GESÙ CROCIFISSO E ABBANDONATO

SORGENTE DI OGNI CARISMA

di JESUS CASTELLANO CERVERA, o.c.d.

GESÙ CROCIFISSO, IL MODELLO UNICO

In una pagina riassuntiva della spiritualità cristiana, santa Teresa di Gesù lancia una sfida e propone una risposta. La sfida risuona con queste infuocate parole: «Sapete voi che cosa vuol dire essere veramente spirituali?». Non è una domanda retorica; si tratta piuttosto di una questione cruciale in un momento in cui la Santa di Avila, alla fine del suo capolavoro, «Il Castello interiore, vuole offrire come in una densa sintesi personale il segreto della vera santità cristiana. La risposta a questa sfida ha un volto e un nome: Gesù crocifisso. Egli è il vero spirituale, il modello universale, la sintesi della spiritualità, la pienezza della mistica: «Fissate il vostro sguardo sul Crocifisso e vi diverrà facile ogni cosa. Se il Signore ci ha dimostrato il suo amore con opere così grandi ... perché volerlo contentare soltanto con sole parole? Sapete voi cosa vuol dire essere veramente spirituali? Vuol dire essere gli schiavi di Dio, tali che segnati con il suo ferro, quello della croce, Egli li possa vendere come schiavi di tutto il mondo come è stato lui...» . Gesù Crocifisso è quindi l'immagine viva della vera spiritualità nel suo donarsi totalmente al Padre e ai fratelli come un servo, nella totale consegna di se stesso per gli altri nella libertà dell'amore.

Come Teresa di Gesù, tutti i Santi unanimemente si ritrovano ai piedi della croce, contemplano il Crocifisso e scoprono in Lui il vertice della santità, la sintesi e la chiave della spiritualità, la pienezza della consacrazione, il modello della sequela, il vertice dell'apostolato, la più alta esperienza dell'ascesi e della mistica, la fonte da cui scaturisce ogni carisma.

Se la pienezza dell'amore di Dio e del prossimo accomuna tutti i cristiani nella chiamata universale alla santità, ognuno realizza tale sintesi nella multiforme grazia di Cristo e nella pluriforme ricchezza dello Spirito, ma tutti si ritrovano nel vertice della vita di Gesù che è il suo sacrificio redentore da dove scaturisce la pienezza dello Spirito Santo.

Tutti i Santi scoprono il vertice della spiritualità in Cristo crocifisso, a partire dal proprio carisma nella Chiesa, in quella originale sintesi della vita cristiana che si compie a partire da una parola del Vangelo che sintetizza, abbraccia e raccoglie come in un fascio di luce, quasi in una propria ed originale visione caleidoscopica tutto il messaggio evangelico. Così la povertà di Francesco, l'obbedienza apostolica di Ignazio, la sapienza di Domenico, l'ultimo posto con i più poveri del carisma di Carlo di Foucauld, le opere di misericordia dei Fondatori che hanno fatto brillare lo splendore del Vangelo della carità in favore del prossimo, l'ardore dei missionari, la più alta comunicazione di Gesù via, verità e vita dei discepoli di don Giacomo Alberione, si ritrovano, nella sua più pura ed alta espressione, in Gesù crocifisso.

Egli è la Parola delle parole, il Verbum caro, la Parola fatta carne nel limite della sua espressività, nel suo doloroso silenzio dopo il grido della Croce, l'ultima parola della rivelazione dell'amore di Dio per l'uomo, nella massima concentrazione della Parola che è «La Parola della Croce», di cui parla san Paolo (1 Cor 1 18). Egli è la Parola­silenzio della passione e della morte che rende Gesù tutto Parola­amore, Vangelo vivente, beatitudini evangeliche ed opere di misericordia vissute insieme e nel più alto grado.

Per questo nel Crocifisso ogni cristiano ritrova concentrata ed espressa la propria vocazione, ogni stato di vita, la propria via di santità, ogni Fondatore vede realizzata nella massima espressione quella parola di vita che caratterizza la spiritualità che lo Spirito ha voluto donare affinché sia espressa con forme appropriate di vita nella Chiesa, come esegesi vivente del Vangelo. Tutti i carismi dello Spirito li sentiamo fluire dal cuore di Cristo, come parole della Parola, raggi dell'unico sole, aliti dell'unico soffio dello Spirito; e tutti ancora li vediamo confluire verso il Cristo Crocifisso per rientrare attraverso l'unica porta del tempio ­ la piaga del cuore trafitto nella comunione dei Santi.

