"VIENI A CASA CON ME"

 

"Non ti preoccupare, vieni a casa con me": La ragazza ebbe un moto di sorpresa. L'infermiera che, sorridendo, le aveva rivolto quell'invito le apparve come un'àncora di salvezza. "Non vorrei disturbare...", si schermì. "Nessun disturbo. So come la pensa mio marito...Non fartene accorgere, ma aspettami fuori, all'uscita. Ti raggiungerò fra poco."

 

Era arrivata all'ospedale "Gemelli" quella mattina, da Trani, per accompagnare suo marito colpito da una grave forma tumorale; e le era appena stato detto che non poteva tracorrere la notte accanto a lui, come aveva sperato. Era già tardi. Dove sarebbe andata a quell'ora, in quella Roma straniera, e con gli scarsi mezzi a disposizione? Ma poi, nell'immenso policlinico, tra tanti volti estranei, uno le si era fatto familiare: Alberta, infermiera addetta al reparto di radioterapia, aveva fatto proprio il suo problema e ora le offriva quella insperata ospitalità.

 

Camillo ed Alberta Nisticò accolsero Vitangela come una figlia, e non solo per quella notte. La sofferenza di lei e soprattutto di suo marito Marco, condannato da un male che non perdona, la presero sù insieme. Marco, 26 anni appena, un carattere introverso, nervoso, che mal sopportava i disagi di un lungo ricovero, accettò di nutrirsi e di prendere le medicine solo per le affettuose insistenze di Alberta. Di lei si fidava. E quando l'infermiera si accorse che oltre al cancro lo divorava il desiderio di uscire almeno di tanto in tanto con sua moglie, gli suggerì:"Perchè non chiedi un permesso ai medici? Dì che hai dei parenti qui a Roma ai quali appoggiarti...Domenica poi venite a pranzo da noi, tu e Vitangela".

 

Una certa cautela le sembrava necessaria. Alberta voleva evitare che il suo interessamento per quella famiglia potesse venire frainteso. Nessun vantaggio materiale lei aveva mai cercato dai pazienti: per lei, semplicemente, erano dei prossimi particolarmente bisognosi da servire.

 

Così anche Marco, quasi incredulo, mise piede in quella casa dove sua moglie era ospite: conobbe Camillo e i tre piccoli Nisticò: Cristina, Chiara e Davide. Un gustoso pranzetto allestito sul terrazzino, della buona musica diffusa dallo stereo...e poi quel clima di vera famiglia, che faceva sentire rinfrancati anche in mezzo a tante angosce per quello che avrebbe riservato il domani.

 

Ma chi erano queste persone, così comuni e così particolari, che avevano preso tanto a cuore

la loro situazione? Non era difficile riconoscere in Alberta un'infermiera che faceva il suo lavoro con scrupolo, sempre serena e disponibile. Passava lei, e i malati si rianimavano. L'attenzione poi che Camillo aveva verso Marco e Vitangela era del medesimo stampo di quella che usava in famiglia aiutando in casa ed accudendo i figli.

 

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L'estate avanzava e tra poco i Nisticò sarebbero partiti per le vacanze, quando Marco e Vitangela si sentirono fare una proposta inaspettata dai loro nuovi amici: "Visto che la nostra casa rimane libera ad agosto, perchè non vi trasferite qui da noi? Tanto Marco può continuare le sue cure anche da esterno...". Gli avrebbero lasciato a disposizione anche la loro macchina.

Ai due sposi pugliesi non parve vera quella soluzione che alleviava le sofferenze di una degenza prolungata. Accettarono commossi. Ora sì che potevano far venire da Trani anche i loro due bambini che da tempo desideravano riabbracciare.

 

 

 

Tanta disponibilità non mancò di stupire amici e parenti dei Nisticò; a qualcuno parve persino eccessiva. Non certo a Camillo ed Alberta cui sembrava di non far nulla di veramente speciale.

Ragionavano sulla lunghezza d'onda del Vangelo e per loro era vero che "c'è più gioia nel dare che nel ricevere", - come ha fatto ed insegnato Gesù; ritenevano inoltre che la fraternità e la condivisione, fra coloro che si chiamano figli di Dio e fratelli, dovevano essere concrete nei fatti, e non solo nei desideri e nelle intenzioni.

 

Alberta pensò veramente a tutto. Pregò dei vicini di casa, sensibili alla situazione di quella famigliola, a far le loro veci per tutto il periodo delle ferie, caso mai avessero avuto bisogno di qualcosa. E quando telefonò da fuori per chiedere notizie, trovò Marco e Vitangela entusiasti: i vicini di casa li avevano invitati a casa loro ed accompagnati a visitare Roma.

 

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Dope le ferie, Alberta ritorna al suo servizio in ospedale. In genere tutti, medici, personale e pazienti, la stimavano sia dal punto di vista professionale che umano. E' vero, qualcuno non sempre capiva il suo modo di fare, di rendersi disponibile; ma questo era per lei un piccolo cruccio da superare e offrire uno stimolo a cercare un dialogo più aperto e profondo con tutti.

 

Un mattino, passando a salutare ad uno ad uno gli ammalati del suo reparto (il momento forse più bello della sua giornata di lavoro), si accorse che il pigiama di uno di loro non era molto pulito. Con garbo gli propose di cambiarlo. Ma l'altro, un tale di Sondrio, rispose che ne aveva soltanto uno e non sapeva come lavarlo. "Non si preoccupi, posso pensarci io". "No, no, non deve disturbarsi per me" - rispose. Alberta insistette. Quando quell'uomo di Sondrio ricevette l'indumento, disse all'infermiera, tra meraviglia e commozione: "In tre anni che giro gli ospedali, non mi era mai capitato di sentirmi dire da qualcuno: ti lavo il pigiama. Ma lei lo fa perchè crede in Dio veramente?".

 

La stessa domanda, tempo prima, le aveva rivolto Marco di Trani.Il suo stato di salute andava peggiorando rapidamente. Le terapie consuete non erano più sufficienti ad arginare il male e le speranze di un buon esito di un intervento chirurgico non erano molte.

Marco era perfettamente consapevole del suo stato. E se all'inizio s'era dimostrato un po' indifferente in fatto di religione, il calore e la coerenza dei Nisticò e di altre persone a loro legate, in un momento particolare della loro vita, aveva risvegliato in lui esigenze sopite. Di qui un ritrovato rapporto con quel Dio che Alberta e Camillo amavano come Padre, un pregarlo non più solo per sè ma anche per altri, per necessità che i suoi amici gli facevano conoscere.

 

Poi le cose precipitarono per Marco e venne il momento del distacco. Ormai quasi giunto al traguardo, fu riaccompagnato in ambulanza, dai suoi, alla città di origine.

In Alberta e Camillo, un senso di gratitudine per quello che il giovane aveva significato per loro in tutti quei mesi ed il ricordo delle parole di Vitangela al momento del commiato: "Non era possibile in alcun modo immaginare che in una città grande come Roma avremmo trovato persone come voi che ci hanno amato così tanto".