IL GIUBILEO E LA VITA

"L'anima deve sopra ogni cosa puntare sempre lo sguardo nell'unico Padre di tanti figli. Poi guardare le creature come figlie dell'unico Padre. Oltrepassare sempre con il pensiero e con l'affetto del cuore ogni limite posto dalla vita umana e tendere costantemente e per abito preso alla fratellanza universale in un solo Padre: Dio. Gesù, modello nostro, ci insegnò due cose che sono una: ad essere figli di un solo Padre e ad essere fratelli gli uni degli altri"

E' in questo ambito che stabilisce un autentico rapporto di figliolanza con Dio Padre e un autentico spirito di comunione con tutti i fratelli che si è chiamati a vivere il Giubileo come rinascita alla vita cristiana e come conversione ad essa. Sarà dovere della comunità cristiana impegnarsi a superare e a far superare l'atteggiamento che potrebbe accontentarsi dello svolgimento di alcune pratiche (magari permanendo nel proprio abituale egoismo) per caratterizzare il cammino dell'anno Duemila.

L'indulgenza giubilare coinvolge tutta la vita cristiana nei suoi rapporti familiari, ecclesiali, sociali. E si riferisce sia all'aspetto individuale che a quello collettivo. Essa si richiama alla morale del singolo e a quella sociale.

Noi tutti abbiamo bisogno di indulgenza fidando in "Colui che è amico di tutto ciò che vive" (Sap. 11,26), ma sappiamo che "Dio non gradisce né olocausti, né sacrifici" (Eb. 10,8), ma vuole la conversione del cuore. Solo se si capisce questo amore infinito di Dio si può anche comprendere il senso della sua indulgenza, finalizzata a far crescere il nostro amore disinteressato verso di Lui.

Dio Padre conosce la nostra fragilità e si è manifestato misericordioso lungo tutto il percorso dell'umanità. Pagine ed eventi dell'Antico Testamento, la mediazione del Figlio Crocifisso e Risorto confluiscono anche nei servizi di perdono e di nuova creazione che la Chiesa offre nei tempi forti come sono quelli del Giubileo. Sarà la carità autentica, lo spirito di conversione, l'impegno di rinascita che mettono nelle condizioni di cogliere con pienezza i benefici dell'anno di grazia che il 2.000 mette alla nostra portata.

Molte volte si entra nella vita nuova attraverso alcune "porte" che ci fanno scegliere di uscire dal campo delle sole buone intenzioni per risolvere qualche situazione concreta che necessita di essere vissuta più conforme al disegno di Dio.

COMPASSIONE PER IL PROPRIO GENITORE. "Figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia, non contristarlo durante la sua vita. Anche se perdesse il senno, compatiscilo e non disprezzarlo mentre sei nel pieno vigore. Poiché la pietà verso il padre non sarà dimenticata, ti sarà computata a sconto dei tuoi peccati. Nei giorni della tua tribolazione Dio si ricorderà di te; come fa il calore sulla brina si scioglieranno i tuoi peccati" (Siracide 3,12 e s). Creare la mentalità che valorizza il rispetto e l'accoglienza verso l'anziano a cominciare dalla propria casa, vivere la famiglia (nella sua dimensione culturale, spirituale ed economica) come luogo privilegiato del dialogo e della solidarietà tra le generazioni, favorire la saggezza che può rendere protagonisti anche nell'età avanzata, vivere con generosità il processo di adattamento che si rende necessario quando uno dei membri si ammala fino a perdere la propria autonomia, impegnarsi a instaurare quello spirito di reciprocità entro il quale l'umanità di ciascuno viene confermata e potenziata… sono indicazioni per un giubileo di grazia, di amore e di perdono. I cristiani contribuiscono a creare una comunità ed una società valida per tutte le età. Isaia aveva promesso: "Non ci sarà più un vecchio che non giunga alla pienezza dei suoi giorni" (65,20). Nel mondo esistono strutture ed istituzioni a vari livelli: ministeri, ospedali, ricoveri, luoghi di assistenza, organismi che hanno il compito di provvedere agli anziani. Sono strutture che spesso hanno bisogno di un'anima in modo che lo spirito di servizio raggiunga quella intensità e quella spinta di amore che la famiglia può trasmettere tramite il rapporto con anziani, nonni, ammalati… E' di qui che può nascere l'ispirazione e il modello per saper accogliere e valorizzare ogni persona qualsiasi ne sia la condizione.