GESÙ ABBANDONATO:

DALLA RIVELAZIONE ALLA SPIRITUALITÀ

La grande tradizione della Chiesa ci conduce ai piedi del Crocifisso.

Prima di tutto i Vangeli, che si concentrano sul mistero del Crocifisso­Risorto come se ciascun Vangelo fosse un prologo della Passione; le prime predicazioni kerigmatiche di Pietro negli Atti degli Apostoli presentano ancora come prima verità da credere il mistero del Messia crocifisso e risorto. Paolo nelle mille espressioni della sua contemplazione del Cristo crocifisso ci offre la percezione del mistero dell'amore redentore. In una maniera tutta originale ci presenta il Crocifisso l'autore della lettera agli Ebrei, anonimo ed ispirato cristiano che vede in Cristo il Figlio obbediente e nel suo sacrificio il compimento di tutte le figure e promesse dell'Antico Testamento, ivi incluso il rivelarsi di Gesù come sacerdote e vittima, alleanza nuova, sacrificio di espiazione, vertice della preghiera, roveto ardente dell'amore che brucia senza consumarsi nello Spirito Santo.

Nei testi della Scrittura, come nei documenti della tradizione patristica e liturgica, il mistero del Crocifisso viene contemplato piuttosto nel suo aspetto oggettivo, come dal di fuori, mettendo in luce specialmente gli effetti della passione redentrice, il compimento delle Scritture, i simbolismi che si realizzano. Meno accentuato, secondo molti autori, è l'aspetto che possiamo chiamare soggettivo, «I Sentimenti di Cristo» nella sua passione e nella sua morte, che pure fanno vibrare il suo cuore di Figlio nei confronti del Padre e sperimentare i limiti dell'umano nella propria e vera umanità davanti alle sofferenze e alla morte. Non mancano tuttavia nei testi biblici i riferimenti a questo vissuto del Cristo nella sua passione. Giovanni, infatti, al pari dei Sinottici, allude alla paura della morte e alla glorificazione filiale del Padre. L'ultima Cena è intrisa di questo palpitare del cuore di Cristo. La stessa istituzione dell'eucaristia nella notte in cui fu tradito rivela la consapevolezza di Gesù davanti alla sua ormai prossima morte. Ugualmente la preghiera dell'Orto degli ulivi svela il mistero della sofferenza spirituale di Cristo.

Sulla croce il Cristo, attraverso le sue parole ed i suoi gesti, riferiti dagli evangelisti, ci fa entrare nel santuario dei suoi sentimenti. Il cuore squarciato ­ la piaga aperta del cielo che getta il fuoco sulla terra e della terra riarsa che si apre verso il cielo ­ è l'espressione simbolica e reale del più grande dolore, del più grande amore, dell'estrema fecondità del suo donarsi al Padre e a noi. Il sangue e l'acqua del cuore trafitto fanno riferimento non solo primordialmente ai sacramenti della Chiesa ­ il sangue dell'eucaristia e l'acqua del battesimo ­ ma piuttosto alla vita donata in sacrificio redentore ­ sangue ­ e quindi amore donato in sacrificio, e allo Spirito Santo, vita comunicata in abbondanza alla Chiesa ­ acqua ­, frutto dell'amore redentivo e quindi amore effuso come salvezza e vita soprannaturale.

Ma ci mancherebbe la chiave di comprensione del mistero se non ci fosse in Matteo ed in Marco il grido di Gesù sulla Croce: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato (Mt 27, 46 e Mc 15, 34). Eppure è a questo grido e all'esperienza inafferrabile che esso comporta che bisogna rifarsi per penetrare nella spiritualità di Gesù in Croce, nel gemito dello Spirito che apre i varchi immensi dell'umano e del divino vissuti in quell'attimo culmine della storia umana, in quella riconciliazione del divino e dell'umano nella quale si uniscono gli estremi della lontananza da Dio e della comunione con il Padre.

