di Piero Coda
Fuori dai fumi delle polemiche che l'hanno preceduta e
accompagnata, la Veritatis splendor appare una grande proposta
morale che affronta il momento di crisi dell'uomo attuale, per
aiutarlo a riscoprire i legami profondi che libertà e verità hanno
fra loro.
Il significato e il valore della Veritatis splendor sono di
quelli che si misurano sulle lunghe distanze. Non perché non
abbia il peso della più pressante attualità, ma perché risponde
l travaglio più profondo dell'oggi, nella chiesa e nella
società, e ci vorrà tempo per assimilarla e per vederne i
frutti. Essa, infatti, non fa che riproporre, in termini aggiornati,
i "punti fermi" di sempre dell'insegnamento morale
della chiesa, e si rivolge non solo al cuore degli uomini ma
anche alla loro intelligenza. Sfatando ancora una volta, se mai
ve ne fosse ancora bisogno, l'"a priori" che la fede
non abbia a che fare con la ragione e con i problemi concreti
dell'agire umano nella storia.
Come purtroppo ormai spesso avviene, non ha giovato a una serena
ed equilibrata lettura e recezione del documento il gran
"battage" pubblicitario che già prima dell'estate
aveva accompagnato l'annuncio della sua imminente pubblicazione.
Singolare contrasto tra la cura e la pazienza con cui l'enciclica
è stata studiata e redatta (non dimentichiamo che il papa aveva
espresso l'intenzione di scriverla ben cinque anni or sono) e la fretta
e la superficialità con cui la si è accolta e interpretata.
Anche se - e questo è un fenomeno che tende a ripetersi - la
linea di demarcazione fra detrattori e sostenitori non coincide
con i confini visibili del "recinto ecclesiale".
Restando soltanto in Italia, vi sono stati dei "laici",
e di peso, che ne hanno saputo scoprire lo spirito di fondo, pur
non condividendone tutte le posizioni. Mentre alcuni cattolici l'avevano
già giudicata, e archiviata, prima ancora di averla tra le mani. Basterebbe
invece così poco per cogliere il sincero amore e la costante preoccupazione per
il vero bene della famiglia umana che - uniti alla grazia propria
del suo ministero - caratterizzano l'azione e l'insegnamento di
Giovanni Paolo II. Insieme al coraggio di dire pane al pane e
vino al vino e di riproporre la professione di fede in Gesù
Cristo unico redentore dell'uomo, che contraddistingue il suo
pontificato.
Nel momento della crisi
Il fatto è che questa decima enciclica di Giovanni Paolo II è
un prezioso servizio che la chiesa offre all'uomo in un
"momento di crisi". Una crisi che è sotto gli occhi di
tutti, e attraversa le coscienze, incrina i rapporti sociali,
rende incerto, quando non angoscioso, il futuro. E lo fa nella
consapevolezza che la chiesa, proprio in quanto è depositaria di
quel dono gratuito e inesauribile che sono la verità e la grazia
di Cristo, è esperta in umanità e - come già affermava la
sapienza degli antichi - nulla di quanto è umano ritiene a sé estraneo.
&È vero che l'enciclica si rivolge in modo specifico ai
vescovi della Chiesa cattolica e anche per questo ha un andamento
dottrinale piuttosto complesso, entrando in questioni più tecniche
dell'odierna teologia morale ben conosciute del resto agli
addetti ai lavori. Ma, in fin dei conti, si rivolge anche
all'uomo di tutte le fedi e convinzioni per riproporgli quella verità
che è inscritta nel più profondo del suo essere e che è in
tensione verso un compimento sempre più grande.
Per questo si tratta, tra l'altro, di un testo di indiscutibile
spessore culturale, che certamente non addormenterà il
dibattito, ma spingerà a un ulteriore approfondimento delle
questioni, vuoi in campo teologico vuoi in quello filosofico.
Allo stesso tempo si rivolge com'è naturale - a tutti i
discepoli di Gesù Cristo, ricordando loro l'esortazione dell'apostolo Paolo:
«Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma
trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la
volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto». I cristiani
lo ha loro insegnato Cristo stesso - sono "nel" mondo,
ma non "del" mondo: il "controcorrente" che l'esser
discepoli di Gesù esige è un distintivo che non può non
caratterizzarli.
I tre argomenti chiave
Ma veniamo alla struttura e ai contenuti principali
dell'enciclica. Si compone di tre densi capitoli, la cui "anima"
- come aveva auspicato il Vaticano II invitando a un rinnovamento e
a un approfondimento della teologia morale - è la Sacra
Scrittura.