COMPRENDERE I PROPRI FIGLI. L'amore di Dio "passa" attraverso quello dei genitori che ne sono in certo modo un raggio. I genitori sono in grado di amare con l'amore naturale che portano in sé e con quello che Dio ha versato nei loro cuori con i sacramenti. In molte famiglie si costata che da parte di chi ha dato la vita non c'è limite all'amore. Ogni figlio porta l'impronta somatica e quella amorevole dei propri genitori. Allevare è fatica quotidiana di cura e di preoccupazione; educare è assicurare alla vita crescente, in cerca della propria affermazione, il senso della crescita, il significato dell'affermazione di sé. E i genitori le studiano tutte per darsi completamente ai figli. Ma i momenti di difficoltà non mancano. C'è disagio quando i figli fanno scelte diverse da quelle ritenute autentiche, ci sono sofferenze quando i figli si allontanano dalla chiesa, c'è voglia di smettere o si prova delusione di fronte a condotta di figli ribelli ed egoisti, sorgono paure ed atteggiamenti non equilibrati quando si verificano segnali preoccupanti di pericolo materiale o spirituale, in certe occasioni si sente il bisogno di saggezza e di supplemento d'amore nell'unire la disponibilità a lasciarli liberi e continuare a dare tutti gli aiuti per indirizzarli bene, talvolta si sperimenta dolore per le vicende che traviano coloro a cui si vuole un bene immenso e c'è l'impegno a "tenere la porta aperta" per ogni possibile o probabile ritorno….. L'arte e la fatica del dialogo, la fermezza nella verità e la comprensione, chiedere scusa ed accettare le scuse, superare distanze e concedere il perdono, cercare il punto in cui si possa da una parte e dall'altra ricominciare sono le caratteristiche che possono essere richieste da un anno giubilare per portare o tentare di riportare pace, concordia ed unità nell'ambito familiare.

FEDELTA' NEL MATRIMONIO. Al numero 1648 del Catechismo della Chiesa Cattolica si legge: "Può sembrare difficile, persino impossibile, legarsi per tutta la vita ad un essere umano. E' perciò quanto mai necessario annunciare la buona novella che Dio ci ama di un amore definitivo e irrevocabile, che gli sposi sono partecipi di questo amore, che Egli li conduce e li sostiene, e che attraverso la loro fedeltà possono essere testimoni dell'amore fedeli di Dio. I coniugi che, con la grazia di Dio, danno questa testimonianza, spesso in condizioni molto difficili, meritano la gratitudine e il sostegno ella comunità ecclesiale". Se la famiglia si vede spesso fallita nel mondo, è perché è venuto meno l'amore. La famiglia è un ingranaggio, uno scrigno, un mistero di amore. E' Dio che l'ha architettata come capolavoro dell'amore, segno, simbolo, tipo di ogni altro suo disegno. Quando nel cuore dei componenti la famiglia questo amore è vivo, non nascono problemi insolubili, non si ergono ostacoli insormontabili, non si piangono fallimenti irrimediabili. L'amore ha però bisogno di esprimersi in tante strade per realizzare la famiglia bella, unita e sana come Dio l'ha pensata. Invece di dare tutto scontato, riprendere ad ascoltare con il cuore facendo proprio il pensiero o il sentimento dell'altro; ricominciare ad amare per primi, in modo concreto, prendendo l'iniziativa perché l'amore sopravviva all'abitudine; impegnarsi a superare i limiti propri e dell'altro e credere che questo "sacrificio" è in favore di chi lo compie e non contro chi scegli d'amare così; aprirsi ad una fedeltà positiva, capace di assumere la fragilità dell'altro (solo quelli che amano, vincono); può essere utile visitare il proprio stato d'animo per verificare se si vive con l'altro o per l'altro; scendere nel profondo dell'amore per fare fiorire la capacità di perdonare e di ricominciare… Partecipare all'amore che Gesù ha vissuto ed insegnato (quello che il sacramento del matrimonio ha trasmesso) significa voler bene in modo sempre nuovo, trovare sempre modi diversi per manifestare la propria presenza, non lasciarsi codificare, inventare soluzioni imprevedibili.