Tuttavia è il paradosso del grido lancinante di Cristo, il più misterioso gemito dello Spirito, la lama tagliente a doppio filo di questa «parola acuminata» che insieme fende gli abissi del creato e del divino, il cuore del Figlio­uomo e del Padre Dio, la chiave di volta del mistero di Cristo, della rivelazione dell'amore trinitario.

Forse per questo, il grido di Gesù, con la sua portata teologica e spirituale di rivelazione del divino e di esperienza vissuta, è rimasto come velato nella sua più intima comprensione attraverso i secoli. I commenti dei Padri alla portata esperienziale di questo grido rimangono in qualche modo nella periferia del mistero, nell'alone di luce che vi si sprigiona, ma come ancora troppo al di fuori dell'esperienza umana che l'ha provocato. Ancora oggi la stessa esegesi delle parole dell'abbandono di Cristo, a partire da un approccio che non può non essere oggettivo ma che in qualche modo rischia di autolimitarsi nell'esatta comprensione della sua portata esistenziale, barcolla con interpretazioni insoddisfacenti e deve lasciare spazio interpretativo alla teologia e alla spiritualità.

Infatti la teologia cerca di penetrare il mistero alla luce dell'intelligenza della fede nella connessione armonica con le altre verità che permettono di scandagliare il mistero di Cristo crocifisso. Essa, tuttavia, rimane aperta alla spiritualità, cioè alla comprensione del mistero sotto l'azione dello Spirito Santo a partire da analoghe esperienze vissute. Tali esperienze, sottoposte al discernimento della fede, possono aprire spazi alla comprensione del mistero che si cela nel grido di Gesù in croce. Ciò può accadere a partire dal vissuto umano del dolore dell'abbandono. Inoltre nella consapevolezza che esse possono essere una certa partecipazione ai «medesimi sentimenti di Cristo Gesù» (cf. Fil 2, 5) che egli può far rivivere nei membri del suo corpo, può essere data alla Chiesa una crescente comprensione del mistero nell'ambito dell'approfondimento delle parole e delle cose rivelate che si compie anche con «l'esperienza spirituale» sotto la guida dello Spirito Santo.

Il mistero del Crocifisso diventa in certo modo il mistero dell'Abbandonato, nel senso preciso che il sacrificio della Croce ha la sua massima densità nell'abbandono di Gesù in croce espresso dal suo grido lancinante.

Ciò era stato percepito con grande lucidità da Giovanni della Croce quattro secoli fa, a partire da concrete e profonde esperienze personali di solitudine e di abbandono che gli avevano permesso di cogliere il senso profondo del grido di Gesù in croce. Per questo in una pagina antologica aveva proposto la sua contemplazione del mistero di Gesù in croce come vertice della spiritualità e misura massima dell'amore per il Padre e della fecondità della redenzione.

Vale la pena ricordare questo testo: «... E evidente come, al momento della morte, Egli fosse annichilito anche nell'anima, senza alcun sollievo e conforto, essendo stato lasciato dal Padre secondo la parte inferiore, in un'intima aridità, così grande che fu costretto a gridare: Dio mio Dio» perché mi hai abbandonato? (Mt 27, 44). Quello fu l'abbandono più desolante che avesse esperimentato nei sensi durante la sua vita e, proprio mentre ne era oppresso, Egli compì l'opera più meravigliosa di quante ne avesse compiute in cielo e in terra durante la sua esistenza terrena ricca di miracoli e di prodigi, opera che consiste nell'aver riconciliato e unito a Dio, per grazia, il genere umano. Ciò dunque avvenne nel momento in cui nostro Signore raggiunse il massimo del suo annichilimento in ogni campo: nella reputazione degli uomini, i quali vedendolo morire, invece di stimarlo, si burlavano di Lui; nella natura, nel cui confronto si annichilì morendo; nell'aiuto e conforto spirituale del Padre che in quel momento lo abbandonò affinché puramente pagasse il debito e unisse l'uomo con Dio. In tal modo Cristo rimase annichilito e ridotto quasi nel nulla...»

