovo nello stesso tempo: quello dell'amore reciproco (Gv. 13, 34)... Si ha così la legge dell'amore: la pienezza dell'osservanza delle leggi sta solo nell'amore (Rom. 13, 8)... Se non c'è amore, c'è il peccato. Ma anche il concetto biblico di peccato è molto meglio comprensibile nella concezione dell'opzione fondamentale. La rivelazione biblica ci parla di peccato più al singolare che la plurale. Sia in Paolo che in Giovanni si possono distinguere il peccato (HAMARTÌA) dagli 'atti peccaminosi', considerati come colpe, trasgressioni, ecc. Solo l'HAMARTÌA appare come il peccato in senso escatologico... Come il peccato, anche la conversione (METÀNOIA) è in sostanza unica... La vita morale ha al suo fondo un'unica alternativa: l'egoismo o l'amore... Il peccato è la scelta egoista: l'amore quella altruista. Un peccato mortale, più che postulare un oggetto di particolare rilevanza, postula una decisione di particolare profondità... Viene così unificata la persona, malgrado la molteplicità dei suoi atti; ma vengono così unificate le persone, malgrado la molteplicità delle loro fedi e convinzioni. Di fronte all'opzione di fondo non ci sono più cristiani e noncristiani, credenti e non credenti: ci sono solo persone egoiste o persone che sanno prendere un atteggiamento oblativo... Che ruolo hanno le azioni in una morale delle intenzioni?... Resta inteso che anche la persona buona può fare qualche scelta sbagliata; come viceversa anche la persona cattiva può compiere qualche azione buona. Dovrebbe risultare altrettanto chiaro che l'atto normalmente non cambia l'opzione, tranne in casi del tutto eccezionali... L'atto singolo, in rapporto all'opzione fondamentale, potrà trovarsi così in una quadruplice posizione. L'atto cosciente può iniziare una opzione fondamentale; può cambiare una scelta di fondo precedente, benché ciò non avvenga facilmente e comunque avvenga solo con gradualità; può manifestare l'opzione fondamentale in corso e approfondirla; può infine attenuarla, pur senza giungere a rovesciarla. Il personalismo [insito nel discorso dell'opzione fondamentale] lungi dal cadere nell'errore del soggettivismo, aiuta a superare il vecchio e funesto errore dell'oggettivismo, per cui pareva che ad ogni singolo atto esterno corrispondesse sempre un peccato interiore... In realtà però non esiste il peccato in sé. Esso non è che un'astrazione della mente (benché resti vero che il furto, l'omicidio, ecc. siano sbagliati)... Sarebbe un guaio serio, tuttavia, considerare l'opzione di fondo solo nella prospettiva pessimistica del peccato e nell'angolatura deludente della neocasistica. Essa deve spingerci ad esaminare continuamente e sinceramente l'orientamento di fondo della nostra vita, deve vederci impegnati nel presentare i valori che meritano veramente di essere abbracciati e deve portarci a vivere la nostra vita tesi verso l'attuazione di ciò che conta di più. Allora non ci accorgeremo solamente dei peccati commessi in azioni, e nemmeno vedremo solamente quelli commessi con omissioni; ma ci domanderemo come viviamo e come aiutiamo gli altri a vivere e ad apprezzare ciò che soprattutto merita... [Infine lo stesso S. Ufficio - 29/12/1975 - ha dichiarato che] per formarsi un giudizio adeguato nei casi concreti, sarà 'preso in considerazione, nella sua totalità, il comportamento abituale delle persone'".

Se questo è vero per ogni uomo, anche adulto e maturo, figuriamoci per il bambino e il ragazzo, cioè per l'età evolutiva. Infatti un principio fondamentale della crescita, e quindi per l'educazione, è quello della gradualità. Se è importante avere ben fissi davanti gli ideali "adulti" verso cui far camminare il nostro ragazzo, bisogna anche rendersi conto che tali ideali sono appunto "adulti" (e, come abbiamo detto, comunque addirittura irraggiungibili nella loro perfezione), e perciò certamente non ancora possibili per il ragazzo. E' doveroso quindi saper accettare che egli arrivi solo fin dove può davvero arrivare.

Insomma avere la mentalità del "progetto" vuol dire puntare alla méta sapendo accettare le tappe intermedie, avendo il gusto della crescita (non regredire e non fermarsi), e soprattutto instillandolo nei bambini e nei giovani senza colpevolizzarli per le cose imperfette che fanno a causa della loro età, evitando assolutamente di accrescere in loro il "senso di colpa", già così presente in modo oscuro e doloroso, specie in certe età, anche molto giovani.