PRATICARE L'EDIFICAZIONE VICENDEVOLE. Cristo non è venuto per "apparire", ma per aggiustare ciò che era rotto, per salvare ciò che era perduto, per amare e attirare a sé chi si era allontanato. Mettere del proprio per essere utile nelle correzioni che sono necessarie a coloro che fanno parte della nostra vita e accettare di essere emendati è un altro modo per imparare l'alfabeto della carità e per mettersi sulla lunghezza d'onda che ha spinto Gesù a scendere fra noi. "Diamoci dunque all'edificazione vicendevole", scrive Paolo ai Romani. San Giacomo sottolinea l'importanza dell'impegno a redimere i fratelli: "Fratelli miei, se uno si è allontanato dalla verità e un altro lo riporta sulla giusta strada, sappiate quel che vi dico: chi aiuta un peccatore ad abbandonare la strada sbagliata, lo salverà dalla morte e otterrà il perdono di molti peccati" (Gc. 5,19). I primi cristiani, desiderosi di perfezione per mantenersi alla sequela di Gesù e capaci di amore verso i fratelli nei quali avevano piena fiducia, a volte si consegnavano a vicenda i propri peccati per aiutarsi nel cammino tracciato dal Vangelo. E' indubbio che attuare l'edificazione vicendevole è possibile nell'ambito di uno spirito di comunione, di vera fraternità, nel clima della carità che"tutto copre, tutto spera". E' lo spirito del giubileo che trova una delle strade più vive di converisione in chi la riceve e chi la offre.. La pagliuzza ed il trave proposti da Gesù sono di guida per trovare la disposizione migliore. San Tommaso afferma che l'aiuto fraterno nella correzione e nel promuovere positivamente il bene dell'altro è un risvolto della carità che fiorisce in amicizia. E Jean Guitton raccomanda: "Non cercare di convincere chi vive vicino a te del suo male, ma unisciti a lui in una luce più elevata": come dire che si parte dalla comunione per una comunione più grande. Le linee di spiritualità familiare con l'arte del dialogo, i gruppi di revisione di vita, la ricerca di uno stile comunitario di cammino ecclesiale, il confronto che nasce dall'ascolto collettivo della Parola di Dio, hanno nell'edificazione vicendevole ispirata dalla sola carità uno dei punti di forza. Chi ha imparato "con tutta umiltà a considerare gli altri superiori a se stesso" e "ad essere contento e a gioire con tutti" (Fil. 2,3.17) si mette nelle condizioni di dare e ricevere nel percorso della promozione spirituale reciproca.

ACCETTAZIONE DELLE SOFFERENZE. Il dolore tocca profondamente la vita umana e si può dire che nessuno ne è esente. Arriva sotto la forma della perdita della salute, di una persona amata, di un amore, di una giustizia, di un'amicizia, dei beni, delle speranze, dei progetti, della stima… Arriva con volto della fatica necessaria per compiere il bene, nel rapporto con una persona difficile, nelle tentazioni, negli imprevisti, nelle paure, nelle situazioni assurde…

Se si guarda con occhio umano la sofferenza, si è tentati di cercarne la causa o in noi o fuori di noi, nella cattiveria umana ad esempio, o nella natura, o in altro… E tutto ciò può anche essere vero, ma se pensiamo solo in tal modo, dimentichiamo il più. Ci scordiamo che dietro la trama della nostra vita sta Dio con il suo amore, che tutto vuole o permette per un motivo superiore che è il nostro bene.