Inizia con una meditazione biblica sul dialogo di Gesù col
giovane ricco (2), che serve a mettere in luce gli elementi
essenziali della morale cristiana: un capitolo che può essere utilmente
e con frutto spirituale letto e meditato da tutti e in cui,
nell'orizzonte della Parola di Dio, rifulge quello
"splendore della verità" su Dio e sull'uomo che ci
sono rivelate in Gesù Cristo e che si compendiano nel
comandamento "nuovo" dell'amore.
Nel capitolo centrale di natura dottrinale, il più lungo e
complesso, il papa svolge ampiamente il discernimento critico di
alcune tendenze della teologia odierna, alla luce della Sacra
Scrittura e della tradizione viva della chiesa, in particolare
del Concilio Vaticano II.
Infine, nel terzo capitolo di carattere pastorale, illustra la
rilevanza della dottrina morale cattolica per la realizzazione
della persona, per la crescita della società, per il compito di evangelizzazione
della chiesa, per il futuro del mondo.
Individuo e persona
Il punto di crisi che Giovanni Paolo II ravvisa nella situazione
culturale e morale di oggi e che lo ha spinto a scrivere queste
pagine è presto detto, ed è infatti proprio la riflessione su di
esso a partire dal Vangelo che costituisce il filo rosso
dell'enciclica: il rapporto tra libertà e verità. Libertà che
rappresenta in particolare la grande cifra e il grande anelito dell'uomo
moderno; verità che esprime l'autentica natura e il fine ultimo dell'uomo creato
a «immagine e somiglianza di Dio» per divenire, in Cristo,
«figlio nel Figlio». L'uomo - e questo è il punto - non è
semplicemente un essere individuale e assolutamente autonomo, ma
è "persona", vale a dire un essere che ha sua piena
verità nel rapporto con Dio, con gli altri, col mondo creato.
Autenticamente umano e dunque libero, è ogni atto che promuove e perfeziona
il vero e integrale bene della persona.
Questa vocazione a vivere una vita morale in cui la persona
realizza il suo autentico bene (che è alla fine la realizzazione
di sé in Dio coi fratelli) costituisce l'uomo in quanto uomo, e
come tale è accessibile alla ragione umana e riconoscibile
attraverso il dettame della coscienza.
Per questo, in linea con l'insegnamento della Scrittura e del
Vaticano II, Giovanni Paolo II afferma che «sulla strada della
vita morale è aperta a tutti la via della salvezza» (n. 3), nel senso
che, scoprendo in sé e conformandosi alla legge morale, l'uomo
persegue il suo fine ultimo. La grazia di Cristo eleva, purifica,
porta a perfezione la verità della persona umana. Gesù può
perciò affermare di sé «Io sono la Via, la Verità e la Vita» e
dei suoi discepoli «conoscerete la verità e la verità vi farà
liberi».
Immergersi nel mistero di Cristo tutto intero - come già aveva
detto la Redemptor hominis - è per la persona percorrere la via
che porta alla pienezza della libertà nel dono totale di sé, a
Dio e ai fratelli. Ed è poterlo fare in virtù dell'effusione
dello Spirito Santo.
«Cristo ci ha redenti!», esclama Giovanni Paolo II, e spiega:
«Ciò significa: egli ci ha donato la possibilità di realizzare
l'intera verità del nostro essere (n. 103).
Coscienza e verità
Alla luce di questa "verità" vanno approfondite - e
vissute - quelle tensioni che da sempre, ma soprattutto, giorni
nostri, caratterizzano la vita morale. Di fatto, la retta
coscienza dell'uomo - che è sempre illuminata dalla presenza di
Dio - percepisce la direzione nella quale è possibile, pur tra
prove e sacrifici, sciogliere questi dilemmi restando fedele al bene.
Non per nulla l'enciclica sottolinea che «in questa
testimonianza all'assolutezza del bene morale i cristiani non
sono soli: essi trovano conferma nel senso morale dei popoli e nelle
grandi tradizioni religiose e sapienzali dell'Occidente e
dell'Oriente, non senza un'interiore e misteriosa azione dello
Spirito di Dio» (n. 94).
Ma è indubbio che Gesù Cristo, rivelandoci e donandoci il senso
dell'esistenza umana come figliolanza in rapporto a un Dio che è
Padre e come fraternità in rapporto agli altri, ci offre una
luce straordinaria per superare le principali
"impasses" che caratterizzano il dibattito e il vissuto
morale del nostro tempo. Libertà dell'uomo e legge di Dio, così come
coscienza e verità, non vanno contrapposte, ma riconosciute e
promosse nella loro reciproca relazione.