UN MISTERO PER LA TEOLOGIA E LA SPIRITUALITÀ

DEL NOSTRO TEMPO

Il nostro tempo, caratterizzato da un ateismo delle masse, tempo delle guerre e dell'olocausto, dei conflitti e delle crisi, è rimasto come affascinato da questo grido del Crocifisso del Golgota. Mai come in questo tempo i teologi sono stati colpiti dal mistero delle parole dell'Abbandonato e si sono sforzati di scandagliarne la portata. Dai teologi protestanti sempre attenti al mysterium crucis, ai teologi ortodossi che contemplano la gloria del Risorto a partire dalla kénosi della morte di Cristo, ai teologi cattolici, fra i quali emerge U. Von Balthasar, sembra che la teologia si sia dato un appuntamento ai piedi della croce per ascoltare gli echi umani e divini della suprema rivelazione dell'amore e del dolore nel grido dell'Abbandonato.

E non è senza un particolare significato che nel magistero del papa Giovanni Paolo II, testimone di questa nostra travagliata epoca, risuoni con tanta frequenza e con una particolare profondità esistenziale, come mai finora era stato fatto nel magistero pontificio anteriore, il grido di Gesù sulla croce e la proposta di una amorevole contemplazione dell'Abbandonato del Calvario.

È quindi provvidenza di Dio e mirabile opera dello Spirito il risveglio, avvertito in questo secolo, non solo di una attenzione teologica a questo mistero, ma anche il sorgere di una esperienza evangelica, di una spiritualità come quella di Chiara Lubich e del Movimento dei focolari. Essa coglie nel mistero di Gesù abbandonato il vertice di una nuova spiritualità nella Chiesa; vede in Gesù non solo il Crocifisso ma anche specificamente il mistero del suo abbandono sulla croce e ravvisa in questa contemplazione, nell'esperienza dell'amore all'Abbandonato, il vissuto più alto dell'amore; e come risposta cristiana per il mondo di oggi lo propone per essere concretamente vissuto da tutti i cristiani; vertice indissolubilmente legato al culmine della fecondità e del senso stesso del mistero e dell'opera del Cristo: l'ut omnes della sua preghiera e del suo sacrificio, l'unità di tutti e di tutto in Cristo.

Chiara ci ha offerto la sintesi meravigliosa di questa spiritualità nel suo libro L'unità e Gesù abbandonato, al quale è doveroso rimandare per una approfondita comprensione del messaggio soprannaturale dello Spirito Santo per la Chiesa di oggi, in quanto si tratta di un carisma riconosciuto dalla Chiesa con una dimensione universale.

E costante, attraverso tutte le pagine del libro di Chiara, la convinzione che si staglia come sintesi del mistero di Gesù abbandonato: in Lui si trova il «vertice del suo amore perché culmine del suo dolore». Ecco il vertice della spiritualità. Nella misteriosa esperienza di Gesù, vero Dio e vero uomo, del limite assoluto dell'esistenza umana, nel cumulo di ogni dolore, nella partecipazione alla somma tragedia della morte, del non essere, nel divenire peccato per noi, dell'inghiottire in sé l'inferno senza esserne inghiottito... e nel risalire verso il Padre con un amore fiducioso e pieno di speranza, abbiamo il vertice della spiritualità: il più grande amore vissuto a partire dal più grande dolore.

VERTICE E SINTESI Dl OGNI SPIRITUALITÀ

Ma la domanda più ardua che scaturisce dal dono provvidenziale dello Spirito alla sua Chiesa in questo nostro tempo è proprio questa: Gesù abbandonato è il vertice e la sintesi di una spiritualità particolare, oppure il vertice e la sintesi della spiritualità cristiana, di ogni spiritualità, di ogni carisma?

La risposta è stata in qualche modo abbozzata nelle prime affermazioni di questa esposizione. Gesù crocifisso è davvero il vertice e la sintesi riconosciuta di ogni spiritualità. I Santi di tutti i tempi verrebbero unanimi e compatti a rendere testimonianza di questa verità vissuta. Non solo perché contemplano in Cristo crocifisso il modello più alto dell'amore del Padre e dei fratelli, misura e criterio dell'autentica spiritualità cristiana, ma perché è nell'esperienza di una configurazione a Cristo crocifisso che essi sentono di condividere la santità del Figlio, la perfezione dell'amore, l'adempimento della volontà del Padre, il martirio, la contemplazione del mistero, la donazione apostolica ­ orante, sofferente, attiva ­ in favore del Corpo di Cristo che è la Chiesa, la comunicazione con le sofferenze del Signore, che aprono la strada verso la pienezza della vita trinitaria.