L'amore è visibilissimo nella sofferenza di Gesù, e questa sofferenza è davanti a noi nel Getsemani: sta tra le parole: "Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice" e le parole "Però non come voglio io, ma come vuoi tu"; tra il desiderio e l'obbedienza. Lì c'è lo spazio d'amore nella sofferenza, lì c'è un percorso del Giubileo che vive la beatitudine degli afflitti.

Gesù conserva nel suo corpo di Risorto i segni reali della Passione: la sofferenza per amore è per sempre, non è una parentesi o un incidente.

Gesù ha veramente vissuto la Scrittura che dice "Noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio" (Rom. 8,28). Sappiamo come egli abbia amato il Padre. Ma si vede questa Parola impersonata in Lui in modo specialissimo nell'ultimo tratto della sua esistenza: nulla è successo a caso nella sua passione e morte. Le cause erano magari cieche: quelli che l'hanno sottoposto a patimenti e poi alla morte non sapevano quello che facevano e non sapevano che erano autori del sacrificio per eccellenza che avrebbe fruttato la salvezza dell'umanità. I dolori arrivavano a Gesù senza questa intenzione, ma egli, perché amava il Padre, li ha tradotti tutti in mezzi di redenzione, vedendo anzi in quei terribili momenti l'ora per cui era venuto, il compimento della sua avventura terrena, la strada d'amore per il bene di tutti gli uomini.

Da tutti certamente si vuole amare Dio, ma si è certi di amarlo se lo si ama nelle avversità, e non solo nell'entusiasmo di ciò che va per il meglio. Il frutto di questo amore è la vita di Gesù Risorto in sé e negli altri. Diceva don Bosco: "Quando avete delle spine, mettetele con quelle della corona di Gesù". Ha scritto Mons. Tonino Bello: "Io ho una croce leggera sul petto e una pesante sulle spalle. Quest'ultima però, da quando ho capito che è una scheggia di quella che ha portato Lui, da simbolo delle mie sconfitte si è tramutata in fontana di speranza. Per me e per gli altri"

GLI ESERCIZI SPIRITUALI. Dice il catechismo degli adulti al n. 941: "La vita spirituale si nutre della Parla di Dio. Il contatto con essa deve esser assiduo. Le modalità possono essere varie: proclamazione liturgica e omelia, catechesi, studio personale meditazione e lettura spirituale. Chi ne ha la possibilità (ed il Giubileo può offrirne una proposta ed uno stimolo) è bene che almeno qualche volta faccia l'esperienza estremamente fruttuosa di un ascolto prolungato ed intenso nei ritiri e negli esercizi spirituali". Molti conoscono come gli esercizi spirituali possono procurare una sorpresa stupefacente ed essere occasione di rinascita spirituale e di rinnovamento. Monasteri, Case di spiritualità, Istituti, organismi diocesani, movimenti… offrono a gruppi, categorie di persone e singoli varie opportunità. Clima di preghiera, raccoglimento, proposta della Parola di Dio, vita fraterna, condivisione, confronto con esperienze evangeliche, direzione spirituale, partecipazione ai sacramenti permetto di vivere giorni di particolare profondità ed intensità spirituale. Sono particolarmente indicati per uscire da una certa stasi o routine della vita cristiana, di fronte ad una scelta importante per la propria esistenza, per entrare più profondamente nel progetto di Dio, per poter cogliere con maggiore luce il proprio posto e la propria dimensione di servizio nella chiesa. Hanno il compito di introdurre nell'esperienza pasquale caritativa con Dio e con i fratelli mediante lo spirito di Cristo e sono mezzo efficace di conversione. Da Paolo VI che auspicava "una elaborazione degli esercizi spirituali" si possono cogliere le linee portanti di questo tempo di grazia. Un'esperienza che sa sconvolgere la propria mentalità e la propria affettività; che sa rinnovare l'interiorità profonda dell'io; che testimonia nella preghiera il vivere in unione con lo Spirito; che restituisce alla chiesa ed al mondo uomini nuovi come fermento della realtà quotidiana concreta. Se la tendenza passata mirava prevalentemente alla salvezza dei singoli, così da invitare quasi esclusivamente al raccoglimento ed al silenzio, oggi preferibilmente vengono presentati come iniziazione alla vita cristiana ecclesiale, comunitaria. Spesso si suggeriscono e si propongono i mezzi atti ad un interscambio fraterno: comunicazione di esperienze interiori fra i partecipanti, celebrazioni comunitarie, ascolto dell'altro, integrazione dei temi mediante partecipazione vicendevole delle proprie considerazioni ed esperienze, esercizio di discernimento spirituale comunitario. In certo modo, in alcuni ambiti, sono scuola di esperienza ecclesiale nello Spirito (cfr. Tullo Goffi in Pratica degli Esercizi Spirituali).