D'altra parte la cosiddetta "opzione fondamentale", di
cui giustamente si fa oggi un gran parlare e con cui la persona
orienta tutta la sua vita nell'amore a Dio e al prossimo, deve poi tradursi
ed esprimersi nei molteplici comportamenti concreti e
nell'adesione ai singoli comandamenti.
Relativismo e vita sociale
Per quanto poi riguarda le specifiche scelte e azioni morali,
Giovanni Paolo II ribadisce il principio che non è lecito in
nessun caso «fare il male a scopo di bene».
Quest'affermazione tradizionale acquista nuova rilevanza nella
situazione culturale attuale, dove, per il relativismo sempre
più diffuso, non si accetta più un criterio oggettivo e universale
per determinare la bontà di un'azione. Si cercano allora delle soluzioni alternative.
Ad esempio, «ciò che è morale - ha spiegato il card. Ratzinger riassumendo l'enciclica
in questa sua importante precisazione - lo si dovrebbe determinare praticamente soppesando
il rapporto fra le conseguenze buone e cattive di un'azione e
quindi scegliendo quella che prevedibilmente ha conseguenze
maggiormente positive». Ma ciò significherebbe affermare che
non è possibile stabilire, alla luce della ragione e ancor più della
fede, ciò che è buono in sé, perché «buono» significherebbe solo
«migliore di...».
E se è vero che individualismo, relativismo, utilitarismo
distorcono la verità della persona e ne tarpano la realizzazione,
è altrettanto vero - e i fatti di cui tutti siamo testimoni, in
Italia e nel mondo, ce lo dicono in maniera indubitabile - che
essi minano alla radice la convivenza civile, la comprensione e
il funzionamento della democrazia, l'integrale, giusto e solidale
sviluppo economico (cf. nn. 98-101). Il papa ribadisce dunque quella
che ormai sembra esser divenuta una sua preoccupazione costante
dopo il crollo dell'ideologia totalitaria del marxismo: «si
profila oggi un rischio non meno grave per la negazione dei fondamentali
diritti della persona umana...: è il rischio dell'alleanza fra
democrazia e relativismo etico, che toglie alla convivenza civile
ogni sicuro punto di riferimento morale e la priva, più
radicalmente, del riconoscimento della verità» (n. 101).
Il dono totale di sé
Per chi aderisce alla fede cristiana l'adesione alla verità e la
coerenza morale hanno un volto preciso: il Cristo crocifisso. E,
nella sequela di lui, una "misura" altissima allo stesso
tempo che basilare, tanto da coincidere con l'essere cristiano
stesso: «nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita
per i propri amici» (6). Una misura che, nella storia di
santità della chiesa, si è espressa in una fedeltà a Dio
spinta non di rado sino al martirio (cf. nn. 90-94).
Se è vero che non tutti sono materialmente chiamati ad esso, è
altrettanto vero che, sul fondamento del battesimo che ci
configura a Cristo crocifisso e risorto, tutti siamo chiamati a
vivere la misura piena dell'amore cristiano che è dono totale di
sé. E qui che l'agire morale attinge lo splendore pieno della
sua verità: perché da "comandamento" che non bisogna
mai infrangere si trasforma in slancio verso la perfezione. Allora
la persona umana diventa, in un intreccio meraviglioso di grazia
e libertà, veramente e pienamente se stessa.
La morale evangelica è certamente esigente e radicale, ma colta
e vissuta dal punto di vista dell'amore è anche straordinariamente
"semplice": perché consiste «nel seguire Gesù Cristo,
nell'abbandonarsi a lui, nel lasciarsi trasformare dalla sua
grazia e rinnovare dalla sua misericordia» (n. 119). Per
sperimentare già nella storia quei frutti dello Spirito, in cui sboccia
la verità della persona umana: «amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà,
mitezza, dominio di sé».
In fin dei conti è un vero atto di testimonianza allo
"splendore della verità" quello compiuto in questa
enciclica da Giovanni Paolo II. Essa - come ha efficacemente
scritto il noto filosofo francese André Frossard - «è costruita
come un ostensorio. al centro la Verità che dal Vangelo sappiamo
non essere un'idea ma una Persona, da dove sgorgano come raggi di uno
stesso sole tutte le luci dell'intelligenza e del cuore». Di
tutte queste luci, conclude il papa, è rivestita per noi Maria,
specchio dell'amore e della misericordia di Dio.
I) Rom 12,2; 2) Mt 19,16-22; 3) cfr. LG 16; 4) Gv 14, 6; 5) Gv
8,32; 6) Gv 15,13; 7) Gal 5, 22.