Tutte queste categorie sono in qualche modo indicative nell'ambito della teologia spirituale del vertice della esperienza cristiana e della santità cristiana e tutte si ritrovano in Cristo crocifisso.

Abbiamo pure ascoltato alcuni maestri della spiritualità nella Chiesa ­ Teresa di Gesù e Giovanni della Croce ­ che esplicitamente mettono in luce questa realtà ed invitano a fissare lo sguardo in Cristo crocifisso e abbandonato. Ora, nella misura in cui lo Spirito ci porta a scoprire la dimensione ultima del Crocifisso ­ che è la sua ineffabile esperienza da noi sintetizzata nel suo grido di abbandono, nel suo nome e nel volto dello Sposo abbandonato ­ ci apriamo pure alla comprensione ultima delle esperienze spirituali dei Santi. Il volto del Crocifisso, nella sua esperienza di dolore e di amore, non può non essere ormai contemplato, a partire da questa «rivelazione» che Egli ha voluto riservare al nostro tempo, se non nella profondità della sua esperienza di abbandono, di cui oggi la Chiesa prende coscienza nella sua contemplazione teologica e nella sua esperienza spirituale.

Possiamo quindi dire che egli è la sintesi della spiritualità cristiana e delle diverse spiritualità nella Chiesa. Le parole vive del Vangelo vissute dai Santi e proposte come tante vie evangeliche sono come la spiritualità unica nel suo rinfrangersi in diverse combinazioni policrome di valori spirituali; esse tendono a riunirsi nell'ultima parola di Gesù, nel vertice della sua esperienza che tutto sintetizza e tutto avvolge: il mistero di Gesù crocifisso e abbandonato. Ognuna raggiunge in Lui il suo vertice. Gesù abbandonato è l'amore supremo, il culto spirituale per eccellenza, la preghiera più alta e feconda, l'obbedienza più difficile e gradita, lo spogliamento più assoluto, la sua condiscendenza più profonda nell'accettare la condizione umana del peccato e della morte. Nel suo volto si armonizzano le sembianze delle otto beatitudini di Matteo come tante altre immagini della perfezione evangelica: la povertà in spirito, l'afflizione somma, la mitezza suprema, la fame e la sete di giustizia, la misericordia infinita, la totale purezza, la pacificazione perfetta, la persecuzione ingiusta sopportata con gioia. In Lui appare la misteriosa prova purificatrice del fallimento apostolico e la pienezza della fecondità missionaria, le varie notti dello spirito che preludono le giornate luminose di Pasqua. Ogni esperienza spirituale ha in Lui il suo vertice e la sua sintesi.

In Lui si può contemplare realizzata la perfezione della vita sacerdotale nella donazione della carità pastorale, la santità dei consacrati nell'offerta pura della loro vita, la misura della spiritualità dei laici nel vissuto concreto del sacerdozio dei fedeli.

Ogni espressione della santità ed ogni misura della perfezione cristiana può essere contemplata nel cuore e nello Spirito dell'Abbandonato. Ogni carisma si ritrova in Lui come allo stato puro, ed ha in Lui la sua sorgente se dal cuore trafitto di Cristo sgorgano i fiumi dello Spirito, pienezza di tutti i doni e di tutti carismi.

«Spirituale è colui che ha lo Spirito di Cristo Crocifisso ...».

Spiritualità è la pienezza della vita in Cristo e nello Spirito. Ora non vi è maggiore pienezza di quella che il Figlio obbediente vive sulla Croce e che è purissimo amore per il Padre e per i fratelli. E non esiste maggiore pienezza di spiritualità se non quella di vivere nell'attimo presente la volontà di Dio come risposta di amore all'immenso amore di Cristo per noi, e fino ad essere chiamati a partecipare, in quanto ciò è possibile, dello stesso abbandono di Cristo in croce per condividere la stessa sorte e collaborare allo stesso scopo: l'unità di tutti in Cristo.