AGIRE CON FRANCHEZZA E COERENZA DI CREDENTI. Gli Atti degli apostoli offrono una autentica testimonianza che l'annuncio di Cristo e la vita nuova portata dal vangelo sono portati al mondo con totale franchezza. Paolo vede nel superamento del rispetto umano la condizione principale dell'annuncio evangelico: esso infatti è franca manifestazione della verità, testimonianza secondo la sincerità di Dio. Molte volte si tende a fare della pratica cristiana un atto privato e si tiene conto esageratamente del giudizio altrui per timore di andare controcorrente, di perdere reputazione, di essere deriso, di mettersi in questione: in questo modo si segue un atteggiamento di paura che diviene, nella condotta pratica, incoerenza e menzogna fino a sacrificare l'amore e l'onore dovuto a Dio. Già il salmo 119 manifestava in forma di preghiera giusto atteggiamento: "Sono sicuro nel mio cammino, perché ho ricercato i tuoi voleri. Parlerò davanti ai re della tua alleanza,senza temere la vergogna ". I libi sapienziali ed i libri profetici sono pervasi dall'invito ad agire coerentemente alle proprie convinzioni religiose. S. Paolo afferma esplicitamente: "Non mi vergogno del Vangelo", e ne dà conferma con l'impegno a non cercare il favore del prossimo a scapito della fede: "Cerco forse di piacere agli uomini? Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo" (Rom. 1,16 e Gal. 1,10). La libertà che Gesù infonde con la sua presenza, comunica con il suo annuncio, promette come condizione del suo regno, è anche ciò che richiede ai suoi discepoli: una adesione totale, che superi ogni compromesso: "Chi si dichiarerà per me davanti agli uomini, anch'io mi dichiarerò per lui davanti al Padre mio che è nei cieli…Se uno si vergognerà di me e delle mie parole, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella sua gloria". (Mt. 10,32 e Lc. 9,26). Il discepolo è chiamato ad assomigliare al suo Maestro. La verità rifugge essenzialmente da false apparenze. Dio è verità in quello che dice e quello che fa perché il sua "apparire" nel dire e nel fare è sempre un riflesso del suo essere. Così, sul divino modello, l'uomo non può essere totalmente "vero" se non dà luce e splendore al nome di figlio e all'onore del Padre celeste, di cui porta l'immagine, nella sia vita interiore e nei suoi rapporti con il mondo esterno. La franchezza dei primi cristiani (e di una schiera infinita in tutti i tempi) è fiorita nel martirio, il vertice della testimonianza. Il Pastore di Erma manifesta il profondo motivo che unisce vita con Cristo e linguaggio esteriore: "Amore della verità e parole vere escono dalla tua bocca, affinché vero venga scoperto lo Spirito che Dio ha piantato in questa carne. Per suo mezzo verrà glorificato il Signore che in te abita, poiché il Signore è veramente in ogni tua parola" (Mandatum 3,1). Al termine della sua vita l'apostolo Giovanni incoraggiava il cammino della chiesa primitiva con parole forti: "Tutto quello che è nato da Dio vince il mondo, e questa è la vittoria che vince il mondo: la nostra fede" (1 Gv. 5,4). Nella Pacem in terris Giovanni XXIII diceva che "ogni credente deve essere una scintilla di luce, un centro di amore, un fermento vivificatore della massa".