 

4 - "Senso di colpa" e "senso cristiano del peccato"

Il "senso di colpa", che nasce dal Super-Io, è un elemento psicologico che non coincide affatto con la coscienza morale cristiana basata invece sul "senso del peccato", cioè sul desiderio di migliorare nel rapporto di amore con Dio.

"Ci capita a volte, nelle nostre azioni, di provare un certo disagio. La coscienza ci rimprovera quella tal cosa che abbiamo fatto. Questo sentimento si collega... al 'super-io'. Il comandamento interiorizzato in una 'coscienza' censura la nostra azione. Il sentimento provato, portatore di informazioni, ci mostra una certa contraddizione fra quello che facciamo e gli ordini che abbiamo interiorizzato al momento della nostra evoluzione psicologica. Ma questo sentimento non pregiudica necessariamente il valore dell'informazione. E' possibile che il nostro 'super-io' abbia scatenato in noi un segnale di allarme perché la nostra azione era stata veramente piegata a quello che volevamo. Si parla allora di una coscienza ben formata. Ma è pur sempre possibile che il segnale di allarme inviato dal 'super-io' non sia adeguato. La strutturazione del 'super-io' infatti non si riceve già fatta; essa risulta da una lenta trasformazione, da tutta una storia individuale. Per motivi che risalgono al conflitto edipico e alla sua soluzione, alcune azioni sono censurate dal 'super-io'; quando trasgrediamo queste censure nasce in noi il senso di colpa. Non si tratta dunque di reagire ciecamente nei confronti di questo sentimento. L'adulto impara a passare all'istanza dell''io' cosciente e a giudicare la bonta' di un'azione secondo il suo progetto di vita; si chiederà per esempio se la sua azione esprime l'amore. E' importante scorgere il ruolo del senso di colpa e interpretare questo campanello d'allarme psicologico. Il senso di colpa non deve essere rimosso... In genere non serve a niente, perché quello che è stato rimosso continua ad agire nell'inconscio della persona e riappare normalmente sotto un altro aspetto in modo spesso poco accettabile. Se pero' un senso di colpa è giudicato inadeguato può essere talvolta coscientemente soppresso. Sopprimere un sentimento è riconoscere che c'è, tenerne conto e attutirne gli effetti... Bisogna allora modificarlo molto dolcemente e non stupirsi se il compito non è facile. Se non si giunge a eliminarlo completamente, è inutile innervosirsi o aversene male. La tattica migliore spesso è di saper guardare a se stessi e al proprio problema con un sorriso bonario... Ad ogni modo il senso di colpa libera una certa energia psichica che bisogna saper usare in vista dell'avvenire... Se l'energia psichica resta fissata al passato in un semplice rimpianto, questo sentimento diventa un 'complesso'... Ci si ferma a una sorta di sterile autopunizione chiamata il 'rimorso'. Ma se l'energia è diretta verso il futuro e se il suo punto di applicazione si trova nel gruppo umano e non nell'isolamento dell'io, il rimorso diventa pentimento che dà nascita alla responsabilità. Si utilizza allora l'energia sprigionata in uno scopo di crescita, di progresso, di riparazione... L'uomo ha una diversa immagine della morale a seconda delle diverse tappe della presa di coscienza della colpa. A livello di macchia, di peccato e di tabù l'uomo è preso in una situazione che non domina. La sua morale allora è quella del 'terrore', egli ha paura che il mondo si rivolti contro di lui; è preda del destino... Tenta allora di salvarsi con pratiche superstiziose, riti e preghiere ben precise. Non vive in un mondo personale, ma in un universo opprimente... Il mondo offeso, l'armonia distrutta, non schiacceranno di rimando il colpevole? Come ristabilire quello che è giusto, quello che si sarebbe dovuto fare? Ci si considera come persone che hanno infranto l'ordine stabilito... A livello più profondo, in cui l'uomo si riconosce peccatore, egli prende coscienza di vivere in rapporto con gli altri, con Dio. E scorge di non essere autentico in questo rapporto. Può allora apparire una certa angoscia: è possibile il perdono? Si può ancor amare? A questa domanda fondamentale noi suggeriamo (con la tradizione cristiana) che l'amore consiste in un perdono e in un'accettazione reciproci che usano come legame tra le persone lo stesso ostacolo che le teneva lontane. L'amore che va fino al perdono accetta di ricevere e di dimenticarsi per amare; supera il timore e l'angoscia.. a questo livello la legge morale diventera' una 'espressione della scelta di amare'".

"Il senso di colpa... nascerebbe dalla consapevolezza di avere infranto una legge, e la sua intensità sarebbe dunque relativa alla punizione paventata. Il senso di colpa si genera nell'ambito di un rapporto con l'altro vissuto come il detentore della legge e identificato, quindi, come aggressore; il senso di colpa è comunque sempre caratterizzato dal timore di una punizione o comunque di una perdita... Al pari del dolore fisico anche il senso di colpa contribuisce a rendere il bambino un individuo rispetto al 'mondo', ma questa volta sul piano della realtà interna. Se sul piano somatico il bambino realizza il suo essere individuo, su quello psichico esperisce il vissuto di persona. Perche' si arrivi al pentimento e' necessario realizzare prima il sentimento della gratitudine e quindi arrivare ad un rapporto con l'altro non più regolato da leggi, ma inteso sull'amore. Se il senso di colpa nasce da una violazione della legge, il pentimento nasce dalla consapevolezza di non aver saputo amare. Qui il nostro rapporto non è con la persona autoritaria, ma con la persona autorevole, vale a dire che ha l'autorità di chi ama. Il nostro rapporto non è più, quindi, riferito alla legge, ma alla vita o tutt'al più con le leggi della vita che animano i nostri rapporti. Il pentimento in breve è proprio di chi sa di aver mancato nei riguardi della persona che ci ama. Se il senso della colpa ci rende persone, è il pentimento a fare di noi degli uomini".

Se dunque bisogna già aiutare il bambino, anche nelle norme etiche che egli può già e quindi deve rispettare, a passare da un rapporto con una legge oppressiva carica di paura del castigo, ad un rapporto di amore; come potremo non creare in lui un disperato e oscuro senso di colpa opprimente, se lo rimproveriamo per cose che egli non è ancora oggettivamente in grado di fare, o di compiere diversamente? Ad esempio, se è naturale per il bambino essere "egocentrico", e cioè essere ancora chiuso nella propria autogratificazione, diventa allora normale per lui avere degli atteggiamenti "egoistici", non saper donare con spontaneità e ricercare ancora il piacere finalizzato a se stesso. Il vero problema dunque non è a livello repressivo o punitivo, ma piuttosto educativo, nell’ottica della crescita.

Proporzion fatta, lo stesso principio vale in qualche modo anche per una persona adulta: quello che importa non è dunque il timore della condanna, ma anzi, nella certezza del continuo perdono amoroso di Dio, il saper continuamente "ricominciare", nel desiderio e nella convinzione che - con la grazia divina - questo vuol dire crescere nella capacità di Amare, in un processo di "ri-conversione" continua.

 

 

5- Il "progetto" affettivo-sessuale - L’ideale del "dono puro" e le tappe del cammino

Tutto quanto abbiamo detto sulla vita morale in generale ci pare dunque particolarmente vero proprio per il campo della sessualità. Infatti l'ideale di una donazione assoluta all'altro nel campo affettivo-sessuale è di nuovo un ideale irraggiungibile nella sua pienezza per tutti (solo Dio è dono puro). E' giusto d'altra parte che la Chiesa riaffermi con decisione i principi, ma proprio nuovamente come per il "punto di fuga", e cioè nell'accettazione concreta di tutte le tappe intermedie (e quindi anche di quelle parziali o parzialmente discordi). E se, in quest'ottica è anche giusto sottolineare la più o meno grande lontananza dal progetto di tutti i comportamenti non in linea col suddetto ideale, bisogna però farlo in tale visione di cammino lungo e faticoso, mai compiuto, che ogni essere umano fa anche (e forse soprattutto) in questo campo.

Particolarmente nel campo affettivo-sessuale bisogna dunque riconoscere e prendere atto dei diversi stadi della crescita, poiché il bambino non nasce già automaticamente capace di dominare corpo e psiche e tantomeno di "donarsi agli altri".

Fromm (nell'"Arte di amare") individua tre stadi fondamentali:

autogratificazione, autorealizzazione, autoerotismo (stadio individuabile grosso modo dall'inizio della vita a tutta la fanciullezza):

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rapporto interpersonale, ma ancora egoistico e possessivo ("mi piaci" come la marmellata di una famosa pagina di Quoist...; stadio individuabile nell'adolescenza):

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oblatività e fecondità, sia fisiche che spirituali (stadio che dovrebbe essere tipico dell'età adulta)

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Naturalmente non si passa da uno stadio all'altro di colpo, ma ciascuno di essi sfuma poco per volta nel successivo, con un'evoluzione continua negli anni. Inoltre ogni stadio successivo supera il precedente, ma lo racchiude (come le matrioske russe...) e continua a soddisfarlo in modo più maturo. Infatti, come motivazione di base di ogni comportamento umano, rimane comunque l'amore per se stessi e la ricerca della propria felicità: non per nulla Gesù dà come parametro dell'amore per gli altri l'amarli "COME" noi stessi...

"Non si può amare per dovere. L'amore 'doveroso' non esiste. Non può esistere. E il piacere stesso, quando è doveroso, cioè obbligatorio, cessa immediatamente di essere piacere... Non si può dare ciò che non si ha. Non si può dare amore se non si ha dell'amore dentro di sé e anche per sé. Chi odia se stesso difficilmente può amare gli altri: può soltanto agire come se li amasse. Può recitare la parte del buono, senza però esserlo veramente... Certamente nessuno vuol essere infelice".

Inoltre, come abbiamo già detto, nessuno raggiunge mai perfettamente il terzo stadio: l'oblatività completa, che è solo di Dio...

"Lo sviluppo sessuale comincia dalla nascita e dura fino alla morte. Questo ciclo di sviluppo è iscritto profondamente nell'anima e nel corpo di ogni essere umano. Ma il ciclo presentato qui [nel paragrafo precedente del libro, n.d.r.] è l'ideale. E' troppo perfetto. Può darci un sentimento di colpevolezza, perché siamo TUTTI insufficienti. Abbiamo tutti vissuto più o meno goffamente certi periodi della nostra vita. Essere veramente umani si traduce nello sviluppo di una persona tanto meglio quando considera le lacune e i limiti che l'allontanano dalla perfezione totale e accetta se stessa al punto più alto della sua realizzazione... In materia sessuale, la perfezione non esiste per nessuno, ognuno è in diritto di svilupparsi fino ad un certo punto, e di accettarsi a questo punto... Quello che conta e che ogni uomo abbia un'esperienza della più alta dignità umana: svilupparsi al meglio possibile in funzione della sua abilità e delle sue attitudini".

Tutta la vita sarà perciò una continua crescita (con alti e bassi) nella ricerca di una sempre maggiore capacità di donarsi. L'importante è non fermarsi e tantomeno regredire. L'educazione consiste appunto, nel rispetto di quello che il bambino può dare secondo lo stadio raggiunto, nell'aiutarlo ad aprirsi sempre di più agli altri e ad imparare poco per volta a "dare". Similmente il cammino ascetico nelle diverse età.

 

6 - La perfezione "relativa"

Dunque, possiamo affermare che:

"Ognuno è maturo in proporzione a quanto è stato capace di realizzare o è sul punto di realizzare, nonché in proporzione alle sue capacità di fare, di pensare, di sentire e di partecipare attivamente a ogni stadio della vita... Maturare non vorrebbe dire affatto riportarsi a forme di condotta trasmesse dal passato e convalidate dal consenso di una qualsiasi maggioranza, ma vorrebbe dire piuttosto attuare una progressiva conquista di se stessi. Si tratterebbe dunque di vivere in un certo modo e non di arrivare ad un certo livello, ritenuto insuperabile, di perfezione.... La sessualità appartiene all'uomo come tale, indipendentemente dalla sua età, e un bambino di pochi mesi può benissimo essere [relativamente] più maturo di un adulto".

E' interessante rilevare, a riguardo di questa visione di perfezione "relativa" all'età, quanto dice un libro moderno di teologia sulla figura di Gesù Cristo, criticando coloro che nel Medioevo ritenevano Gesù perfetto in modo astratto (particolarmente in riferimento ad una conoscenza completa e assoluta di tutte le scienze che Egli avrebbe dovuto avere in quanto Figlio di Dio, al di là delle stesse conoscenze del tempo):

"In questo ragionamento c'è un concetto erroneo della perfezione. Ora essa non consiste nel poter fare e sapere tutto in modo assoluto. Uno è perfetto quando è quello che deve essere nello stato in cui si trova. Il bambino è perfetto non quando si comporta da adulto, ma da bambino, cioè quando cresce e impara. Così la perfezione di Gesù è relativa all'uomo storico che egli è".

Dunque lo stesso Gesù ha passato tutti gli "stadi intermedi" dello sviluppo, compreso l'aspetto affettivo-sessuale, come tutti gli altri bambini e giovani, anche se - precisa il suddetto testo - "non ebbe certamente concupiscenza", cioè tendenza a vivere in modo moralmente negativo i vari aspetti della vita e in particolare gli istinti affettivo-sessuali.

Riallargando nuovamente il discorso a tutte le età dell’uomo, e riallacciandosi a quanto detto nei paragrafi 3 e 4, possiamo concludere che anche specificatamente nella vita affettivo- sessuale, quello che conta "non è dunque il timore della condanna, ma anzi, nella certezza del continuo perdono amoroso di Dio, il saper continuamente ‘ricominciare’, nel desiderio e nella convinzione che - con la grazia divina - questo vuol dire crescere nella capacità di Amare, in un processo di ‘ri-conversione’ continua".